IL DISASTRO AMBIENTALE DELLA CAMPANIA
Cronaca e analisi storica dell'emergenza rifiuti
Daniele Pallotta
Nel 2007 la Commissione
europea ha sospeso fondi per 135 milioni di euro per il periodo
finanziario 2007-2013, a favore di progetti di gestione dei rifiuti, e
di un ulteriore importo, pari a 10,5 milioni di euro, per il periodo
finanziario 2000-2006 in via sanzionatoria e nell’attesa della sentenza
della Corte di Giustizia alla procedura d’infrazione avviata nel
medesimo anno. La procedura fu aperta a seguito delle numerose petizioni
presentate dai cittadini e dai comitati civici e in considerazione dei
gravi rischi per la salute pubblica e per l’ambiente determinati sino ad
allora dall’abbandono dei rifiuti nelle strade, ed aveva per oggetto la
non corretta applicazione della direttiva quadro sui rifiuti (direttiva
2006/12/CE sui rifiuti) nella regione Campania.
Il 3 luglio 2008, la
Commissione, insoddisfatta delle risposte delle autorità italiane alle
due fasi precedenti della procedura (messa in mora e parere motivato),
deferisce l’Italia alla Corte di Giustizia, che si esprime con sentenza
di condanna per l’Italia il 4 marzo 2010 , in conseguenza
dell’inadempimento degli artt. 4 e 5 della suddetta direttiva quadro
(recepiti nell’ordinamento giuridico italiano per mezzo del D.Lgs. n.
152/2006). Nel testo della sentenza si legge:
La Repubblica italiana, non avendo adottato, per la regione Campania,
tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati
o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare
pregiudizio all’ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete
adeguata ed integrata di impianti di smaltimento, è venuta meno agli
obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 4 e 5 della direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE,
relativa ai rifiuti.
La sentenza C-297/08
del 4 marzo 2010 impone al nostro Paese di uniformarsi alle direttiva
rifiuti, procedendo alla approvazione di un Piano per lo Smaltimento dei
rifiuti solidi urbani e uno per i rifiuti speciali, alla definizione,
con essi, di un dettagliato cronoprogramma della impiantistica e al
ripristino di una gestione ordinaria degli investimenti legati ai piani
stessi. La Commissione ha il compito di monitorare il corretto
adempimento dell’Italia alle prescrizioni contenute nella sentenza.
L’Italia ha 24 mesi di tempo per conformarsi a quanto previsto dalla
sentenza, il che significa approvare un piano rifiuti e uno bonifiche
conformi alla direttiva, ossia che tengano conto della gerarchia
riduzione – riuso – riciclo – recupero energetico ad alta efficienza –
smaltimento controllato in discarica. In particolare, la Commissione
europea ha fatto sapere che il piano deve essere accompagnato da azioni
concrete e da una credibile calendarizzazione per la realizzazione degli
impianti (nozione che rinvia sia agli impianti per il riciclo sia agli
inceneritori) e deve essere reso accessibile al pubblico mettendolo
online, di modo che sia la Commissione che il pubblico possano
verificarne l’attuazione (i 20 anni prospettati da Caldoro qualche a
Bruxelles sono stati considerati inaccettabili dalla Commissione).
L’obiettivo entro il
2020 di un aumento del 50% in peso dei materiali riciclabili (carta,
vetro, ecc.) proveniente dai rifiuti domestici è contenuto nella
direttiva 2008/98, che però non è menzionata nel dispositivo della
sentenza della Corte di Giustizia (che richiama invece la direttiva
2006/12, dove non vengono citati obiettivi quantitativi rispetto alla
raccolta differenziata).
Qualora l’Italia non si
adeguasse alla sentenza, non solo non riceverà i fondi bloccati dal
2007, ma la Commissione procederà con una seconda procedura d’infrazione
ai sensi dell’art. 228 del Trattato (quella conclusasi era ai sensi
dell’art. 226), che segue le stesse tre fasi (messa in mora, parere
motivato, deferimento alla Corte) e può concludersi invece (a differenza
della procedura art. 226) con una “multa progressiva” che lo stato
membro deve pagare per ogni giorno che passa senza che si sia adeguato
alla sentenza della procedura precedente.
Margrete Auken,
deputata al Parlamento Europeo, durante il convegno, tenutosi 22 Giugno
2010 nella sede del Complesso monumentale di Santa Maria La Nova a
Napoli, L’emergenza continua...
riflessioni e proposte dopo la visita della Commissione Europea in
Campania sulla questione rifiuti, ha dichiarato che nel corso della
visita ispettiva della commissione europea in Campania le irregolarità
riscontrate sono state allarmanti, un pericolo per l’ambiente e la
salute umana:
io stessa ho verificato che in alcune
discariche, non a norma per condizioni di sicurezza, sono stati
depositati rifiuti industriali che per legge devono essere smaltiti in
modo differenziato dai rifiuti prodotti dai cittadini. Anche nell’unico
inceneritore funzionante, quello di Acerra, viene sversato ogni genere
di rifiuto, mentre negli inceneritori deve essere bruciato solo il
prodotto di una selezione di rifiuti residui, ricavabili al termine
della raccolta differenziata, ossia quello che non può essere riciclato.
In Campania il ciclo integrato dei rifiuti è illegale secondo la
normativa europea; ma c’è una parola che autorizza il governo italiano
ad agire in questo modo: emergenza. In nome dell’emergenza il governo
italiano utilizza l’esercito per presidiare i siti, ma questa situazione
per me è incomprensibile, e deve finire. È necessaria la massima
trasparenza nella gestione del ciclo dei rifiuti, e i cittadini devono
poter controllare.
La Campania, grazie ai fondi
ue, è la regione d’Italia,
e forse d’Europa, più dotata di impianti di trattamento meccanico
biologico, i cosiddetti stir
(già cdr). Ne esistono
sette, con una capacità che eccede l’intera produzione regionale di
rifiuti; con poche modifiche potrebbero permettere anche il riciclo –
senza bisogno del successivo incenerimento, processo costoso e nocivo –
di quasi tutto quello che vi entra. Ma quegli impianti sono stati
mandati in malora dal gruppo Impregilo (cui fino al 2006 era stata
affidata la gestione di tutto il ciclo di rifiuti campani) che i rifiuti
ha provveduto solo ad impacchettarli, senza separarli, per accumularli
in vista degli incentivi cip 6 che avrebbero incassato bruciandoli
nell’inceneritore di Acerra: di qui i sei milioni di eco balle
accumulati nelle campagne di Napoli e Caserta.
In sedici
anni, dal 1994 al 2010 per l’emergenza rifiuti in Campania sono stati
spesi (fonte Garante per gli appalti) 3 miliardi e 548 milioni di euro
con 25 ordinanze emergenziali, e con il succedersi di commissari
straordinari di governo, governi sia di centro destra che di
centrosinistra, che devono rispondere del disastro che hanno combinato
[1].
Gli obiettivi di risanamento ambientale nel
por Campania 2007 – 2013
Nel POR Campania 2007 – 2013 tra gli obiettivi
operativi vengono indicati:
la gestione integrata del ciclo dei rifiuti,
consistente nel «completare, in ogni sua parte, la filiera della
gestione integrata del ciclo dei rifiuti urbani e promuovere la gestione
eco-compatibile dei rifiuti industriali»;
migliorare la salubrità dell’ambiente, «attraverso la
bonifica dei siti inquinati, prevalentemente nelle aree sensibili o a
forte vocazione produttiva»; il risanamento ambientale, «mediante il
potenziamento dell’ azione di bonifica dei siti inquinati, migliorando
la qualità dell’aria e delle acque, promuovendo la gestione integrata
del ciclo dei rifiuti»;
valorizzare il patrimonio ecologico, il sistema delle aree naturali
protette (Parchi, Riserve Naturali, Aree Marine Protette, Siti della
Rete Natura 2000) al fine di preservare le risorse naturali e
migliorarne l’attrattività come aree privilegiate di sviluppo locale
sostenibile; incrementare l’attrattività e l’accessibilità dei Parchi e
delle altre aree protette, attraverso la riqualificazione dell’ambiente
naturale, il potenziamento delle filiere economiche, ed il miglioramento
dei servizi per i fruitori del territorio.
Nel POR si legge :«La Legge Regionale 4/2007, disegna
un impianto normativo imperniato sul principio del decentramento
amministrativo e della leale collaborazione tra Enti Locali con
l’obiettivo di creare un sistema integrato di gestione dei rifiuti che
contemperi le istanze di tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente
naturale con la salvaguardia degli interessi della produzione e del
mercato [...] l’Intesa istituzionale di Programma» e «l’Accordo di
Programma Quadro» previsti dalla Legge 662/96 (strumenti peraltro
indicati sia nella Relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta
sui rifiuti in Campania depositata in Parlamento il 7.6.2007 che nella
relazione al D.L. 61/2007 del Servizio Studi della Camera dei Deputati)
«da adottare entro tempi certi (31 Ottobre 2007) appaiono soluzioni
efficaci al fine di riproporre responsabilità delle decisioni ,
attività, risorse finanziarie occorrenti nonché procedure e soggetti
tenuti alla verifica dei risultati»[2].
