QUALCHE ALTRA COSA SU MATRIX.
Cronaca di un fronte invisibile
NerioJamil Palumbo
Il tutto è il falso[1].
Adorno lo scrisse, i fratelli Wachowski ne hanno ricavato qualche
variazione. Qualche corollario.
La
produzione fantascientifica dell’ultimo secolo ci ha abituati a quello
strano processo immaginativo in cui portiamo alle estreme conseguenze un
aspetto del nostro tempo, ricavandone una
imago mundi distorta e
proiettandola poi in blocco in un futuro non meglio determinato.
La
fantascienza gioca da sempre su questa strana ambivalenza di distanza e
vicinanza dei suoi scenari, ambivalenza nella quale i vari livelli
dell’opinione pubblica (critica cinematografica compresa) possono dire
la loro, e così inghiottire il boccone ed archiviare il prodotto senza
eccessivo travaglio intellettuale o emotivo.
Blade
Runner,
l’Odissea kubrickiana del 2001 (non a caso una data follemente,
provocatoriamente precisa), The
Truman Show, i romanzi di Isaac Asimov e di Philip Dick, ma a
pensarci bene già gli scenari apocalittici di Orwell… tutti hanno fatto
lavoro di fantasia sulle
scienze, prese più o meno singolarmente e di volta in volta portate
dall’immaginazione ad un livello iperbolico per metterne in evidenza le
contraddizioni intrinseche.
In
The Matrix[2]
avviene qualcosa di diverso, non di realmente o radicalmente nuovo, ma
di diverso.
The
Matrix
è il
film dove il sospetto sull’obsolescenza dell’umanità nel suo complesso è
stato espresso nel modo più netto ed inequivocabile, e lo è proprio in
virtù della perspicuità e dell’asciuttezza teoretica che
contraddistinguono la sua intuizione cardine.
La
realtà
nella sua interezza, come era in Calderòn o in certe irrealistiche (!)
ipotesi cartesiane[3],
è sogno e – per rimanere tra
gli ‘assi’ secenteschi ancora un momento – è sogno avventizio
e fattizio, inventato ma
indotto ad hoc da un
infallibile genio maligno che ragiona in codice binario.
In
realtà, i diversi livelli dell’opinione pubblica hanno familiarizzato
col tempo anche con questa ipotesi e con la sua fantasmagorica
esposizione: numerosissimi gli articoli, i saggi[4]
e persino le pubbliche conferenze sulla filosofia di
The Matrix o sulla miriade di probabili riferimenti del film ai
classici della filosofia (dai sofisti alla
école du suspect). Rimandiamo
quindi ai su citati per tutti gli approfondimenti di ogni tipo.
Qui
osserveremo piuttosto lo scenario delineato nei tre film[5]
per cogliere qualche altra cosa sullo stato attuale del nostro strano
rapporto con la fanta(stica)-scienza che ci circonda, anche consci del
fatto che, come fu per certa storiografia intelligente[6],
ogni epoca e forse ogni generazione – probabilmente ogni uomo – possono
trarre dalle stesse testimonianze del passato lezioni diverse, spesso
inaspettate.
1. «Welcome to the real world»
In
The Matrix i ‘buoni’ sono un’umanità residua, vagamente ispirata da
un umanesimo dalle nuances religiose. I ‘cattivi’ sono un impero
robotico, che ha ereditato dall’ultima vittoriosa guerra contro la razza
umana una serie di problemi di approvvigionamento energetico.
Siamo
(almeno) nel 2999 e l’impero robotico usa ormai i corpi umani vivi come
fonte di energia, grazie a un sistema che nutre i loro corpi –
perennemente dormienti – e che allo stesso tempo tiene collegato il loro
apparato percettivo ad un sistema virtuale di
rappresentazioni assolutamente completo, in grado cioè di
riprodurre senza sbavature ogni aspetto della vita umana.
Un
esatto duplicato della realtà messo davanti agli occhi degli uomini per
nascondere la verità. Quale verità?
«Che tu sei uno schiavo, Neo. Come tutti gli altri sei nato in
catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che
non ha odore. Una prigione per la tua mente».
