Sessualità e famiglia oggi
POP-PORN
Alessandro D'Aloia
1. Schizofrenie sessuali dell’individuo
bio-politico
L’esplosione della pornografia digitale
ha assunto una valenza quantitativa talmente consistente da debordare
ampiamente le possibilità di lettura del fenomeno in rapporto alla sua
semplice dimensione economica. La chiave di lettura economica era forse
ancora quella principale solo nel 2005, ai tempi del
4° rapporto sulla pornografia
Eurispes, oggi inevitabilmente datato di fronte a trasformazioni del web
neanche immaginabili nove anni fa.
Quando la pornografia in rete si pagava,
il perché della sua esistenza era comprensibile. La sua diffusione,
comunque limitata, aveva una chiara funzione economica. Non che ora non
ce l’abbia più, ma questo è evidentemente un aspetto secondario. Oggi
c’è un salto di qualità della pornografia. Essa non è più fruita da una
ristretta fetta sociale, che può spendere soldi per guardare, ma si è
per così dire democratizzata, è divenuta per tutti, di tutti, a portata
di click. In questo passaggio si capisce che qualcosa è cambiato. Non si
tratta più solo di economia, ma di sociologia, di costume, di pedagogia.
Di un fenomeno attinente il costume sessuale di una società che continua
a contare sulla famiglia come involucro imprescindibile dal quale non
cessa però di fuggire ad ogni occasione utile. La pornografia permette
alla famiglia di contenere in se stessa le fughe sessuali dei suoi
componenti, i quali non hanno difficoltà a presentarsi in soggiorno
morigerati e in cameretta depravati, al costo della virtualizzazione dei
loro rapporti tanto familiari quanto sessuali.
2. Dove inizia la pornografia
La pornografia è in sostanza una
rappresentazione. Essa non attiene all’atto sessuale in sé, non riguarda
cioè i soggetti che vi compaiono, ma in quanto prodotto visivo da
consumare, essa è destinata a chi la fruirà. Quando si parla di
pornografia dunque si parla del prodotto di consumo che rappresenta un
atto sessuale reale, e non simulato, ma non si parla del “porno” inteso
come approccio all’atto sessuale, che è una modalità del vivere la
sessualità indipendente dalla sua eventuale rappresentazione. La
pornografia è perciò un prodotto grafico, prodotta come una merce, anche
quando diventa gratuitamente accessibile. Pertanto essa rientra per
costituzione nel novero delle arti visive. È possibile stabilire una
demarcazione tra arti pornografiche e arte in generale? In altre parole
è possibile definire la natura pornografica di un determinato prodotto
umano? La risposta non è certo semplice, tuttavia è il caso di
riportare, a questo scopo, una classificazione, joyciana, delle arti.
I sentimenti suscitati
dall’arte falsa, il desiderio e la ripugnanza, sono cinetici. Il
desiderio ci spinge a possedere, ad avvicinarci a qualcosa; la
ripugnanza ci spinge ad abbandonare, ad allontanarci da qualcosa. Le
arti che li suscitano, la pornografica o la didascalica, sono pertanto
arti false. L’emozione estetica (uso il termine generale) è pertanto
statica. La mente viene arrestata e innalzata al di sopra del desiderio
e della ripugnanza[1].
Esiste cioè tutta una famiglia di arti
definite pornografiche, caratterizzate dall’utilizzo dell’espediente del
desiderio, considerato come un vero e proprio “cinematismo emozionale”,
cioè un catalizzatore dell’attenzione nel processo contemplativo. Queste
arti sono per Joyce pornografiche in quanto incapaci di fornire
un’emozione estetica in sé, che sia in grado di condurre i fruitori al
di là di un primordiale moto di tipo strettamente “sessuale”. In questi
contesti la contemplazione non è, per così dire, sublimata, ma ancora
allo stato grezzo, tipico della pulsione.
Esiste dunque la possibilità di una
precisa linea di demarcazione tra ciò che è arte e ciò che non lo è.
L’arte per essere tale, cioè finalizzata ad un’emozione di tipo
estetico, non deve utilizzare espedienti di tipo attrattivo o repulsivo.