Per quanto riguarda i fondi europei destinati alla
raccolta differenziata la sezione regionale della Corte dei Conti, nella
sua indagine sull’emergenza rifiuti pubblicata nell’ottobre 2010 afferma
che
la Regione sconta, anche il ritardo
nella progettazione e attuazione degli altri interventi infrastrutturali
a sostegno della raccolta differenziata ammessi al cofinanziamento dei
fondi strutturali comunitari (por Campania 2000/2006, Misura 1.7). A fronte di uno
stanziamento di 170 milioni di euro, sono giunti a compimento solo
alcuni dei progetti per isole ecologiche e impianti di selezione e
compostaggio programmati dal Commissario delegato all’inizio degli anni
2000 in esecuzione dell’opcm
n. 3100/2000 (circa 31 interventi, per oltre 18 milioni di euro, su 120
attivati), in aggiunta a 58 interventi (su 89 previsti) a sostegno dei
Comuni per l’acquisto di attrezzature tecniche necessarie per la
raccolta differenziata (campane, composter, bidoni, automezzi per la
raccolta, etc.), nonché ad ulteriori 15 interventi (su 29 previsti) di
aiuto alle imprese per la realizzazione di impianti destinati al
recupero di materia da rifiuti (per complessivi 34 milioni di euro circa
su un totale certificato, al 31 dicembre 2008, di 44 milioni di euro).
Nel
por per l’asse
Sostenibilità ambientale ed
attrattività culturale e turistica si indica un finanziamento totale
di 2.025.000.000 di euro, di cui la metà costituiti da fondi comunitari,
da erogare nei sette anni del qsn.
L’indagine della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti
Il 28 settembre 2010 la sezione regionale di controllo
per la Campania ha pubblicato, come detto, un’ indagine di controllo
sulla Gestione dell’ emergenza rifiuti in Campania.
Nella relazione si individua il quadro normativo
generale di riferimento nella direttiva 15 luglio 1975, n.75/442/CEE del
Consiglio delle Comunità europee; la direttiva, successivamente
modificata e integrata dalle direttive nn. 91/156/CEE, 91/689/CEE,
91/692/CEE e dalla direttiva n.94/62/CE sugli imballaggi ed i rifiuti di
imballaggi (come modificata dalla direttiva n.2004/12/CE), introduce
«taluni principi fondamentali (non derogabili da parte del legislatore
nazionale e regionale) quali l’obbligo di trattare i rifiuti in modo da
evitare impatti negativi sull’ambiente e sulla salute dell’uomo e quello
di ripartire la parte dei costi non coperta dalla valorizzazione dei
rifiuti secondo il principio del “chi inquina paga” ovvero della
responsabilità condivisa o della responsabilità estesa del produttore»[3].
Sono state adottate, a
distanza di poco tempo l’una dall’altra, le direttive quadro, la
n.2006/12/CE del 5 aprile 2006 e la n. 2008/98/CE del 19 novembre 2008,
e le relative procedure, «le cui priorità assolute restano ancorate,
nell’ordine, alla prevenzione
della produzione dei rifiuti, al
recupero degli stessi (da attuarsi, previo riutilizzo o riciclaggio
dei materiali, anche mediante valorizzazione energetica) e infine (quale
ultima opzione) allo smaltimento
controllato e sicuro»[4].
La normativa italiana
In Italia la
legislazione in materia di rifiuti, collocandosi nell’ambito della
«tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» è materia di competenza
esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
della Costituzione.
Nel dare attuazione
alle direttive comunitarie n.91/156/CEE sui rifiuti, n.91/689/CEE sui
rifiuti pericolosi e n. 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di
imballaggio, il decreto “Ronchi” ha costituito la normativa quadro sulla
gestione dei rifiuti fino all’entrata in vigore del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152 (c.d. “codice ambientale”). È stato previsto il
potenziamento della “raccolta differenziata”,
il cui ruolo risulta prioritario nel
sistema di gestione integrato dei rifiuti, in quanto consente di ridurre
il flusso dei rifiuti da avviare allo smaltimento che di condizionare
positivamente l’intero sistema di gestione, garantendo:
la valorizzazione delle componenti merceologiche dei rifiuti sin
dalla fase della raccolta; la riduzione della pericolosità dei rifiuti
da avviare allo smaltimento Indifferenziato;
il recupero di materiali e di energia nella fase del trattamento
finale.
Per assicurare una
gestione unitaria dei rifiuti urbani vengono introdotti i cosiddetti
“Ambiti territoriali ottimali” (ato),
aree, di norma coincidenti con le Province, per le quali si deve
stabilire un livello minimo di raccolta differenziata.
Uno dei metodi di
smaltimento dei rifiuti è costituito dall’incenerimento,
anche se questa modalità, secondo la sezione regionale della Corte dei
Conti, che in questo sostiene le istanze dei comitati di cittadini,
«rappresenta l’ultima delle opzioni utili per risolvere il problema dei
rifiuti». «Dal processo di incenerimento derivano: ceneri e polveri (che
rappresentano circa un terzo dei rifiuti trattati); fumi (contenenti
ceneri volatili e gas prodotti dal processo di combustione);acque reflue
inquinanti (provenienti dalla depurazione degli effluenti gassosi);
fanghi (prodotti dalla depurazione delle acque di processo); carboni
attivi (provenienti dai filtri dei fumi); inerti (nel caso di
inceneritori a “letto fluido”). L’inceneritore, pertanto, non evita del
tutto la discarica, anzi, richiede il ricorso a discariche speciali».
Anche per detti motivi
il decreto Ronchi ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 1999, la
realizzazione e la gestione di nuovi impianti di incenerimento potessero
essere autorizzate solo se il relativo processo di combustione, da
contenere entro particolari livelli di emissioni inquinanti, venisse
accompagnato da una quota minima di recupero energetico, di
trasformazione cioè del potere calorifico dei rifiuti in energia utile
(c.d. “termovalorizzazione”)[5].
La legislazione di
interesse regionale
La prima normativa
regionale che ha disciplinato, nel rispetto dei livelli uniformi di
tutela apprestati dallo Stato, le procedure per lo smaltimento dei
rifiuti urbani in Campania risale alla legge regionale 10 febbraio 1993,
n.10, recante Norme e procedure
per lo smaltimento dei rifiuti in Campania. Vennero individuati 18
Bacini di utenza all’interno dei quali assicurare lo smaltimento dei
rifiuti prodotti. I soggetti attuatori del Piano varato dal Consiglio
regionale erano i Comuni, i loro Consorzi e le Comunità Montane, ai
quali venne affidato il compito di costituire, entro sei mesi
dall’entrata in vigore della legge, i Consorzi di Bacino che avrebbero
dovuto provvedere alla costruzione e gestione associata degli impianti
di smaltimento.
L’inadeguatezza del sistema di gestione dei rifiuti prefigurato dalla
Regione Campania rispetto ai principi ed agli obiettivi fissati dal
legislatore comunitario e nazionale produsse rapidamente una situazione
di paralisi tale da dover essere affrontata con misure di carattere
straordinario fin dal febbraio 1994 . Il perdurare di situazioni di
estrema gravità nella gestione del ciclo dei rifiuti indusse, poi, la
Presidenza del Consiglio dei
Ministri a prorogare più volte, con cadenza annuale, lo stato di
emergenza nel territorio della Regione Campania e a confermare gli
incarichi ed i poteri del Commissario straordinario[6].
In considerazione del
protrarsi dello stato di emergenza, nel corso dell’anno 2005, con il
decreto-legge 17 febbraio 2005, n. 14, convertito in legge 15 aprile
2005, n. 53 (recante Misure
urgenti per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella
Regione Campania) si è dato maggiore impulso alle procedure di
riscossione delle tariffe arretrate, da esigere nei confronti di
numerosi Comuni, Consorzi ed altri affidatari dei servizi di smaltimento
rimasti morosi, relativamente al conferimento dei rifiuti negli impianti
di produzione di combustibili derivati da rifiuti (cd.
cdr). Inoltre, con
riferimento agli impianti di smaltimento esistenti, si è disposto che il
Commissario delegato autorizzasse le necessarie iniziative di
adeguamento tecnico-funzionale degli impianti medesimi da parte dei
soggetti affidatari e, nel caso di inadempienza di questi ultimi,
provvedesse in via sostitutiva. «Così facendo, il D.L. n.14/2005 finiva,
però, col dilatare l’ambito dei già ampi poteri commissariali anche
all’esercizio di poteri sostitutivi (non solo nei confronti di enti
pubblici, ma anche) nei riguardi di soggetti privati inadempienti agli
obblighi contrattuali».
