ZIBALDONE DA SETTIMANE
ITALIANE
Giulio Trapanese
Bisognerebbe cominciare col dire che la
vicenda di uomo e politico del presidente del Consiglio Berlusconi di
queste settimane, non è solo il riflesso della condizione attuale della
nostra nazione; sarà piuttosto un elemento in più, una tappa ulteriore
del decadimento storico dell’Italia, essa inciderà su di noi, diminuendo
la nostra reattività, distorcendo, ampliandola, la percezione di ciò che
noi crediamo sia possibile che accada.
Noi stiamo già soffrendo d’un periodo
che va per molti versi oltre la stagione del fascismo, che assorbe dai
decenni democristiani il peggio per tradurlo in quello che è il volto
attuale della politica e del potere, un volto che conosciamo – lo
viviamo – ma che non sappiamo bene descrivere mancandoci le parole, dal
momento che noi stessi vi siamo dentro da troppo e inconsapevolmente.
Ciò che sta succedendo è che al momento
della fine politica o personale di Berlusconi, l’Italia, quando vi
arriverà, avrà fatto crescere dentro di sé il marchio dell’abbandono
cinico della responsabilità ad agire su quanto la riguarda. Il
berlusconismo diventerà un criterio storico d’analisi delle democrazie o
dittature consensuali (come si sta cominciando a dire) ai tempi della
crisi finanziaria tra i paesi a cavallo tra il Nord e il Sud del mondo.
C’è chi come Laclau ha già preso l’Italia come un esempio di questo,
altri intellettuali europei già osservano l’Italia con l’occhio con cui
nei secoli scorsi si è vista precipitare
Noi stiamo già soffrendo -
e durante la malattia la percezione di sé è confusa. E tanto più
confusa, chiaramente, quanto più sclerotica e rigida nella ricerca di
giustificazioni. Noi siamo nell’al di là d’una situazione di cui abbiamo
perso il controllo ad un certo punto, la variabile ipocrita e familista
delle nuove forme di controllo e creazione di consenso sociale sulla
base dei nuovi mezzi tecnici a disposizione del potere.
Berlusconi un giorno passerà comunque. È
evidente che è, invece, l’Italia di Berlusconi a preoccupare. Il
Berlusconi uomo comune, l’uomo che viene dal popolo, che è emerso dal
popolo al di sopra di tutti e che al popolo ritorna, costituisce oggi
una rappresentazione ancora potente per il futuro. Osservare come oggi
l’Italia sia un paese cinico, frantumato, senza neanche più quelle poche
certezze d’un tempo, un paese che le condizioni generali e
internazionali del capitalismo spingono a disconoscere la sua unica vera
radice che è quella artistica e culturale, un paese divenuto ancor più
di prima profondamente impolitico.
Chi è con Berlusconi, oggi, è
Berlusconi. L’immedesimazione è diretta, non si può stare con lui e con
il modello di persona e di cittadino che incarna, se non si pensa
d’essere proprio come lui, e se comunque non si pensa – almeno – di
poterlo essere. I suoi alleati non possono esprimere un’opinione, no,
devono difenderlo. I suoi alleati sono e devono per forza essere i suoi
difensori, i suoi avvocati. I suoi giornalisti sono i suoi difensori. Le
sue televisioni sono costituite dai suoi difensori. Non si può dire:
sono con Berlusconi, però in questo caso sbaglia. Se sbaglia, non si può
- e in un certo senso
lo si capisce bene ma siamo in Italia e vige ancora un registro di
doppia morale - stare più con lui. Non ci si può più appellare al
dibattito politico, da nessuna parte, e di nessuna specie. Il dibattito
in quanto dibattito semplicemente non esiste più. Se si legge bene – e
in linea di principio teorico sarebbe possibilissimo farlo, ma solo in
via teorica – in quello che sta succedendo, si potrebbe vedere una gran
parte delle ragioni delle nostre condizioni. La democrazia di massa
d’oggi non si basa più sul contrasto fra ciò che appare giusto e ciò che
non lo è, ma sulla detenzione dei mezzi di distinzione del vero dal non
vero. Il vero inteso come verità delle cose, dei fatti.
Il vero che sanciscono i tribunali e i
contratti privati, che riconosce li “è così” perché tutti hanno sentito
che è andata così. La verità se Berlusconi sia stato o non sia stato con
una donna minorenne, se l’abbia pagata, o non l’abbia pagata, se una
certa situazione si sia svolta proprio come è stata descritta oppure no.
Della verità e della sua ricerca è rimasto questo all’inizio del nuovo
millennio nelle nostre coscienze. È rimasto questo ad un popolo che vive
profondamente in assenza di leggi, appellarsi ai cavilli di queste
stesse leggi per decidere se ripudiare o meno il suo indegno primo
ministro.