Si aprirebbe, a partire da questa
posizione, tutta una possibile tassonomia delle arti nella società dello
spettacolo e la conseguente analisi dell’espediente sessuale nella
produzione “artistica” contemporanea, ma il discorso allontanerebbe dal
tema della pornografia e delle sue funzioni sociali, che è invece ciò
che sta a cuore in questa trattazione.
3. Il primato dell’occhio freudiano e
del medium cinematografico nella stimolazione libidica
A livello “seduttivo” il desiderio per
una persona può utilizzare tutti i sensi, ma può agire, ed agisce,
soprattutto attraverso lo sguardo (la vista, l’occhio). Lo dice anche
Freud:
L’occhio è forse la
zona più lontana dall’oggetto sessuale, ma è anche la zona che, durante
la corte fatta ad un oggetto, è soggetta ad essere la più frequentemente
stimolata dalle particolari qualità dell’eccitazione, la cui causa,
quando nasce da un soggetto sessuale, noi chiamiamo “bellezza” (per la
stessa ragione i meriti di un oggetto sessuale sono definiti
“attrazioni”). Questo stimolo da un lato è già accompagnato dal piacere,
mentre dall’altro porta ad un aumento dell’eccitamento sessuale o, se
ancora assente, lo crea[2].
Il veicolo principale dell’innesco di un
desiderio sessuale è il senso visivo. Se così è, si capisce bene la
potenza della pornografia digitale, che investe, mediante il canale
video, i principali sensori libidici del soggetto, il quale è preso in
un vortice che lo coinvolge somaticamente e non lo lascia più fino al
momento dell’atto, nella maggioranza dei casi, masturbatorio.
La prevalenza dell’occhio, nel processo
di seduzione che attiva la libido, nel senso proprio di processo di
ricerca del soddisfacimento di tipo sessuale, assegna al medium
cinematografico, cioè l’immagine in movimento, il ruolo privilegiato per
l’innesco di una sequenza chiusa che va dalla creazione alla
soddisfazione dell’eccitazione.
Le immagini statiche sono invece
efficaci nell’innesco e come flash preparatori della sequenza completa.
Questo fatto, ci fa comprendere anche
perché la pornografia sia esplosa, come ora, dal momento in cui
l’avvento della banda larga, ha permesso l’immissione e il consumo in
rete di quantità di dati sufficienti alla fluida riproduzione di
videoclip.
4. Economia libidica: cicli di
accumulazione e rilascio e funzione dello stillicidio pornografico
Non si cerca la pornografia, perché è la
pornografia a trovarti, come Saviano dice della cocaina.
La giornata trascorre tra continue
incursioni dall’esterno sui sensori del piacere. Dalla pubblicità
televisiva a quella sul web, dai video musicali alle notizie di gossip
che contornano l’accesso alla mail e così via. Da non dimenticare che
Freud dice che «Questo stimolo [proveniente dallo sguardo] da un lato è
già accompagnato dal piacere, mentre dall’altro porta ad un aumento
dell’eccitamento sessuale o, se ancora assente,
lo crea». In sostanza durante la giornata la stimolazione sessuale,
volta a creare l’eccitamento sessuale, agisce continuamente come una
macchina, alterando il normale ciclo di accumulo della tensione
libidica. Il desiderio sessuale è continuamente stimolato, drogato,
oltre il suo naturale ciclo, dallo stillicidio di immagini e allusioni e
dato che si tratta di un processo fisiologico in cui l’avvio implica una
soluzione, un soddisfacimento, quasi come la fame o la sete, la
pornografia finisce per costituire l’approdo naturale di una libido di
massa stimolata dall’esterno.
La libido è energia vitale. Essa rientra
in un processo complesso. Tuttavia tale processo libidico si innesca
mediante l’attivazione di meccanismi somatici che hanno a che vedere con
la produzione naturale nell’organismo di sostanze come la dopamina ed
altre, responsabili dell’alterazione dello stato emotivo e della
stimolazione muscolare di organi e zone erogene. Questo per dire che c’è
una complessa chimica libidica che una volta innescata deve poi
sciogliersi in un appagamento di tipo sessuale.