Nella prospettiva del
superamento dell’emergenza attraverso un nuovo assetto istituzionale del
territorio, la legge regionale 28 marzo 2007, n. 4, contenente Norme in materia
di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti
inquinati, ha abrogato la L.R. n. 10/1993 e ridisegnato le
competenze di ciascun ente territoriale.
L’articolazione della
gestione integrata dei rifiuti è stata imperniata, in linea con il
decreto legislativo n. 152/2006, sugli Ambiti territoriali ottimali,
coincidenti, in sede di prima applicazione, con le circoscrizioni
provinciali (salva la facoltà per la Provincia di Napoli di istituirne
due). Per ciascun ato si è
disposto la costituzione, ai sensi dell’art. 31 del decreto legislativo
18 agosto 2000, n. 267, di un consorzio obbligatorio (denominato
Autorità d’ambito) tra i Comuni e la Provincia appartenenti al relativo
ambito territoriale.
Il ruolo della
Provincia
La legge regionale 14
aprile 2008, n. 4, ha incentrato tutta l’organizzazione, l’affidamento e
il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti sulla
Provincia, quale ente deputato dalla legislazione statale ad esercitare
(ex art. 197 del D.Lgs. n. 152/2006) le funzioni in tema di «difesa del
suolo». Ad essa vengono attribuite anche le funzioni amministrative
concernenti la programmazione e l’organizzazione del recupero e dello
smaltimento dei rifiuti, nonché l’adozione del Piano d’ambito e del
connesso programma finanziario degli interventi (avendo la Provincia
assorbito le funzioni delle Autorità d’ambito di cui all’art. 201 del
D.Lgs. n. 152/2006)[7].
Per effetto del
richiamato D.L. n. 61/2007 sono stati attribuiti al Commissario delegato
ulteriori poteri volti ad assicurare sia l’attivazione e la messa in
sicurezza di siti da destinare a discarica che l’individuazione delle
soluzioni ottimali (anche tramite provvedimenti di requisizione) per il
trattamento e lo smaltimento dei rifiuti.
Per quanto concerne i
servizi di raccolta differenziata, è stato, invece, introdotto l’obbligo
per i Comuni della Regione di avvalersi in via esclusiva (fatti salvi i
contratti in corso di esecuzione) dei Consorzi di Bacino, con facoltà
del Commissario di disporne l’accorpamento ovvero lo scioglimento
qualora i Consorzi non avessero adottato le misure prescritte per
l’incremento dei livelli di raccolta differenziata.
Ai fini della soluzione
dell’emergenza rifiuti, il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90,
convertito, con modificazioni, in legge 14 luglio 2008, n. 123,
nell’assegnare al Capo del Dipartimento della protezione civile, in
sostituzione delle gestioni commissariali,
l’incarico di Sottosegretario di Stato presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri con
funzioni di coordinamento della complessiva azione di gestione dei
rifiuti nella Regione Campania per il periodo emergenziale,
ha disposto che i siti, le aree e gli
impianti comunque connessi
all’attività di gestione dei rifiuti costituiscano
aree di interesse
strategico nazionale. In virtù di detta qualificazione
normativa, il Sottosegretario di Stato
viene assistito dalla forza pubblica e dalle forze armate per
l’approntamento dei cantieri e dei siti, la raccolta ed il trasporto dei rifiuti, nonché la
vigilanza e la protezione dei
suddetti cantieri e siti. Inoltre, vengono introdotte nuove fattispecie
criminose per le ipotesi di
introduzione abusiva ovvero ostacolo all’accesso autorizzato in dette
aree, nonché di impedimento all’azione di gestione dei rifiuti anche
mediante distruzione di
componenti impiantistiche o beni strumentali connessi alla gestione
stessa (artt. 340, 635, comma
2, e 682 del codice penale).
A riguardo
dell’utilizzo dell’esercito Guido Viale scrive sul quotidiano la
Repubblica del 24 ottobre 2010:
La legge
123/2008 impone 11 discariche (poi diventate dodici). Sono quasi tutte
in aree naturalistiche protette, in cui la legge italiana e la normativa
europea vieta di insediarle. Prima di lasciare, Bertolaso, usando
l’esercito – come già aveva fatto prima di lui De Gennaro con Prodi –
per difendere discariche e inceneritore dallo sguardo indiscreto di
sindaci e popolazione, aveva già quasi riempito tutte le discariche
esistenti al momento del suo insediamento, ne aveva fatta costruire una
nuova (quella di Chiaiano), per poi lasciare la patata bollente delle
due di Terzigno, nel Parco del Vesuvio, oggi epicentro della rivolta, a
chi sarebbe venuto dopo di lui: senza soldi, senza poteri, senza
progetti.
Con la legge123/ 2008
inoltre, fermo restando l’obbligo del completamento del
termovalorizzatore di Acerra (NA) da parte delle società già affidatarie
del servizio di gestione dei rifiuti,
si autorizza
lo smaltimento in discarica di rifiuti pericolosi
(quali ceneri, fanghi e idrocarburi) provenienti dagli impianti di
selezione e trattamento dei rifiuti. Viene inoltre imposta una
maggiorazione (tra il 15 e il 40 per cento) sulla tariffa di smaltimento
dei rifiuti indifferenziati a quei Comuni della Regione che non avessero
raggiunto gli obiettivi minimi di raccolta differenziata previsti dal
Piano regionale dei rifiuti (il 25 per cento dei rifiuti urbani
prodotti entro il 31 dicembre 2009, il 35 per cento entro il 31 dicembre
2010 e il 50 per cento entro il 31 dicembre 2011).
Leggere nella relazione
della sezione regionale della Corte dei Conti «si autorizza lo
smaltimento in discarica di rifiuti pericolosi provenienti dagli
impianti di selezione» porta a chiedersi quali e quanto siano efficienti
gli impianti di selezione, considerato che la relazione, resa pubblica
nel novembre 2010, redatta dal chimico Michele Moscariello, perito
nominato dal Comune di Boscoreale, rileva che «i risultati delle analisi
dell’arpac e dell’Asia hanno evidenziato il superamento dei limiti
di legge di molti parametri, tra cui quelli relativi a metalli
pericolosi, e la presenza di sostanze fortemente cancerogene; appare
grave ed incomprensibile che non siano state adottate le procedure
previste»[8].
Attraverso la stessa
legge «si autorizza la
realizzazione di ulteriori tre termovalorizzatori in Province diverse
nonché lo stoccaggio a tempo indeterminato».
Gli incentivi
cip 6 e gli
interessi dell’abi
Gli inceneritori
possono funzionare, dal punto di vista finanziario, grazie agli
incentivi che lo Stato preleva da ogni bolletta, i Cip 6, e che destina
alle risorse rinnovabili, ossia agli inceneritori, considerate energie
rinnovabili assimilate.
Gli incentivi
cip 6 sono stati indicati
dai comitati di cittadini di Acerra, Chiaiano, delle altre comunità
della Campania più colpite dall’emergenza rifiuti, come il “fondamento
finanziario” e la ragion d’essere degli inceneritori, le cui spese di
realizzazione, gestione e manutenzione questi incentivi statali
sarebbero insostenibili per le società vincitrici dell’appalto. Tesi
sostenute negli ultimi anni anche dal Coordinamento Regionale Rifiuti
Campania e dall’Assise dei cittadini di Napoli.
Una lettera del 13
ottobre 1998 inviata dall’allora direttore dell’abi,
a nome dell’intero sistema bancario italiano, Giuseppe Zadra, e
indirizzata ad Antonio Rastrelli, allora presidente della Regione
Campania e delegato all’emergenza rifiuti, è utile a comprendere la mole
degli interessi finanziari legati alla questione rifiuti. Come riporta
Paolo Rabitti, ingegnere e consulente tecnico della procura di Napoli
per i processi che vedono imputati Antonio Bassolino e la
fibe Impregilo, nel suo
libro Ecoballe, Rabitti nel
2008 scriveva che l’Associazione delle Banche
si permette di
proporre al commissario di penalizzare i Comuni che organizzando una
vera raccolta differenziata, semplicemente rispetterebbero quanto
disposto dall’Ordinanza Napolitano: in altri termini si chiedeva di
obbligare quei comuni che fossero riusciti a limitare la quantità di
rifiuti grazie alla raccolta differenziata a versare la tariffa anche
per la quantità non apportata. Una delle clausole proposte dall’Abi è
quella di legare la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti alla loro
capacità di produrre calore. Come farebbero a produrre energia se si
raccogliesse in modo differenziato il 25% tra imballaggi e frazione
secca, cioè quella che produce calore? L’inceneritore è il vero affare.
E i soldi a chi devono andare? All’Impregilo e alle Banche.
