14 DICEMBRE
Giulio Trapanese
Un
senso di onnipotenza
che
gira per le strade, e
fiumi di lettere che scorrono
all’unisono sulla comunicazione
degli identici schermi.
Occhi vivaci di ragazzi feroci e
la
loro rabbia di non aver
mai
conosciuto nell’anima una religione.
La
tua emozione, invece, che diventa
subito paura. E poi i lanci, le grida,
l’orgoglio muscolare di resuscitare
ed
esistere, per la
prima vera volta.
Una
piazza vuota, poi
piena, e poi, ancora, deserta
dopo
il fumo di camionette
e
blindati e
l’arte dei colori dei giorni
passati diventata
il
solo nero del
passaggio del fumo
dall’una all’altra vettura incendiata.
Resistenza, forza.
Ora
il ricordo di una lotta
di
chi non sa come
lottare, sguardo di
chi
si trova
per
gioco dentro
il
quadro aperto a mille colori della storia.
Una
vita veloce fuori dall’infanzia e già
senza entusiasmo, un’età
adulta che sfugge
e
già muore senza paura,
senza coscienza
nel
silenzio accecante di come
passano tutte le cose
che
non hanno parole.
Se
ogni agire ormai
cerca la sua rappresentazione,
il
movimento
l’ha
scelta eclatante e nascosta,
verità d’una finzione
nel
vuoto d’un altro
possibile, discorso di tutti allevato
in
vitro dalla comunicazione
di
lettere e schermi.
Rivolta
d’un
figlio ingrato al
sistema che gli offre
per
suo destino
la
miseria del pensiero
l’incoscienza di malattia e lavoro,
e un
desiderio senza futuro,
come
il tumulto d’un inconscio
lontano dal ritmo
di
queste nostre menti automatiche.
Corpi modello allenati di sera
a
morte palestre
quando non c’è più
la
mole della fatica del
giorno che pienamente sfinisce.
Massima tortura è questa
orchestrata dalla
divinità delle macchine
d’oggi: potere tutto
e,
insieme, non potere niente.
I
telescopi agli sguardi di uomini
senz’occhi, viaggi lontani
senza più mete d’amore,
tastiere senza saper più concentrare
pensieri in semplici righe.
Quello che il mondo ci distrugge,
noi
ancora continuiamo a distruggerlo per noi stessi,
nel
cancellare tutto,
in
questa paura, che dimostriamo, di vivere
come
ormai nessuno più ci insegna da tempo e
come
noi abbiamo dimenticato
da
sempre.
Senza memoria di un padre e
senza più la speranza d’un figlio,
come
ingranaggi rigidi
di
un sistema alto e ingegnoso,
cascata di denari che
torna più grande a sé
a
nutrirsi della sua
nuova e sempre identica acqua,
fino
a macinare le proprie
membra, la propria carne, in
un’espansione deforme
Vive
ora, ancora, in noi la
musica
d’intonazioni senza senso
dello spettacolo
dai
video istantanei, che conosciamo nei nostri primi giorni,
e le
immagini
tutte diverse e tutte le
stesse, e parole e
scherzi e opinioni,
tutte come schegge impazzite di questo
reale. D’un reale di oggi
non
più, ormai, né falso,
né
vero.
Unica via in un’unica luce
non
è il ritorno, né il progresso:
nuova immaginazione e radice diversa
per
la vita tutta.
DICEMBRE 2010