C’è poi da considerare il problema
dell’accumulo ciclico dell’energia libidica. Questo accumulo, anche se
non drogato, crea da sé ciclicamente le condizioni ideali per
l’irruzione della pornografia quale metodo sistematico di stimolazione
sessuale volta al rilascio della tensione accumulata. La pornografia
devia il soggetto dalla ricerca di impegnativi processi di
corteggiamento e di ricerca, i quali possono anche non risolversi
positivamente, e lo instrada verso la masturbazione, che è sì un
surrogato dell’atto sessuale vero e proprio, ma è anche pratica
piuttosto comoda e rassicurante[3]. La masturbazione
pornografia costituisce una sorta di corto circuito nel processo di
rilascio della tensione libidica accumulata, la quale trova un canale
molto semplice per sfogarsi. Come in un processo energetico qualsiasi,
l’energia passa dove trova il canale con minore resistenza.
5. Dove finisce la pornografia: porno-cultura
Il 7 novembre 2013 alla trasmissione
televisiva Il grande cocomero condotta da Linus, su rai2, in successione al
tavolo delle interviste si è seduto prima F. De Gregori e poi Valentina
Nappi. Cioè nello stesso calderone sono di scena prima il grande
cantautore di trentennale esperienza, espressione di una cultura
popolare, ma considerata di alto profilo, e poi la ventenne pornodiva
napoletana, assurta a personaggio da intervista, in quanto capace di
spiegare in modo schietto, e persino convincente, la sua scelta di vita.
Il format televisivo eleva ugualmente a fenomeno degno di interesse
tanto l’opera musicale di un De Gregori, quanto la prestazione
pornografica di una Nappi. È un lapsus terrificante, ma capace di
squarciare il velo della condizione attuale della cultura italiana, una
cultura che non distingue più l’arte dalla pornografia. Se in passato A.
Warhol elevava la merce e la comunicazione pubblicitaria ad arte, oggi è
la volta della pornografia. Si è consumato il passaggio dal pop al
porno. È la porno-cultura.
Se con questo si può riconoscere che la
pornografia non interessa solo l’ambito sessuale e constatare come da
quel centro essa si irradi nella società fino a degenerarne la cultura,
bisogna analizzare anche un aspetto implicito di questo state di cose,
in cui la regola sottesa è che non vale il modo in cui i soggetti
guadagnano il loro “quarto d’ora di celebrità”. Questo passaggio del
“non-valore del merito” è alla base della degenerazione di ogni valore.
Ma in una società in cui i valori sono de-valorizzati non resta che la
prostituzione di massa. La porno-cultura è l’ambiente in cui cresce la
prono-socialità, intesa come la pedagogia dell’essere proni.
Nella porno-cultura il soggetto prono
non solo ha pari dignità del soggetto “a schiena diritta”, ma ha
addirittura più visibilità. Con questo passaggio la schiera dei proni
assurge a categoria tra le altre, rivendicando il proprio diritto di
esistenza e la propria dignità. Nella porno-cultura è bandita la
vergogna.
In queste condizioni l’appetibilità dei
soggetti si configura come una corsa al ribasso verso sempre nuove
soglie di umiliazione personale, un po’come accade quando si parla delle
rinunce a cui il mondo del lavoro deve sottostare se vuole “attrarre”
gli investimenti di capitale. Come a dire il capitale va verso chi è
disposto ad offrirgli di più. Un esempio tra gli altri della sussunzione
della personalità umana alla regola della valorizzazione capitalistica,
nonché una possibile spiegazione dell’abbassamento costante dell’età
del divismo pornografico. Da Moana Pozzi nei cinema a pagamento a
Valentina Nappi gratis nel web e parificata a personaggio da intervista
televisiva.
Ancora una volta l’Italia sembra essere
il centro di questa parificazione pubblica dei talenti più disparati,
con la sua cultura da salotto televisivo in cui la curiosità per ogni
fenomeno degenere, ancorché travestita da intellettualismo democratico,
di fatto giustifica e sdogana il degenere.
Il problema è che anche chi pensa invece
di avere qualcosa da dire, può indulgere a modalità comunicative e
rappresentative che ammiccano a questo tipo di brodo culturale
generalizzato.