1.1 «Più importante del dove, è il quando»
Siamo
nel 2999, ma i pochi uomini scollegati non sono nemmeno del tutto al
corrente della data precisa, anche perché durante la guerra il sole
venne oscurato dagli uomini per privare le macchine della sua
rinnovabile e potente energia. Esistono uomini scollegati dal sistema, e
vivono tutti in una città sotterranea – ultimo avamposto di resistenza
dell’umanità – chiamata Zion[7].
Il
resto dell’umanità viene coltivato. In giganteschi campi senza
luce né terra, milioni di uomini conducono la loro intera esistenza
addormentati in vasche atte all’estrazione di tutta la loro energia
vitale, mentre la loro mente vive in una sorta di gigantesco videogioco
ispirato al mondo «come appariva nel 1999», un videogame che
è il mondo come appariva nel 1999, che sostanzialmente è
il nostro mondo.
Obbiettivo della resistenza umana è ovviamente lo scollegamento, la
liberazione dell’umanità dagli irretimenti virtuali ma, chiaramente, le
macchine sono tutt’altro che propense a concedere agli uomini questa
libertà.
Di
qui la nuova, perenne guerra, che oltretutto si combatte su due fronti
comunicanti ma inequivocabilmente distinti: c’è il «mondo vero»,
dove le macchine sono macchine e gli uomini sono uomini, e dove dunque
la guerra è, effetti speciali permettendo, abbastanza reale in tutto il
suo paradossale disequilibrio[8];
e poi c’è Matrix[9],
dove tutto è macchinico poiché tutto non è che un insieme di programmi
che girano[10],
di app (!).
In
Matrix, insomma, nulla è davvero reale e gli uomini non sono che icone,
ombre. Ombre senzienti, ma ombre.
2. La
menschliche Bedingtheit in Matrix
Ora,
dobbiamo spendere qualche parola riguardo al funzionamento dei rapporti
spazio-temporali tra Matrix e ‘mondo vero’, e quindi provare a capire
qualcosa della ‘condizione umana’ in The Matrix.
All’inizio del primo episodio della trilogia, quello che poi si scoprirà
essere l’equipaggio della Nabucodonosor (lett. Nebuchadnezzar
[!]) non sembra che una sorta di piccolo collettivo di hacker e
mediattivisti, e la cosa non è lontanissima dal vero.
La comunità umana del mondo vero, a Zion, utilizza delle
navicelle da guerra (tra cui la citata Nabucodonosor) per infiltrarsi
nel resto del mondo, monopolizzato dalla civiltà delle macchine; a bordo
di queste navicelle è possibile lanciarsi in Matrix (cioè ricollegarsi)
attraverso un segnale telefonico. In questo senso, tutte le operazioni
della resistenza all’interno di Matrix non sono che violazioni e
manipolazioni di reti o di alcuni contenuti, ovvero operazioni di
hackering.
Anche in questo il film è tutt’altro che fantascientifico,
dall’inizio alla fine.
I personaggi possono volare e schivare le pallottole (in
Matrix) perché stanno riscrivendo l’algoritmo di un programma virtuale e
non violando leggi fisiche. Ogni combattimento non è che il battersi di
due ip in un videogioco
on-line. Morpheus è innanzitutto – per i terribili programmi di
polizia virtuale (di cui parleremo) – colui che «ha commesso ogni reato
informatico concepibile».
L’Eletto stesso non è che il più straordinario hacker di
sempre, colui che tutto può violare e manipolare perché di tutto sa
vedere la radicale determinabilità, quindi indeterminazione.
«Il cucchiaio non esiste».
Interessante, tra le altre cose, la dinamica della morte in
Matrix: come spiega seccamente Morpheus all’inizio, essa è resa reale
dalla mente del collegato... «sognai così forte che mi uscì il sangue
dal naso».
2.1 Scelta tra pillole. Travagli di un
log-out
Come
abbiamo detto, il fulcro della guerra è per gli umani nella possibilità
di scollegarne altri.
L’atto dello scollegare un uomo è molto complesso e nel film è possibile
seguirne tutte le fasi quando ad essere scollegato è il protagonista, il
signor Anderson, anche conosciuto nel mondo degli hacker come
Neo.
Ciò
che ci interessa particolarmente di questa procedura è che lo
scollegamento da Matrix è un atto volontario: pur avvenendo nell’ambito
dell’assoluta virtualità, esso ha una notevole valenza etica perché va
scelto.