Mi chiedo se ciascuno di noi abbia
totalmente perso la capacità più importante per un essere umano:
riconoscere la verità della parola dell’altro dai suoi occhi, dai suoi
gesti, dalla sua voce. Io l’ho vista la verità, eppure non ho fatto
nessuna indagine, nessuna istruttoria, non conosco i fatti né mi sono
fermato nella macabra lettura dello spettacolo delle intercettazioni
telefoniche. Io l’ho vista nei vostri occhi senza paura di mentire
eppure tentennanti, la vostra ansia un attimo prima che divenisse forma
della vostra superbia. Vi ho visti in televisione e già lì eravate
coperti da un doppio schermo, eppure la vostra ipocrisia è apparsa ed
era addirittura umana nel momento stesso in cui avevate paura. E lì ho
capito che eravate da sempre nella parte sbagliata.
Questo solo per attenersi alla cronaca
delle rappresentazioni che voi stessi fate e voi stessi sapete come
disfarne nella nostra memoria. Ma, in qualunque caso, non ci si può
scandalizzare di quello che si è sentito. E non solo perché è ormai così
difficile trovare dentro di sé tracce di quel sentimento così umano che
è la vergogna. Ma perché sarebbe così insensato, se solo si è guardato
ad occhi aperti la vita in Italia degli ultimi decenni, se si è usciti
dalle proprie case anche solo per qualche volta, al lavoro, a scuola,
per il divertimento, o anche se non si è usciti, di sera o di giorno
alla televisione.
Io quei vostri discorsi li ho già
sentiti in giro per l’Italia. I vostri sottili risolini di compiacimento
del privilegio della vostra posizione, nei vari posti in cui siete
riuscite ad ottenere un posizione, senza alcun merito reale. La vostra
soddisfazione per avere ottenuto -
e sapere come ottenere ogni volta – il massimo del risultato e
del guadagno con il minimo di sforzo. Il vostro disprezzo per il
sacrificio e il lavoro vero. Il modo in cui trattate il dolore vostro e
degli altri da ragionieri d’altri tempi come qualcosa compensabile in
bilancio con successi d’altro genere, il modo in cui camminate con la
schiena impostata per la vostra insignificanza interiore e parlate al
cellulare con quel tono di falsa e borghese serietà che vi fa sentire
professionisti. Io vi ho visto, vi vedo. Ho visto il modo in cui vi
divertite la sera, ballate, ridete con quello sfarzo nichilistico di chi
non sa che farsene della vita, ho visto e sentito anch’io la vostra
droga indispensabile alle performance che vi proponete di giorno e di
notte, ho visto troppe volte i vostri sguardi e quelli delle vostre
donne concedersi senza dignità alla più ostentata delle offerte, e me ne
è venuta la nausea, fin dal principio della mia esperienza. Ho visto
anche portarvi donne giovani e straniere a più di una alla volta nelle
vostre case e nelle vostre camere, senza alcuna vergogna, con una
massima indifferente naturalità.
E vi ho visto laurearvi prima di tutti,
per arrivare primi, ma non parlare mai di una qualunque cosa fosse
seria, umana, di interesse non solo vostro, e di una disarmante
banalità. Vi ho visto obbedire ai dei presunti principi, ma sempre e
soltanto per il vostro tornaconto immediato. Vi ho visto ogni ora del
giorno davanti alla televisione a commentare cose che non vi siete mai
sporti a vivere in prima persona. Non vi ho mai visto, invece, scegliere
una strada che non fosse quella più semplice e scontata. Non vi ho mai
visto ridere o piangere se non per l’effetto che avreste fatto sul
vostro gruppo di fidi conoscenti. Quando vi ho visto, o ogni volta che
vi vedo, l’Italia mi fa paura. Questa vita mi fa paura. E ho bisogno di
tornare a capire sempre come sia possibile, da dove voi veniate, da dove
veniamo.
Non c’è bisogno, quindi, di prove, non
ho bisogno di sondaggi per capire dove si trovi l’umanità. E che le
vostre parole sono false comunque, non solo quando letteralmente
mentite, sono false sempre perché siete voi che avete abolito la
distinzione tra il falso e il vero, tra l’immagine e la realtà. E
proprio che abbiate sempre una prova in grado di scagionarvi e una fila
di sostenitori a proteggere i vostri interessi, è la prova della vostra
colpevolezza, quella di avere annientato ogni differenza, a tutti i
livelli, fra la parola politica e quella di potere, di stare tramandando
alle generazioni future la realtà d’una vita mortificante e la
distruzione dei mezzi culturali per riuscire a capire quello che sta
accadendo, a voltare pagina.
FEBBRAIO 2011