6. Pedagogia porno e assenza del
femminile
In passato la “pornografia analogica”
era consumata con la coscienza di fruire una rappresentazione, qualcosa
di non vero. Qualcosa di estremo, di non riproducibile nella propria
sessualità. Con la pornografica digitale e la sua pervasività, lo iato
tra finzione e realtà scompare e perciò la rappresentazione si fa
modello di realtà. La sessualità diviene essa stessa pornografica.
Oggi, almeno per i giovanissimi, la
rappresentazione pornografica precede sempre l’esperienza sessuale. Per
questo motivo essa è, in prospettiva, il principale strumento pedagogico
di massa nella società dello spettacolo. Così la perversione, sempre
presente nell’atto rappresentato, consumato cioè per essere
rappresentato e non per essere esperito, diventa il modo sessuale di
milioni di adolescenti, i quali si fanno della sessualità un’idea
completamente artefatta, assumendo nel loro intimo comportamenti
sessuali mutuati dallo schermo.
Uno dei maggiori paradossi di questa
condizione è “l’assenza del femminile”. Il mondo pornografico è un mondo
in cui a parte la glabra nudità dei genitali femminili non resta nessuna
traccia della femmina. Nella pornografia tutto è maschile e le donne che
vi appaiono sono solo proiezioni di un desiderio maschile del tutto
sfrenato. Nulla resta in piedi del desiderio femminile, questo reperto
archeologico. L’immaginario sessuale femminile contemporaneo è plasmato
su quello maschile. C’è da dire che la pornografia non è responsabile
del rapporto storico della donna con la propria sessualità, tuttavia
essa si innesta su questo rapporto senza considerare l’esistenza di un
desiderio femminile inespresso, per non dire represso. Non c’è da
scandalizzarsi per la posizione della femmina nella rappresentazione
pornografica. Sono solo maschi quelli che si vedono.
Questo è un passaggio notevole, dal
momento in cui attuandosi un divenire maschi delle femmine, si nega
all’umanità una qualsiasi linea di fuga verso un suo divenire donna.
Semplicemente la femminilità viene cancellata nella caricatura maschile
della femminilità, vale a dire, dall’idea che il maschio ha della
femmina e in altre parole il “dover essere” femminile.
Questo è già un primo effetto
politico-sociale del proliferare dell’immaginario pornografico.
7. Civiltà de-sublimata
La repressione assume una nuova veste.
Infatti, seppure importante il discorso sulla rappresentazione femminile
nella pornografia, quello che è in questione non è la repressione della
donna, ma il valore funzionale della pornografia nei confronti della
società intera. La pornografia è indirizzata al suo pubblico, non ai
suoi attori. In questo senso si può comprendere come in relazione alla
società non si tratti più di repressione “violenta”, né di repressione
“dolce”, ma di repressione “piacevole”, con orgasmo. Cioè nella società
del porno-capitalismo l’uomo si accorda con piacere, godendo, ai dettami
sociali fondati sulla conservazione delle condizioni di subalternità. In
questo presupposto masochistico egli sperimenta il piacere
masturbatorio, verso il quale ogni cosa lo indirizza.
Anche la sessualità ne risulta
addomesticata e non solo nel senso di essere servita a domicilio. Si
tratta di una sessualità de-sessualizzata, privata del rapporto con
l’altro. I corpi non sono più a contatto, sono decurtati della loro
fisicità e contemplati come puri oggetti estetici. In questo tipo di
sessualità la copula diventa il surrogato della masturbazione[4].
È un cambio di paradigma notevole: la
principale energia vitale dell’uomo viene ridotta a passatempo
infecondo.
Per la prima volta lo spettacolo
colonizza la sfera più intima della specie umana, la sua sessualità,
dettando paradigmi comportamentali in ambiti che altrimenti
sfuggirebbero alle norme sociali. Se la sessualità è una dimensione del
desiderio essa è esterna al dettato normativo. Essa è espressione
dell’inconscio, abbandono al desiderio, regno della libertà e,
all’estremo positivo, del porno senza la sua grafia. La sessualità è
oscena, nel senso di “fuori scena” (C. Bene), irrappresentabile. Oggi
invece l’osceno è il centro della scena e questo segna la fine
dell’osceno (e della libertà).