Scelta è la parola preferita del protagonista ed è ciò che – nella
discutibile Weltanschauung che sta alla base del film – distingue
l’umano dal macchinico. Ma su ciò torneremo.
2.2 L’Oracolo e la Profezia
Elemento importantissimo di questa secolare e rocambolesca guerra dai
due volti è l’esistenza di una profezia su di essa. Secondo la profezia
verrà un giorno l’Eletto, un uomo che, in grado di percepire fino in
fondo la virtualità di Matrix – quindi la sostanziale violabilità di
ogni suo limite – potrà dominare completamente su di essa e sui suoi
dispositivi di controllo, riuscendo così a redimere l’umanità
liberandola definitivamente dal giogo virtuale e dalla guerra contro le
macchine.
La
profezia è creata e custodita da un Oracolo (che, guarda un po’, vive
solo in Matrix), e viene professata da una serie di fedeli tra gli
scollegati, uno su tutti Morpheus – capitano della Nabucodonosor nel
‘mondo vero’ nonché, in Matrix, profeta del dubbio iperbolico e quindi
traghettatore di esseri umani (tra cui Neo) nella loro vera vita.
Come
si è accennato, il pathos un po’ religioso e sempliciotto della
buona umanità residua è ciò che conferisce notevole trasporto emotivo e
quindi notevole fruibilità di massa al film. La profezia è certo una
cosa lontana nel tempo ed oscura nel significato ma il suo custode,
l’Oracolo, ha anche un’infallibile preveggenza, ed è quindi in grado di
fornirne anche delle sezioni parziali, riguardanti la vita delle singole
persone.
Nello
specifico, l’Oracolo ha detto a Morpheus che troverà l’Eletto e ad una
sua compagna di lotta, Trinity, che si innamorerà d’un uomo e che questi
sarà l’Eletto… alla fine del primo film il suo amore per Neo esplode e
le capacità di quest’ultimo di violare i limiti di Matrix sono ormai
evidentemente al di sopra di ogni precedente. Egli è dunque l’Eletto e
la fine della guerra è, come nelle boriose parole di Morpheus, «solo una
questione di tempo».
Tuttavia, nel corso dei sequel succederà qualcosa, e le
magnifiche sorti profetizzate alla fine del primo movie verranno
messe pesantemente in discussione: la complessa organizzazione del mondo
macchinico nasconde delle sorprese inaspettate soprattutto per i più
fedeli, per coloro cioè che, pur sottraendosi per scelta alla virtualità
di Matrix, non sono riusciti a rinunciare all’antica, umanissima
virtualità della speranza.
3. L’Architetto. Trionfo e delirio dell’Illuminismo
A una
mezz’ora dalla fine di The Matrix Reloaded (il secondo episodio
della trilogia), sembriamo a un passo dal trionfo dell’umanità.
Neo
esegue alla perfezione tutte le indicazioni dell’Oracolo (per quanto
sibilline) e giunge fino alla magica soglia del database di Matrix per
distruggerla… eppure, oltre la soglia trova qualcosa che non si
aspettava.
Un
composto signore vestito di bianco gli si presenta come l’Architetto, il
creatore di Matrix, e gli racconta un po’ di storia che le sue fonti
sacre, per un motivo o per un altro, non potevano conoscere.
Innanzitutto, e in realtà potrebbe bastare, Neo è solo il sesto degli
eletti e quella che vediamo nel film non è assolutamente la prima
Matrix.
Molte
altre ne furono create prima di questa per comprendere e correggere
gradualmente la fallibilità della prima, concepita all’epoca come un
mondo semplicemente perfetto – senza dolore (o potremmo dire senza
errore) – dove far sognare beatamente gli uomini mentre li si coltivava.
Ovviamente fu un disastro.
Come
in un incubo di Adorno, L’Architetto è la personificazione del «solo
rimasto di tutti i sogni della scienza»: «il mondo come gigantesco
giudizio analitico»[11].
La
sua purissima ragion robotica ancora si cruccia di non aver considerato
la viscerale esigenza, per la debole ragione umana, di conservare i suoi
vecchi vizi e le sue antinomie congenite – una su tutte, quella di
«pensare l’incondizionato nella serie del collegamento causale»[12],
ovvero di scegliere.