L’inceneritore di
Acerra
L’ingegnere Rabitti, a
proposito della gara d’appalto del 2008 relativa alla produzione di
cdr e all’inceneritore,
scrive che è stata vinta dalla
fibe Impregilo con il progetto peggiore proposto ma con un prezzo
di realizzazione di gran lunga inferiore ai concorrenti, parametro
fissato in quella gara come determinante. Zadra, a nome dell’abi,
interviene anche nella gara d’appalto e in una lettera a Rastrelli
spiega: «l’interesse delle banche si giustifica inoltre per il fatto che
le gare previste in Campania sono le prime ad essere lanciate nel
settore dei rifiuti in Italia. Ciò lascia ritenere che altre regioni
seguiranno il loro esempio». A gestire l’inceneritore
multiutility la società
a2a, che gestisce
l’inceneritore di Brescia e ora quello di Acerra, ha come azionisti di
controllo il comune di Milano e il comune di Brescia, ciascuno dei quali
ha una partecipazione al 27%. L’a2a
detiene la maggioranza della Delmi, che a sua volta è il principale
azionario della Edison. Giuliano Zuccoli è presidente del consiglio di
gestione dell’a2a e presidente
dell’Edison, S.p.A. leader nella fornitura di energia elettrica. In un
articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 1 dicembre 2008, Massimo
Mucchetti ripercorre nei dettagli finanziari le vicende che portano alla
nascita dell’a2a e segnala
gravi mancanze nella trasparenza del comitato di sorveglianza. Dato
importante: tra il 2007 e il 2008 il bilancio dell’a2a
è in passivo e in costante declino.
L’inceneritore di
Acerra verrà inaugurato il 26 marzo 2009 dal Presidente del Consiglio
Silvio Berlusconi, nonostante i collaudi fossero ancora in corso.
Nel mese di novembre
2010 l’inceneritore di Acerra è attivo solo in una delle tre linee; i
cittadini e “Medici per l’Ambiente” hanno segnalato fumo nero visto
fuoriuscire dai camini dell’inceneritore, e ceneri depositatesi su
terreni e frutteti. L’arpac
ha riportato gli sforamenti dei limiti di tossicità delle emissioni
dell’inceneritore, ma i comitati sostengono che i dati più allarmanti,
ad esempio quelli relativi al piombo e al mercurio, siano tenuti
nascosti. Tommaso Sodano, ex senatore, aveva inoltrato una denuncia nel
2009 per chiedere la chiusura dell’impianto, e a ottobre 2010 la Procura
di Napoli ha aperto un’inchiesta. Sono previsti altri quattro
inceneritori nel territorio campano, di cui uno a Salerno ed uno a
Napoli EST.
Il decreto-legge 30
dicembre 2009, n. 195, convertito, con modificazioni, in legge 26
febbraio 2010, n. 26, ha introdotto nell’ordinamento giuridico nazionale
alcune disposizioni integrative e correttive per:
la riforma della struttura commissariale
(da ridurre a due sole unità, l’una di stralcio e l’altra operativa) da
affiancare agli enti territoriali ordinariamente competenti; il
trasferimento della proprietà del termovalorizzatore di Acerra
dall’attuale concessionario ad altro ente pubblico; la gestione di
impianti di selezione e trattamento dei rifiuti nonché il deposito e lo
stoccaggio temporaneo dei rifiuti; l’assegnazione ai Presidenti delle
Province dei compiti di programmazione del servizio di gestione
integrata dei rifiuti da organizzarsi all’interno dei rispettivi ambiti
territoriali; l’attribuzione alle Società provinciali della facoltà di
subentrare ai Consorzi di Bacino nei contratti in corso con soggetti
privati svolgenti attività di raccolta, trasporto, trattamento,
smaltimento ovvero recupero dei rifiuti, nonché della funzione
esattoriale della tarsu e
della tia ai fini del recupero degli importi evasi; la riscossione
dei crediti vantati dai Consorzi di Bacino e dalla Struttura del
Sottosegretario di Stato nei confronti dei Comuni.
La legge regionale 21
gennaio 2010, n. 2 (finanziaria regionale per l’anno 2010), con l’art.
1, comma 68 (che introduce il comma 1- bis all’art. 10 della legge
regionale n. 4/2007), ha inteso conservare ai singoli Comuni (o a loro
associazioni) l’esercizio di funzioni connesse al servizio di gestione
integrata dei rifiuti nei territori di rispettiva competenza,
compatibilmente con le finalità strategiche fissate dagli strumenti di
pianificazione regionale e provinciale.
Le fasi dell’emergenza
Secondo la ricostruzione fornita dalla sezione regionale della Corte dei Conti «la ultradecennale storia dell’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Campania ha inizio con il DPCM 11 febbraio 1994, che dichiara lo stato di emergenza in conseguenza della mancanza di un adeguato sistema impiantistico a supporto del trattamento dei rifiuti». In attuazione di quanto stabilito da detto Piano regionale (pubblicato il 14 luglio 1997 dopo varie rimodulazioni e aggiornamenti) e in osservanza dell’ordinanza del Ministro dell’interno delegato per il coordinamento della protezione civile n. 2774 del 31 marzo 1998, venne indetta una gara d’appalto per affidare (per un periodo di dieci anni) il trattamento dei rifiuti ad operatori privati capaci di realizzare impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti (cdr) nonché impianti per l’incenerimento[9]. Quindi, si autorizzò alla entrata in funzione (pur con notevoli ritardi rispetto ai tempi programmati) dei sette impianti previsti per la selezione della frazione indifferenziata e la produzione di cdr, nonostante i lavori per la realizzazione degli unici due previsti impianti industriali di termovalorizzazione dei rifiuti non fossero ancora avviati a causa di carenze nella progettazione e difficoltà incontrate per la loro localizzazione[10].
Era dunque prevedibile che, nelle more della realizzazione dei due
termovalorizzatori di Acerra (NA) e di Santa Maria La Fossa (CE) nonché
di un’efficace servizio di raccolta differenziata, finissero per
accumularsi ingenti quantità di rifiuti (confezionati dagli impianti di
produzione di cdr in
“balle”), con necessità di reperimento di vaste aree di territorio da
destinare al loro stoccaggio temporaneo. La grave situazione di
emergenza in cui era precipitata la Regione nel 2001, per effetto della
saturazione (e conseguente chiusura) delle due più grandi discariche di
rifiuti presenti nel territorio regionale (Tufino e Parapoti), ha reso
impossibile la realizzazione (data l’esigenza di smaltire il più
rapidamente possibile la notevole quantità di rifiuti, in varia misura
accumulati anche nelle strade) di una efficace selezione dei rifiuti
(mediante tritovagliatura e stabilizzazione biologica) e di una regolare
gestione degli impianti per la produzione del
cdr attraverso l’attuazione
dei necessari interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Ciò
determinava, da un lato, il progressivo scadimento della qualità del
trattamento dei rifiuti e del conseguente
cdr contenuto nelle “eco-balle” (non più conforme ai
parametri indicati dal D.M. 5 febbraio 1998), dall’altro,
l’inutilizzabilità della frazione organica stabilizzata (fos),
ma, soprattutto, la perdita di qualsivoglia vantaggio (in termini di
quantità e/o di qualità) rispetto al tradizionale smaltimento dei
rsu direttamente in
discarica (il cui fabbisogno finiva, comunque, per raddoppiare)[11].
Le cause
Secondo la sezione
regionale della Corte dei Conti:
a determinare
la situazione di paralisi avevano concorso molteplici cause, tra le
quali si richiamano: l’erronea programmazione dei tempi di realizzazione
degli impianti (con conseguente mancata individuazione delle necessarie
aree di stoccaggio del cdr e delle discariche di supporto); i ritardi nella
conclusione delle procedure autorizzative degli impianti di utilizzo del
cdr e di
termovalorizzazione; le difficoltà nella localizzazione e realizzazione
degli impianti a supporto del ciclo (compresi quelli a supporto della
raccolta differenziata); le forti opposizioni locali, sostenute anche
dalle Amministrazioni comunali, conseguenti anche all’assenza di una
preventiva valutazione di impatto ambientale dei siti prescelti;
l’affidamento ad un soggetto unico (l’ati. Fibe-fisia
Impianti S.p.A.) della costruzione e gestione dell’intero servizio di
trattamento e smaltimento della frazione a valle della raccolta
differenziata (compresa la scelta in ordine alla localizzazione degli
impianti), la cui crisi di liquidità, conseguente ai notevoli esborsi
dovuti per fronteggiare l’emergenza ed al sequestro giudiziario (per
fatti penalmente rilevanti) della somma di 750 milioni di euro, ne
avrebbe poi, di fatto, paralizzato l’attività;[12]
il sovraccarico degli impianti ed il conseguente loro malfunzionamento;
gli insufficienti livelli di raccolta differenziata; l’eccessiva
frammentazione nella gestione locale del servizio di raccolta dei
rifiuti (dovuta alla mancata attuazione degli
ato).