Con la pornografia lo spettacolo
colonizza finalmente la sfera più primitiva dell’inconscio realizzando
la normalizzazione del perverso. Dopo questo passaggio il sesso non è
più dominio dell’intimità della persona, esso non riserva sorprese.
Tutto diventa rappresentazione, prestazione, maschera, anche nell’unico
atto relazionale in cui l’inconscio dovrebbe esprimersi nell’abbandono
a se stessi. La sessualità non è più un processo di conoscenza di se
stessi e degli altri.
In realtà la pornografia come orizzonte
del porno-capitalismo non è altro che la metafora del rapporto
masturbatorio della specie umana verso il mondo.
Qui il sogno erotico è desiderio di
masturbazione, ovvero desiderio del desiderio e non del suo oggetto.
Questa che potrebbe essere già una
conclusione ha bisogno però di essere argomentata meglio.
Per farlo bisogna riagganciarsi al
concetto freudiano di sublimazione.
La sostanziale correttezza della teoria
della sublimazione era sostenuta anche da W. Reich[5], anche se è facile
comprendere come essa astragga, nella sua trattazione generale, dalla
masturbazione.
Allora in tutto il meccanismo descritto,
soprattutto quando si è detto dello stillicidio pornografico e della
conseguente alterazione dei cicli naturali di accumulo e rilascio della
tensione libidica, la principale cosa che resta per la strada, in
quest’ondata masturbatoria di massa, è proprio la possibilità di
indirizzare l’enorme mole di energia vitale a fini diversi da quelli
sessuali. Per Freud la civiltà è il risultato di un processo di
sublimazione dell’energia vitale, ovvero della capacità dell’attività
umana di volgersi ad altro dal puro appagamento degli istinti
primordiali[6].
Sostanzialmente se la libido è energia,
la pornografia non fa altro che bruciare a vuoto quest’energia
attraverso la masturbazione e l’uomo si ritrova stanco di fronte al suo
mondo. Nel processo di de-sublimazione pornografica della libido, la
pratica masturbatoria dell’uomo ripiegato, letteralmente, su se stesso[7] lo rende
sterile verso la realtà che lo circonda. La pornografia è
anti-ideologica è contro la volontà di cambiare il mondo. È come se
l’uomo avesse rinunciato a fecondare la natura circostante con il suo
apporto creativo.
La masturbazione brucia energia e
rabbia. La masturbazione corale brucia rabbia sociale. Il dilagare della
pornografia coincide con il sonno della ribellione sociale.
Da questo punto di vista l’avvento della
rete e della pornografia digitale rappresentano la maturazione
tecnologica dell’era sterile della civiltà.
NOVEMBRE 2013
[1]
J. Joyce, Ritratto dell’artista da giovane, Newton Compton, Roma 1995, pag.
182
[2]
S. Freud, Tre saggi sulla sessualità, Newton Compton, Roma 1993, p. 73.
[3]
«Già, perché alla lunga la masturbazione indebolisce anche i
rapporti con la realtà; la facilità con cui si può ottenere
soddisfazione rende spesso incapaci di condurre una lotta
vivificatrice per la ricerca di un partner adeguato».
W. Reich,
La rivoluzione sessuale,
Erre Emme, Roma 1992, p. 196.
[4]
«Grodreck precisa essere la copula un surrogato della
masturbazione e non viceversa».
C. Bene,
Quattro momenti su
tutto il nulla,
programma televisivo, Rai Due, 2001.
[5]
W. Reich,
cit., pp. 63 e 65.
[6]
S. Freud, cit., pp. 92-93.
[7]
Sarebbe il caso di riflettere anche sulla parallela esplosione
dell’Io di massa, nella continua elaborazione di se stessi che
il mondo dei social network ha determinato. In questa ossessiva
auto-rappresentazione dei soggetti ciò che si perde è, in
effetti, l’interesse dello sguardo verso l’esterno, verso
l’altro da sé.
Cfr. M. Di
Leva,
Instagram, la
Community e il piacere condiviso, in «Città Future» n. 11.