Per
questo, nelle versioni successive di Matrix venne creato un programma
per comprendere questo profondo e strano aspetto dell’umanità, un
dispositivo ideato allo scopo di indagare quell’assurda,
romantica anomalia per cui un mondo perfetto è – agli occhi di un
essere umano degno di questo nome – un incubo. Venne creato l’Oracolo,
il programma che crea e gestisce la scelta, che studia le generazioni
umane, e che quindi prova a correggere quest’ultimo, inspiegabile
errore.
Il
racconto dell’Architetto prosegue, e Neo è solo apparentemente sicuro
delle sue convinzioni pregresse.
Il
suo prosieguo è ovviamente meno storico e più informativo, più attuale:
tecnicamente, L’Eletto è tale in quanto unico portatore di un
particolare algoritmo, impossibile da bilanciare nella grande «equazione
di Matrix», ma necessario per la sua esistenza; un algoritmo
ineliminabile, che sembra contenere in sé magicamente tutta l’umanità
del mondo, o almeno tutta la sua entropica ed incontenibile essenza.
Come
nelle vecchie versioni di Matrix, continua beffardo l’Architetto,
l’Oracolo deve condurre l’Eletto al database e lui deve letteralmente
resettare il sistema, nonché scegliere quattordici esemplari di
esseri umani tra i due sessi per rifondare Zion dopo la sua distruzione
– imminente nella trama del film e ovviamente connessa al suddetto
“reset” e alla riscrittura di tutti gli algoritmi.
L’alternativa è la distruzione di Zion senza rifondazione “concordata” e
senza scelta degli individui da parte dell’Eletto e anzi, in questo caso
(motivo per cui l’asettica sicurezza del composto Architetto in bianco
si fa spavalda), potrebbe anche prevedere la distruzione di Matrix
stessa.
È un
sistema superato (!)... l’impero robotico potrebbe sostenere ormai i
sacrifici energetici derivanti dall’estinzione della razza umana…
4. Smith. Frammento virtuale di fatalità
L’Eletto Neo, come tutti gli altri, ha un’alternativa e ha dunque una
scelta ma, rispetto ai suoi predecessori, questa scelta sembrerebbe
ancor più obbligata; il secondo film finisce tuttavia (e ovviamente) con
il suo rifiuto di perpetuare la tradizione e con il salvataggio
miracoloso di una Trinity ormai morta.
La
questione sembrerebbe ormai chiusa[13],
e l’Aufklärung digitale definitivamente pronta a sbarazzarsi della sua
necessità di far sopravvivere l’anomalia umana a scopi di
approvvigionamento. L’Oracolo è un programma come gli altri e la
profezia è un sistema di controllo: il più pericoloso, poiché reso
invisibile agli occhi dei più attenti… concepito, in effetti, proprio
per loro.
Eppure qualcosa sta sfuggendo dalle mani dell’Architetto. In questo
caso, un’anomalia tutt’altro che umana.
Fin
dal primo film Neo ha un antagonista privilegiato, la cui personalità si
delinea e complessifica parallelamente alla sua: l’agente Smith, un
programma di polizia deputato alla sicurezza di Matrix e alla
repressione dei tentativi umani di scollegare individui. Le sue capacità
sono notevoli: è in grado, come tutti i programmi del suo rango, di
violare e piegare a suo piacimento molte delle regole di programmazione
di Matrix, e così può tener testa facilmente alle capacità di
combattimento medie della resistenza umana.
Alla
fine del primo film, Smith viene però sconfitto dal Neo per la prima
volta consapevole di sé e così – come accade ad ogni
app di questo mondo – è destinato all’obsolescenza e alla
disattivazione.
L’agente Smith è tuttavia un programma particolare: gli esseri umani
sembrano avergli insegnato qualcosa sull’ebbrezza della ribellione, e
così egli continua ad aggirarsi clandestino nel sistema in cerca di uno
scopo[14].
Se
scelta è la parola preferita
di Neo, scopo è certamente
quella preferita di Smith, in una polarità di concetti che sembra
addirittura troppo sottile per la grossolanità hollywoodiana delle forme
che assume. Smith è un interprete privilegiato e allo stesso tempo una
vittima dell’infallibile razionalità robotica di Matrix.
Il
suo peregrinare in essa in cerca dello scopo perduto lo mette nella
condizione di imparare nuove tecniche di
cracking del sistema, e così
di violare sempre di più i suoi limiti: due su tutte, la capacità di
duplicarsi, e quella di accedere al mondo vero impossessandosi del corpo
di un uomo.