La crisi del 2008
Una nuova e più grave
crisi è scoppiata agli inizi del 2008 a causa della chiusura di uno dei
più grandi siti di stoccaggio di eco-balle (quello di Taverna del Re, a
Giugliano in Campania) determinando il contemporaneo blocco di tutti gli
impianti di produzione di cdr
e, quindi, la chiusura del più significativo sbocco alla raccolta
quotidiana dei rifiuti. I mezzi delle aziende comunali e consortili,
fermi all’ingresso dei detti impianti, non poterono sversare il loro
carico di rifiuti e rendersi, quindi, nuovamente disponibili per le
attività di raccolta, con il conseguente accumulo di considerevoli
quantità di rifiuti sulle strade regionali[13].
Per fronteggiare la
situazione e creare, contestualmente, le premesse per un rapido e
definitivo superamento dell’esperienza commissariale, veniva separata
l’attività di gestione del ciclo dei rifiuti da quella attinente alla
liquidazione delle posizioni debitorie e creditorie pregresse,
nominando, a tal fine, due distinti Commissari delegati, così da
permettere al primo di concentrare l’attività sugli obiettivi operativi
del ripristino della raccolta dei rifiuti e dell’attivazione dei siti da
destinare a discarica, e al secondo di concentrare il proprio mandato
sulla gestione e liquidazione dei rapporti pregressi e sugli interventi
necessari per accelerare il passaggio delle funzioni dalla Struttura
commissariale agli Enti territorialmente competenti in via ordinaria[14].
Un terzo mandato commissariale veniva conferito anche al Sindaco di
Salerno, con il compito di provvedere alla localizzazione, progettazione
e realizzazione non solo del nuovo impianto di termodistruzione ma anche
degli impianti connessi al ciclo integrato dei rifiuti ed alla raccolta
differenziata nel Comune di Salerno.
La sezione regionale
della Corte dei Conti afferma che:
con
l’apertura delle discariche di Savignano Irpino (AV) e Sant’Arcangelo
Trimonte (BN), l’impiego del sito di stoccaggio provvisorio di
Ferrandelle (CE) e, successivamente, l’entrata in funzione dell’impianto
di Acerra (affidato per 15 anni, dopo il collaudo, alla gestione della
società a2a S.p.A.), è stato
possibile avviare a soluzione le maggiori criticità del territorio,
realizzando lo smaltimento in discarica di circa 125.000 tonnellate di
rifiuti prodotti e accumulati un po’ ovunque, il trasferimento della
frazione umida e delle ecoballe dagli impianti di selezione e
tritovagliatura presso i quali erano state stoccate e l’incenerimento
(con recupero di energia) di circa 200.000 tonnellate di “balle secche”
l’anno. L’entrata in funzione, nel corso del 2009, di tre nuove grandi
discariche – San Tammaro (CE), Chiaiano (NA) e Terzigno (NA) – ha poi
favorito il progressivo normalizzarsi della situazione[15].
La sezione regionale
della Corte dei Conti parla nel settembre del 2010 di decisioni che
avrebbero portato al normalizzarsi
della situazione. Tuttavia i miasmi provenienti dalla discarica Sari di
Terzigno sono prova di una mancanza di protezioni igienico sanitarie,
che sembra avere un rapporto diretto con il forte aumento percentuale di
allergie e problemi respiratori registrato nell’area, e gli sversamenti
continui e anche in pieno giorno nella discarica di Chiaiano, distante
in linea d’aria a meno di 2 km dalla zona ospedaliera, e le conseguenti
proteste dei cittadini, che per mesi hanno tentato di fermare con il
proprio corpo gli automezzi, sono segnali di una permanente condizione
di tensione e pericolo. Manifestazioni, è doveroso rimarcarlo, di
resistenza non violenta; i facinorosi che hanno cercato uno scontro con
le forze dell’ordine sono una minoranza; esiste il sospetto di
appartenenza alla criminalità organizzata dei pochi facinorosi. Sono in
corso indagini del pool
coordinato dal procuratore aggiunto Rosario Cantelmo sulla presunta
partecipazione della camorra alle proteste di piazza[16].
È doveroso ricordare
che anche l’ultima crisi, come le precedenti, era evitabile: dopo il
decreto del 2008 che rendeva le discariche «zone di interesse strategico
militare» numerose erano state le manifestazioni che denunciavano la
riapertura di siti non a norma, possibile in deroga alla norme solo in
base allo stato di emergenza. Nel suo libro
Ecoballe, pubblicato nel 2008,
Paolo Rabitti, scriveva, a pag 121:
la motivazione del sequestro del sito di
stoccaggio di Terzigno è un esempio della cura con cui avveniva
l’individuazione dei siti. Nel corso di vari sopralluoghi il personale
tecnico del Parco del Vesuvio accerta che molte eco balle sono lacerate
e collocate direttamente sul terreno, senza alcuna protezione. I tecnici
segnalano forti esalazioni dovute a processi putrefattivi in atto sul
materiale organico presente all’interno del
cdr. Lungo la strada che
conduce all’area di stoccaggio si nota una striscia di liquido
maleodorante, indicativa del percolato proveniente dal
cdr. C’è quindi il concreto
pericolo di infiltrazione del percolato nel sottosuolo, oltre al
disturbo dovuto ai gas maleodoranti emanati da molte ecoballe lacerate.
Il pm decide di sequestrare l’area, nella quale risultano 750 ecoballe
che occupano un’area di 840 mq, per un volume di 1600 mc.
Rabitti segnala che a
Villa Literno nel 2008 erano presenti due milioni di eco balle
“stracciate”, ossia non integre. Le informazioni erano disponibili sin
dal 2008, tuttavia a Terzigno il governo è intervenuto solo ad ottobre
2010, in seguito alle proteste quotidiane ed al blocco degli automezzi
che i cittadini provavano ogni notte a sostenere.
Responsabilità della
raccolta differenziata a Napoli
Dalla fine del mese di
settembre 2010 la città di Napoli, anche se solo in alcuni giorni ha
subito l’interruzione della raccolta di rifiuti. «La fase acuta
dell’emergenza rifiuti in Campania potrebbe ripresentarsi nei prossimi
mesi in Campania con le stesse modalità del dicembre 2007, ma con
l’aggravante che non ci sono più soldi per affrontarla» spiegava Daniele
Fortini, amministratore delegato dell’asia
Napoli, durante la presentazione del suo libro
Rifiuti, una questione non risolta, avvenuta nel settembre 2010 a
Napoli, e segnalava il rischio non lontano di una nuova crisi
ambientale, «Crisi che non finirà mai fino a quando non si creerà un
sistema integrato di ciclo dei rifiuti, con realizzazione di impianti di
compostaggio, fornitura di nuovi automezzi, finanziamento della raccolta
riciclata porta a porta».
Secondo l’assessore
regionale all’ Ambiente Giovanni Romano la crisi «è dovuta ai sindaci
che non fanno la raccolta differenziata»[17].
L’amministratore dell’Azienda speciale igiene ambientale Daniele Fortini
afferma invece che
per fare la raccolta differenziata porta
a porta occorrono 7 euro all’anno per abitante ed il comune di Napoli
negli ultimi 5 anni non ha ricevuto per questo servizio nemmeno 1 euro
dalla Regione, dallo Stato o dal Conai, diversamente da altri comuni
come Salerno. A Napoli dai 136.000 abitanti serviti porta a porta si
prevedeva di passare entro fine 2010 a 200.000, ma sono finiti i soldi.
Si ricorda che sul
territorio sono presenti migliaia di operatori, i precari
bros, con formazione in
campo ambientale ma senza impiego.
La questione centrale
secondo Fortini è la riduzione dei finanziamenti
lo Stato centrale non è più disposto a
sborsare un euro. In più i finanziamenti
fas destinati alla Regione
Campania per fronteggiare la crisi con la sentenza europea del 4 marzo
2010 sono stati sospesi fino a quando lo Stato Italiano non sarà in
grado di dimostrare di aver ottemperato alla creazione di un ciclo
integrato dei rifiuti.
L’Europa, secondo
quanto riportato da Fortini, chiede che si passi ad una raccolta
differenziata del 50%, che vengano realizzati impianti, non solo
discariche, e in caso di necessità anche altri inceneritori:
So che
l’inceneritore di Acerra è sottoposto a numerosi controlli, anche se non
è uno dei migliori d’Italia. In quell’inceneritore viene bruciato trito
vagliato secco tal quale, ossia plastica, gomma e altro, che non essendo
cdr, non può essere portato fuori dalla Campania per lo
smaltimento.
La situazione nel
Novembre 2010
Alla data del 12
novembre 2010 le discarica di Taverna del re Giugliano, risulta essere
chiusa, e sulla precedente riapertura della discarica sta indagando il
pool di magistrati coordinato
dal procuratore aggiunto Aldo De Chiara[18].
È saturo l’impianto di trattamento di Tufino ed è vicina allo stop la
stessa struttura di Caivano. Resta a disposizione di Napoli solo la
discarica cittadina di Chiaiano che ingoia ogni notte 700 delle 1200
tonnellate di rifiuti prodotte. Da qui il rischio di vedere rapidamente
moltiplicare le montagne di spazzatura per le strade di Napoli[19].
A Terzigno la
mobilitazione dei cittadini continua, i comitati chiedono la messa a
norma della discarica di cava Sari e la cancellazione dalla legge 123
del 2008 di cava Vitiello come sito di smaltimento dei rifiuti, cava
collocata all’interno del parco nazionale del Vesuvio.
Responsabilità
La sezione regionale
della Corte dei conti afferma che gli amministratori locali
responsabilità per quanto concerne le prime fasi dell’emergenza.
Aggiunge però che
il perdurante ricorso alla gestione
straordinaria ha comportato il radicamento delle Strutture
commissariali, le quali hanno assunto un ruolo omnicomprensivo di
programmazione, attuazione e gestione dell’intero ciclo dei rifiuti, con
la graduale esternalizzazione delle funzioni e la tendenza alla
deresponsabilizzazione da parte dei livelli istituzionali ordinariamente
competenti in materia.
Al fine di poter
individuare le responsabilità, ricordando che i commissari straordinari
sono nominati dal governo, è utile riportare i nomi dei commissari di
governo succedutisi dal 1994 al 2010 e la durata del loro mandato.
Umberto
Improta |
11/02/1994
– 18/03/1996 |
Antonio
Rastrelli |
18/03/1996
– 18/01/1999 |
Andrea
Losco |
18/01/1999
– 10/05/2000 |
Antonio
Bassolino |
10/05/2000
– 27/02/2004 |
Corrado
Catenacci |
27/02/2004
– 09/10/2006 |
Guido
Bertolaso |
09/10/2006
- 05/07/2007 |
Alessandro
Pansa |
09/10/2006
- 05/07/2007 |
Umberto
Cimmino |
06/07/2007
– 31/12/2007 |
Gianni De
Gennaro |
11/01/2008
– 26/05/2008 |
Vincenzo De
Luca |
16/01/2008
– 30/12/2009 |
Goffredo
Sottile (*) |
30/01/2008
– 10/06/2008 |
Guido
Bertolaso |
23/05/2008
- 30/12/2009 |
È opportuno rimarcare
che Antonio Bassolino per tre anni, dal 2001 al 2004, durante i quali
era presidente di Regione, è stato Commissario del Governo di cui Silvio
Berlusconi era Presidente del Consiglio; fatto, quello di attribuire
competenze straordinarie a organi ordinari rivelatisi incapaci di
provvedere ai loro compiti, che in una relazione del 2005[20]
la Corte dei Conti definisce “paradossale”.
Altra considerazione da
mettere in luce è relativa al fatto che Guido Bertolaso è stato nominato
commissario sia sotto il governo Prodi che sotto il governo Berlusconi.
I rischi per la salute
Antonio Marfella,
oncologo del Pascale di Napoli spiega che l’organismo umano è lapidato
da “sassi cancerogeni”, diossina, polveri sottili, amianto, che
aumentano il rischio di contrarre tumori. «Bisogna ridurre le fonti di
inquinamento, discariche non a norma, inceneritori, traffico, perché
sono tutte nocive anche se non si sa quando il sasso sarà mortale». Si
ricordano le ricerche già pubblicate: nel 2004. La rivista scientifica
internazionale «The Lancet Oncology» ha riportato uno studio di Kathryn
Senior e Alfredo Mazza, quest’ultimo ricercatore del
cnr di Pisadal, dal titolo
Italian “Triangle of death” linked
to waste crisis (Il “Triangolo
della morte italiano” collegato alla crisi dei rifiuti); nel 2007 un
ulteriore studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Istituto
Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche e Regione
Campania ha monitorato in 196 comuni campani la mortalità per tumori e
le malformazioni congenite nel periodo dal 1994 al 2002.
Altre ricerche,
riguardanti soprattutto casi di mesotelioma pleurico, pubblicate tra il
2006 e il 2009, sono state effettuate dal gruppo di lavoro coordinato
dal dottor Ciannella:
nel 2009 noi ricercatori del Monaldi
abbiamo riscontrato in Campania un aumento del 50% delle neoplasie
tumorali pleuriche rispetto agli anni pregressi, e ogni anno
diagnostichiamo 750 tumori polmonari non legati all’abitudine del fumo.
Il rapporto diretto con le discariche abusive è dimostrato: l’area di
Bagnoli, Pianura, Soccavo, Portici, San Giorgio a Cremano, Marigliano,
san Giuseppe Vesuviano, sono le aree dove si rileva il più alto tasso di
neoplasie, per le discariche abusive, l’inquinamento delle falde
acquifere e dell’aria. Per l’amianto il rischio non è più lavorativo, ma
abitativo. I progressi della medicina in campo di diagnosi preventiva
sono insufficienti perché le cure non sono migliorate. L’Organizzazione
Mondiale della Sanità ha comunicato che i progressi per la salute
dell’uomo sono legati alla bonifica dell’ambiente. La prevenzione
ambientale costa molto meno delle cure. Noi chiediamo un registro dei
tumori, monitoraggio ambientale del territorio, centraline per il
rilevamento delle polveri sottili, monitoraggio biologico, ossia analisi
del sangue a campione. La gente deve sapere, altrimenti rischiamo nei
prossimi anni un’ecatombe di tumori.
Anche il suolo è
contaminato. Il dottor Gennaro Esposito porta con sé un sacchetto con un
caco, un mandarino e un limone, sono ricoperti di sostanze di colore
scuro.
Un contadino di Acerra ha voluto farmeli
vedere, sono ricoperti di oli combustibili, difficili da raschiare via.
Le cause sono la centrale a biomasse che brucia olio di palma e
probabilmente l’inceneritore. L’asl,
informalmente, ci ha detto che 3 campioni di frutta di Acerra su 68 sono
contaminati da oli combustibili. Noi chiediamo un’analisi su almeno 1000
campioni. I cittadini non conoscono i valori delle emissioni
dell’inceneritore. Le tre centraline non sono sufficienti. Mancano i
dati relativi ai valori emessi dal camino. Nell’inceneritore viene
sversato tritovagliato tal quale, cioè spazzatura triturata, che non
andrebbe smaltita così. Il direttore dell’arpac
Volpicelli non ha ancora reso noti tutti i dati sulle emissioni. L’a2a
se ne disinteressa, perché riceve i fondi cip 6.
La seguente tabella effettua una comparazione tra gli
indici di mortalità per tumori tra Italia, Campania e nell’area di
competenza dell’
asl
NA4 denominata “Triangolo della morte”.
Indice di mortalità per
tumori (Italia, Campania, asl
NA4) (Fonte “The Lancet Oncology”
2004)
Tumore |
Italia |
Campania |
Asl NA4 |
Fegato
(uomini) |
14,0 |
15,0 |
38,4 |
Fegato
(donne) |
6,0 |
8,5 |
20,8 |
Vescica
(uomini) |
16,6 |
21,7 |
22,9 |
Vescica
(donne) |
3,8 |
4,2 |
4,3 |
Sistema
nervoso
(uomini) |
6,2 |
7,1 |
8,5 |
Sistema
nervoso
(donne) |
4,8 |
4,1 |
5,6 |
Possibili soluzioni
della crisi
La sezione regionale
della Corte dei Conti indica
le seguenti cause della crisi:
gli insufficienti livelli di raccolta differenziata;
il malfunzionamento e sovraccarico degli impianti di
selezione;
l’insufficienza degli impianti di compostaggio di
qualità;
i ritardi nella realizzazione del termovalorizzatore
di Acerra;
l’eccessivo frazionamento del servizio di raccolta e
trasporto dei rifiuti urbani;
la temporanea assenza
di sufficienti volumi di discarica.
Il mancato decollo della raccolta
differenziata è da ricondurre ad una strategia sino ad ora incentrata
sulla filiera del “recupero energetico” (vale a dire sulla impiantistica
da cdr a supporto dei termovalorizzatori) anziché
sulla realizzazione di infrastrutture a sostegno della filiera del
“recupero di materia” (isole ecologiche, impianti di selezione e
valorizzazione della frazione secca, impianti di compostaggio e
digestione anaerobica nonché di recupero di rifiuti inerti).
Il sovradimensionamento degli impianti
di cdr
ed il sostegno economico legato agli incentivi
cip 6/92, 138 fungendo da
catalizzatore di ingenti quantitativi di rifiuti indifferenziati, ha
costituito, infatti, un disincentivo alla implementazione della raccolta
differenziata, tant’è che con la progressiva crescita di quest’ultima e
la contestuale riduzione del fabbisogno di trattamento e smaltimento dei
rifiuti urbani residui (rur),
è emersa una significativa disponibilità degli impianti stessi, con la
contestuale esigenza di evitarne il sottoutilizzo attraverso il loro
recupero funzionale e la riconversione ad altri usi (stir).
Ma il più serio limite
del sistema campano è costituito, tuttavia, dalla insufficienza di
impianti di compostaggio e digestione anaerobica della frazione organica
dei rifiuti solidi urbani (forsu).