In
estrema sintesi, verso la fine del terzo film Matrix è ormai nelle mani
di Smith, poiché è abitata unicamente da milioni di suoi cloni
perfettamente coordinati tra loro. È, come dice nel suo delirio, il suo
mondo.
L’intera civiltà delle macchine risulta così messa in scacco da un
software deviato che, molto probabilmente, tenterà un colpo di
stato in grande stile: può spostarsi ormai facilmente da Matrix alla
città delle macchine nel ‘mondo vero’, e così può giungere a minacciarne
l’egemonia assoluta.
Esasperazione e in fondo telos naturale dell’Illuminismo
robotico, una dialettica storica che ricorda qualcosa.
5. «Che cos’è il controllo?»
L’unico che può salvare la situazione è Neo e lo sa benissimo ma, a dire
il vero, il fatto che ci riesca – con l’annesso, penoso lieto fine
auto-celebrativo – è ben poco rilevante ai fini della nostra indagine.
Anche
solo dalla breve ricostruzione che ne abbiamo dato, si possono cogliere
elementi della trama che forse potrebbero far ri-flettere una civiltà di
collegati e di dipendenti dalle macchine (dalle centrali elettriche alle
app) come la nostra. Per dire qualche altra cosa su Matrix
basta tornare a giocarci, tornare a ragionare ogni volta su tutte le
sfumature e i dettagli del suo scenario.
Come
ad esempio un dialogo che vorrei ricordare in chiusura. Esso avviene nei
sotterranei logistici di Zion, verso l’inizio del secondo episodio della
trilogia – durante l’unica permanenza di Neo nella bella città degli
uomini – e a mio avviso potrebbe suggerire qualcosa circa la lontananza
di questo complesso scenario di fantasia:
Consigliere Hamann: «Quasi
nessuno viene qua sotto, a meno che, ovvio, non ci sia un problema. La
gente ragiona così: a nessuno interessa come funziona una cosa finché
funziona. A me questo posto piace e mi piace ricordare che la città
riesce a sopravvivere grazie a queste macchine. Queste macchine ci
tengono tutti in vita mentre altre macchine vengono a distruggerci. È
singolare non trovi? Il potere di dare la vita e il potere di
toglierla».
Neo: «Noi abbiamo lo stesso
potere».
Consigliere Hamann: «Sì, ce
l’abbiamo ma… qua sotto a volte ripenso a tutti quelli ancora collegati
a Matrix e quando guardo queste macchine non posso non considerare che
in un certo senso noi siamo collegati a loro».
Neo: «Ma noi le
controlliamo queste macchine, non avviene il contrario».
Consigliere Hamann: «Beh,
certo che no, come potrebbero? L’idea stessa è una pura assurdità, ma ti
spinge tuttavia a chiederti… che cos’è il controllo?»
Neo: «È la facoltà di
spegnere quelle macchine volendo».
Consigliere Hamann:
«Giusto, è così. Hai fatto centro, quello è avere il controllo. Se
volessimo potremmo farle in mille pezzi. Prima però converrebbe valutare
cosa accadrebbe alle nostre luci, al calore, alla nostra aria».
Neo: «Noi dipendiamo dalle
macchine e loro da noi. È questo il concetto consigliere?»
Consigliere Hamann: «No,
nessun concetto. Ai vecchi come me non importa imporre il punto di
vista, non serve a niente».
The Matrix è
l’unico film che, nel giro di una ventina d’anni, ha cambiato il suo
genere d’appartenenza: girando su facebook o tra le metropolitane del
mondo – piene di gente perennemente collegata dal proprio avatar
a un insieme di app interattive – si può avere la forte
sensazione che esso sia diventato un particolareggiato ed intransigente
documentario di denuncia preventiva.
Che cos’è il controllo?
Sono, le nostre (?), vere pratiche di resistenza? Possono esistere
davvero pratiche di resistenza? A differenza dell’oracolo e di Morpheus,
il vecchio consigliere Hamann non ha risposte per il giovane Neo, ma
forse ha qualche spunto per noi. In fondo, il 2999 non è nemmeno così
lontano.