La situazione è tale che pur attivando tutti gli impianti esistenti e
quelli progettati ed in attesa di finanziamento, si potrebbe far fronte
soltanto all’80% del fabbisogno richiesto per supportare una raccolta
differenziata di appena il 35%.
Sotto questi profili,
la Campania figura come un’anomalia nel panorama delle Regioni italiane,
in quanto presenta la più alta percentuale di rifiuti sottoposti a
trattamento meccanico-biologico insieme a una delle più basse
percentuali di compostaggio dei rifiuti organici.
Il Comitato Regionale
Rifiuti della Campania afferma che con la differenziata i comuni
sostengono maggiori costi per la raccolta (più personale, più mezzi,
maggiore complessità di gestione) ma risparmiano sullo smaltimento in
discarica e sui vari siti di trasferenza e stoccaggio. In più ricevono i
seppur esigui contributi conai.
Si segnala il risultato di comuni nel nord Italia che spendono meno con
la differenziata di quanto spendevano prima non differenziando.
Il CoReRi sostiene che
I cittadini campani
producono ogni anno circa 930.000 tonnellate di frazione organica. Se
questa venisse interamente separata dal resto dei rifiuti a monte della
raccolta (ipotesi però poco realistica) servirebbero poco più di una
trentina di impianti di compostaggio da 30.000 t/a (che è la dimensione
più frequente per questi impianti, il cui costo non dovrebbe superare i
10 milioni di Euro ad impianto. Con i 350 milioni di Euro che il
governo, o la Regione, intende spendere per comprare l’inceneritore di
Acerra si potrebbero costruire ex novo tutti gli impianti di
compostaggio necessari per trattare tutta la frazione organica prodotta
in regione in un anno). Facendo l’ipotesi più realistica di riuscire a
recuperare almeno 450.000 t/a di frazione organica (lo prevedono le
Linee programmatiche approvate dalla Regione Campania nel 2009) e
ipotizzando di utilizzare per almeno il 25% frazioni di matrice
ligno-cellulosica (importanti per ottenere un compost di buona qualità)
servirebbero poco meno di 20 impianti di compostaggio (19 per la
precisione). Oggi anche un solo impianto per l’intera provincia di
Caserta sarebbe più che sufficente perché la quantità di frazione
organica raccolta è tutto sommato esigua (quello che non viene portato
fuori regione viene rimischiato con l’indifferenziato per essere
sversato in discarica). E l’impianto di San Tammaro, completo all’80% da
più di tre anni e mai entrato in funzione sarebbe utile. Lo stesso
dicasi per Benevento e Avellino. Un paio di impianti per Salerno e
almeno 5 per Napoli. Solo per far fronte al problema immediato nel
prossimo anno. La costruzione ex novo di un impianto di compostaggio
richiede mediamente circa 6 mesi di lavoro dalla stipula del contratto
alla consegna dell’impianto. I cosiddetti impianti di
cdr esistenti in Campania (ce ne sono 7) sono in realtà
impianti di tmb ed hanno
già oggi una capacità di trattamento superiore a quella necessaria
(siamo oltre il 120%, a Caserta oltre il 140%).
Il CoReRi ritiene che
gli impianti di tmb vadano
trasformati in impianti di Trattamento meccanico manuale (tmm),
con l’aggiunta di un estrusore. Ciò consentirebbe di evitare la
produzione di cdr da
destinare all’incenerimento, che è il prodotto finale di un impianto di
tmb.
La capacità
impiantistica è già disponibile. E la ristutturazione degli impianti
potrebbe richiedere complessivamente al massimo un anno di lavoro.
Ricapitolando, secondo
il CoReRi, i passaggi di un efficiente ciclo dei rifiuti sono:
- separazione iniziale
secco-umido;
- l’umido avviato agli
impianti di compostaggio o - ancora meglio - alle aziende agricole
limitrofe che lo lavorerebbero;
- il secco avviato alla
filiera del riciclo, e la parte secca residua avviata al
tmm per essere
ulteriormente differenziata e trasformata in granulato sintetico per
costruire fondi stradali, panchine, materiali per l’edilizia.
DICEMBRE 2010
[1]
Guido Viale «La Repubblica», ottobre 2010, pp. 13, 24.
[2]
por Campania
2007-2013.
[3]
Tra le molteplici direttive del settore si segnalano in
particolare:
- la direttiva
22 dicembre 1986, n.87/101/CEE, che modifica la direttiva
75/439/CEE concernente l’eliminazione degli oli usati (ad esse
il Governo italiano ha dato attuazione con il d.lgs. 27 gennaio
1992, n. 95); tra l’altro, la direttiva rende prioritario il
trattamento degli oli usati mediante rigenerazione;
- la direttiva
26 aprile 1999, n.1999/31/CE (recepita dal Governo italiano con
il d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 e relativo D.M. 13 marzo 2003
di attuazione) con la quale si introduce il divieto di inviare a
discarica rifiuti che non abbiano subito una qualche forma di
trattamento, ad eccezione di quei rifiuti, come gli inerti, il
cui trattamento non sia tecnicamente possibile; la direttiva
sancisce, altresì, il principio in base al quale tutti i costi
derivanti dalla realizzazione dell’impianto e dall’esercizio
delle discariche, nonché i costi stimati di chiusura e bonifica
per un periodo di almeno trenta anni, siano coperti dal prezzo
applicato dal gestore;
- la direttiva
18 settembre 2000, n.2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso a
due o tre ruote (ad essa il Governo italiano ha dato attuazione
con il d.lgs. 24 giugno 2003, n. 209, come modificato dal d.lgs.
23 febbraio 2006, n. 149);
- la direttiva
4 dicembre 2000, n.2000/76/CE (recepita dal Governo italiano con
il D.Lgs. 11 maggio 2005, n. 133) sull’incenerimento dei rifiuti
non pericolosi diversi da quelli urbani (come i fanghi di
depurazione, i pneumatici e i residui di origine medica) e dei
rifiuti pericolosi esclusi dalla direttiva n.94/67/CE (come gli
oli usati e i solventi);
- la direttiva
n.2002/96/CE (anche nota come
raee), volta a
prevenire e limitare il flusso di rifiuti di apparecchiature
elettriche o elettroniche destinate alle discariche, attraverso
politiche di riuso e riciclaggio degli apparecchi e dei loro
componenti (tale direttiva, modificata dalla direttiva
n.2003/108/CE, applica il concetto della responsabilità estesa
del produttore (“chi inquina paga”) e introduce il principio del
“vuoto a rendere” per i rifiuti elettronici (consistente nel
ritiro gratuito, da parte del negoziante, delle vecchie
apparecchiature con componentistica elettronica al momento
dell’acquisto delle nuove); ad essa il Governo italiano ha dato
attuazione con il D.Lgs. 25 luglio 2005, n. 151, le cui previste
date di entrata in vigore del nuovo sistema
raee sono state
prorogate, dapprima, con D.L. n. 173/2006, poi, con D.L. n.
300/2006 (c.d. “Milleproroghe”);
- la direttiva
11 febbraio 2004, n.2004/12/CE, che modifica la direttiva
n.94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, afferma
il principio secondo il quale l’incenerimento dei rifiuti di
imballaggio in impianti di recupero concorre al raggiungimento
degli obiettivi complessivi di recupero da raggiungere entro il
31 dicembre 2008; ad essa il Governo italiano ha dato attuazione
con il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. decreto “Ronchi”);
- la direttiva
6 settembre 2006, n.2006/66/CE, come modificata dalla direttiva
11 marzo 2008, n.2008/12/CE relativa ai rifiuti di pile e
accumulatori (abrogativa della direttiva n.91/157/CEE); l’Italia
non ha ancora emanato un decreto di recepimento di questa
direttiva.
[4]
Nel procedere alla revisione della direttiva quadro sui rifiuti,
si è inteso, tra l’altro, incorporare anche la direttiva sui
rifiuti pericolosi (n.91/689/CEE), quella sugli oli usati
(n.75/439/CEE) nonché le direttive sulle emissioni degli
impianti industriali, tra cui:
- la direttiva n.96/61/CE (c.d.
ippc);
- la direttiva n.1999/13/CE, sulle delle emissioni di
composti organici volatili di talune attività industriali;
- la direttiva n.2000/76/CE, sull’incenerimento dei
rifiuti;
- la direttiva n.2001/80/CE, sui grandi impianti di
combustione;
- le direttive n.78/176/CEE, n.82/883/CEE e
n.92/112/CEE, sui rifiuti provenienti dall’industria del
biossido di titanio.
[5]
La normativa quadro per il trattamento termico di qualsiasi
forma di rifiuto e per le condizioni di esercizio degli impianti
di termovalorizzazione è stata dettata dalla direttiva
n.2000/76/CE, recepita tardivamente dallo Stato italiano con il
D.Lgs. 11 maggio 2005, n. 133, soltanto dopo la condanna
inflitta dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee.
[6]
L’istituto del Commissariamento in materia di rifiuti
rappresenta un modello di intervento amministrativo
straordinario che, non trovando una fonte normativa specifica,
viene ricondotto nell’ambito degli interventi urgenti in materia
di protezione civile. L’art. 2 della legge 24 febbraio 1992, n.
225, istitutiva del Servizio nazionale di protezione civile,
autorizza, infatti, una deroga alle ordinarie competenze in casi
di «calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per
intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e
poteri straordinari». In tali evenienze, è prevista: a)
l’assunzione della gestione dell’emergenza da parte del
Presidente del Consiglio dei ministri, con la possibilità di
avvalersi di un Commissario delegato per l’attuazione degli
interventi; b) la potestà «di emanare ordinanze in deroga ad
ogni disposizione vigente», fatti salvi i principi generali
dell’ordinamento giuridico. La legittimità dell’esercizio di
questi poteri – da concordare con le Regioni interessate in base
a quanto disposto dall’art. 107 del D.Lgs. n. 112/1998 nonché
dall’art. 5, comma 4 bis, del D.L. n. 343/2001 – è stata
confermata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 127 del
1995, con la quale si è ritenuto che la legge n. 225/1995 fosse
applicabile anche all’emergenza ambientale in considerazione
della locuzione «altri eventi» che, per intensità ed estensione,
debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.
Sulla scorta di questa interpretazione, il Commissariamento
costituisce, dunque, un intervento sussidiario il cui scopo non
è la sostituzione tout
court e sine die dell’ente da supportare, bensì quello di affrontare una
situazione di emergenza che, per il suo carattere di
straordinarietà, supera l’ambito localistico ma che necessita,
pur sempre, di un tempestivo ripristino delle condizioni di
normalità.
[7]
Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 314 del
30 novembre 2009, l’art. 1, comma 1, lettere e) ed m), della
legge regionale n. 4/2008 è stato dichiarato incostituzionale
nella parte in cui ha abrogato la lettera p) dell’art. 10, comma
2, ed ha modificato l’art. 20 della legge regionale n. 4/2007,
con i quali si prevedeva, da un lato, che il piano regionale di
gestione dei rifiuti dovesse contenere «le misure atte
promuovere la regionalizzazione della raccolta, della
cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani», dall’altro, che
l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti
avvenisse «nel rispetto della normativa comunitaria, nazionale e
regionale» senza il limite dell’affidamento esclusivo ad un
soggetto a totale o prevalente capitale pubblico (introdotto
dalla legge n. 4/2008) in quanto ritenuto in contrasto con il
principio della libera concorrenza.
[8]
Ottavio Lucarelli, «La Repubblica», sezione cronaca di Napoli,
12 novembre 2010.
[9]
I predetti appalti vennero aggiudicati, nel corso dell’anno
2000, alle società fibe S.p.A. e fibe
Campania S.p.A., appartenenti al gruppo Impregilo.
[10]
«In base all’ordinanza n. 2774/1998, si prescriveva infatti:
- il raggiungimento del 35% di raccolta differenziata
entro il 1999;
- la
realizzazione degli impianti di combustione rifiuti e recupero
energetico, anche in variante al Piano regionale per lo
smaltimento dei rifiuti, in siti che siano nella disponibilità
delle imprese risultate aggiudicatarie a seguito dello
svolgimento di gare comunitarie;
- la realizzazione, entro il 1998, degli impianti di
selezione e trattamento delle due frazioni (secca e umida) del
rifiuto indifferenziato ed, entro il 2000, dei due inceneritori
previsti per il trattamento del
cdr.
Peraltro,
occorre considerare, a tale ultimo riguardo, che su
sollecitazione del Ministero dell’ambiente ed a seguito dell’opcm
n. 2560 del 2 maggio 1997, il Commissario delegato-Presidente
della Regione era stato indotto a ridimensionare sensibilmente
il numero dei termovalorizzatori da realizzare (portandoli da 7,
come previsto dal Piano originario, a2) e quello degli impianti
di produzione di cdr
(ridotti da 9 a 7).
Al fine di
evitare indebiti accumuli di
cdr per il tempo
necessario alla realizzazione degli inceneritori, l’ordinanza
prevedeva, altresì, che lo stesso, da un lato, sarebbe stato
bruciato in impianti alternativi extraregionali, dall’altro, che
non avrebbe potuto eccedere la metà dei rifiuti complessivamente
prodotti in Campania (ciò per non pregiudicare l’avvio della
raccolta differenziata). Si stabiliva, inoltre, che
l’elettricità prodotta dai termovalorizzatori avrebbe goduto,
per un periodo di 8 anni, degli incentivi finanziari
cip
6/92.
Ma già nel
1999, con le ordinanze n. 2948/1999 e 3011/1999, si ammettevano
gli scarsi risultati raggiunti e si provvedeva, da un lato, a
ridimensionare i valori obiettivo della raccolta differenziata,
portandoli dal 35% al 15% entro la fine del 1999 ed al 25% entro
i due anni successivi, dall’altro, a prorogare di un anno i
termini fissati per la stipula del contratto di gestione
relativo agli impianti di
cdr.
[11]
È quanto emerge dagli Atti della Commissione parlamentare
d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad
esso connesse, xiv
legislatura, Relazione territoriale sulla Regione Campania,
approvata nella seduta del 26 gennaio 2006, pp. 16 e ss.
[12]
Il citato provvedimento di sequestro penale, adottato
nell’agosto del 2007, è stato, alfine, annullato dalle Sezioni
Unite Penali della Corte di Cassazione, con rinvio al Tribunale
del Riesame di Napoli.
[13]
In quella situazione, gli unici canali di smaltimento
disponibili erano costituiti da:
- la discarica
di Macchia Soprana che, per improrogabili lavori di adeguamento,
poteva smaltire non più di 1.600 tonnellate al giorno (pari
circa ad un quinto del fabbisogno di smaltimento);
- le spedizioni
transfrontaliere di rifiuti verso la Germania, attivabili sulla
base di pregressi rapporti contrattuali assunti dalla società
intermediaria F.S. Logistica – B.U. Ecolog delle Ferrovie dello
Stato (per un totale di 35.000 tonnellate di conferimenti).
[14]
Gli ambiti di competenza dei due Commissari sono stati definiti
dalle OPCM n. 3639 e 3653 di nomina, rispettivamente dell’11 e
30 gennaio 2008, con le quali è stato previsto, da un lato,
l’impiego delle Forze armate (in particolare del Comando
logistico Sud) per il supporto operativo e logistico nelle
attività di approntamento e protezione dei cantieri e dei
siti nonché per la raccolta e il trasporto dei rifiuti,
dall’altro, l’avvio di una Conferenza istituzionale, composta
dal Commissario liquidatore, dal Presidente della Regione
Campania e dai Presidenti delle cinque Province, con il compito
di indirizzare la gestione transitoria e le procedure per il
definitivo trasferimento delle opere, degli interventi e della
documentazione amministrativa, nonché per il coordinamento e
l’attuazione dei Piani per la raccolta differenziata.
[15]
Secondo quanto emerge dalla
Prima relazione al
Parlamento sullo stato di attuazione della legge 123 del 14
luglio 2008 redatta dal Sottosegretario di Stato per
l’emergenza rifiuti, all’atto dell’insediamento della nuova
struttura (23 maggio 2008) lo stato di realizzazione
dell’impianto di termovalorizzazione di Acerra (NA) risultava
completo per il 90% delle opere, ma i lavori risultavano fermi
per problematiche connesse ad aspetti economico-finanziari e
gestionali. Viceversa, i sette stabilimenti di trattamento e
imballaggio dei rifiuti (stir)
ricevevano giornalmente circa 2.200 tonnellate di rifiuti misti
e versavano in condizioni di forti criticità, per via del
sequestro giudiziale dell’impianto di Tufino operato dalla
magistratura di Nola nell’agosto del 2006, che aveva comportato
un ulteriore aggravio di rifiuti in ingresso agli altri
impianti. Le quantità di rifiuti solidi urbani smaltiti dal mese
di giugno a quello di dicembre 2008 ammontano a circa 1.231.000
tonnellate (di cui 6.167 t. smaltite fuori Regione e 79.074 t.
inviate all’estero), a fronte di un totale (comprensivo di
rsu,
fo, Ecoballe e
rd straordinaria)
di 1.882.183 tonnellate.
[16]
Dario Del Porto, «La Repubblica», sezione Napoli, 5 novembre
2010, p. II.
[17]
«La Repubblica», sezione Napoli, 5 novembre 2010.
[18]
Dario Del Porto, «La Repubblica», sezione Napoli, 5 novembre
2010, pag II.
[19] Ottavio Lucarelli, «La Repubblica», sezione cronaca di Napoli, 12 novembre 2010
[20]
Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione
delle Amministrazioni dello Stato Programma delle attività di
controllo sulla gestione per l’anno 2005 deliberazione n.
1/2005/G (la gestione dell’emergenza rifiuti effettuata dai
Commissari straordinari del Governo).