APRILE 2014
[1]
T. Adorno, Minima Moralia, Einaudi, Milano 2005, p. 48.
[2]
Per i dettagli tecnici rimandiamo come sempre alla utile pagina
di Wikipedia:
[3]
«Riflettendoci con più attenzione, tanto chiaramente mi rendo
conto che non è mai dato di distinguere la veglia dal sogno con
criteri certi, da rimanerne attonito; e proprio questo stupore
mi porta quasi a credere di star sognando anche ora.».
R.Descartes, Meditazioni Metafisiche, Laterza, Bari 2006,
pp. 29-31.
[4]
Si vedano almeno la notissima, utilizzatissima e ormai datata
pagina di Diego Fusaro su Filosofico.net (http://www.filosofico.net/filos59.htm), e la raccolta di
scritti curata da W. Irwin: Pillole rosse. Matrix e la
filosofia, Bompiani, Milano 2006.
[5]
The Matrix era un bel film, poi è diventato una trilogia
mediocre. Nonostante tutta l’attenzione da me prestata ai
sequel non sono riuscito a trovarli all’altezza. Direi
rozzamente che il primo film voleva essere un esperimento un po’
cervellotico ed è diventato un classico, mentre gli altri
dovevano essere colossal e risultano essere due
pacchianate fantascientifiche con un incredibile sovraccarico di
dialoghi altisonanti e gente che pontifica da tutte le parti.
Nello sviluppo della trama nei sequel non ci sono
tuttavia elementi contraddittori, quindi trarremo spunti da
tutte e tre le pellicole considerandole parti di un’unica trama.
[6]
«Questa specie di lavoro non è mai compiuto, non può esser fatto
una volta per sempre. Invero ogni epoca vede il lontanissimo
passato in un modo nuovo e diverso; per esempio in Tucidide
potrebbe esser riferito un fatto di primaria importanza che sarà
riconosciuto solo tra cento anni.».
J. Burckhardt, Storia della civiltà greca, 2 voll.,
Sansoni, Firenze 1955, p. 11.
[7]
Numerosissimi i riferimenti alle tradizioni religiose antiche
nella descrizione della residua comunità umana: Zion è ad
esempio la rivisitazione della veterotestamentaria Sion nella
tradizione biblica Rastafari, tradizione dalla quale la trilogia
‘ruba’ molti spunti, anche estetici.
[8]
Si ricordi «l’inadeguatezza del corpo alla battaglia dei
materiali» citata, nell’aforisma 33 di Minima Moralia,
riguardo alle realissime guerre del Novecento; ma anche le
più volte ricordate teorie di Günther Anders nel suo capolavoro.
[9]
Utilizzeremo sempre la scrittura non corsivata e senza articolo
per riferirci al sistema virtuale oggetto del film e non al
film.
[10]
«Vedi quegli uccelli? A un certo punto un programma fu creato
per dirigerli. Un programma fu creato per gestire e disciplinare
alberi e vento, alba e tramonto. Programmi che girano ovunque
intorno a te. Quelli che funzionano, che fanno ciò per cui sono
stati creati, sono invisibili, potresti perfino pensare che non
esistono». Così l’Oracolo in The Matrix Reloaded.
[11]
Cfr. M. Horkheimer, T. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo,
Biblioteca Einaudi, Torino 2012, p. 35.
[12]
Così in I. Kant, Critica della ragion pratica,
bur, Milano 2001,
p. 93.
[13]
Interessante notare come il primo film finisca con una vittoria
o almeno con una prospettiva positiva, in quanto originariamente
privo di sequel, mentre il secondo si chiuda in una
prospettiva apocalittica costruita ad hoc per il già
immaginato, e probabilmente scritto, terzo episodio.
[14]
In realtà è molto interessante il modo in cui viene delineato
progressivamente il mondo dei cosiddetti “programmi senzienti”
durante i due sequel: dal cinico Merovingio al
fabbricante di chiavi, tutta una serie di personaggi vengono
presentati allo spettatore direttamente come particolari
software, ciascuno dotato di una particolare funzione
all’interno di Matrix. Come già accennato, l’adempimento
perfetto di questa funzione è, nella ratio macchinica,
condizione indispensabile della vita di un programma. Le app
senzienti riescono addirittura ad avere dei legami, come
dimostra la figura di quell’uomo all’inizio di The Matrix
Revolutions, errante in Matrix alla ricerca di uno scopo per
la sua figlioletta.