13
Maggio 2014

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QUALCHE ALTRA COSA SU MATRIX.

Cronaca di un fronte invisibile

NerioJamil Palumbo

Il tutto è il falso[1].

 

Adorno lo scrisse, i fratelli Wachowski ne hanno ricavato qualche variazione. Qualche corollario.

La produzione fantascientifica dell’ultimo secolo ci ha abituati a quello strano processo immaginativo in cui portiamo alle estreme conseguenze un aspetto del nostro tempo, ricavandone una imago mundi distorta e proiettandola poi in blocco in un futuro non meglio determinato.

La fantascienza gioca da sempre su questa strana ambivalenza di distanza e vicinanza dei suoi scenari, ambivalenza nella quale i vari livelli dell’opinione pubblica (critica cinematografica compresa) possono dire la loro, e così inghiottire il boccone ed archiviare il prodotto senza eccessivo travaglio intellettuale o emotivo.

Blade Runner, l’Odissea kubrickiana del 2001 (non a caso una data follemente, provocatoriamente precisa), The Truman Show, i romanzi di Isaac Asimov e di Philip Dick, ma a pensarci bene già gli scenari apocalittici di Orwell… tutti hanno fatto lavoro di fantasia sulle scienze, prese più o meno singolarmente e di volta in volta portate dall’immaginazione ad un livello iperbolico per metterne in evidenza le contraddizioni intrinseche.

In The Matrix[2] avviene qualcosa di diverso, non di realmente o radicalmente nuovo, ma di diverso.

The Matrix è il film dove il sospetto sull’obsolescenza dell’umanità nel suo complesso è stato espresso nel modo più netto ed inequivocabile, e lo è proprio in virtù della perspicuità e dell’asciuttezza teoretica che contraddistinguono la sua intuizione cardine.

La realtà nella sua interezza, come era in Calderòn o in certe irrealistiche (!) ipotesi cartesiane[3], è sogno e – per rimanere tra gli ‘assi’ secenteschi ancora un momento – è sogno avventizio e fattizio, inventato ma indotto ad hoc da un infallibile genio maligno che ragiona in codice binario.

In realtà, i diversi livelli dell’opinione pubblica hanno familiarizzato col tempo anche con questa ipotesi e con la sua fantasmagorica esposizione: numerosissimi gli articoli, i saggi[4] e persino le pubbliche conferenze sulla filosofia di The Matrix o sulla miriade di probabili riferimenti del film ai classici della filosofia (dai sofisti alla école du suspect). Rimandiamo quindi ai su citati per tutti gli approfondimenti di ogni tipo.

Qui osserveremo piuttosto lo scenario delineato nei tre film[5] per cogliere qualche altra cosa sullo stato attuale del nostro strano rapporto con la fanta(stica)-scienza che ci circonda, anche consci del fatto che, come fu per certa storiografia intelligente[6], ogni epoca e forse ogni generazione – probabilmente ogni uomo – possono trarre dalle stesse testimonianze del passato lezioni diverse, spesso inaspettate.

 

1. «Welcome to the real world»

In The Matrix i ‘buoni’ sono un’umanità residua, vagamente ispirata da un umanesimo dalle nuances religiose. I ‘cattivi’ sono un impero robotico, che ha ereditato dall’ultima vittoriosa guerra contro la razza umana una serie di problemi di approvvigionamento energetico.

Siamo (almeno) nel 2999 e l’impero robotico usa ormai i corpi umani vivi come fonte di energia, grazie a un sistema che nutre i loro corpi – perennemente dormienti – e che allo stesso tempo tiene collegato il loro apparato percettivo ad un sistema virtuale di rappresentazioni assolutamente completo, in grado cioè di riprodurre senza sbavature ogni aspetto della vita umana.

Un esatto duplicato della realtà messo davanti agli occhi degli uomini per nascondere la verità. Quale verità? «Che tu sei uno schiavo, Neo. Come tutti gli altri sei nato in catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore. Una prigione per la tua mente».

 

1.1 «Più importante del dove, è il quando»

Siamo nel 2999, ma i pochi uomini scollegati non sono nemmeno del tutto al corrente della data precisa, anche perché durante la guerra il sole venne oscurato dagli uomini per privare le macchine della sua rinnovabile e potente energia. Esistono uomini scollegati dal sistema, e vivono tutti in una città sotterranea – ultimo avamposto di resistenza dell’umanità – chiamata Zion[7].

Il resto dell’umanità viene coltivato. In giganteschi campi senza luce né terra, milioni di uomini conducono la loro intera esistenza addormentati in vasche atte all’estrazione di tutta la loro energia vitale, mentre la loro mente vive in una sorta di gigantesco videogioco ispirato al mondo «come appariva nel 1999», un videogame che è il mondo come appariva nel 1999, che sostanzialmente è il nostro mondo.

Obbiettivo della resistenza umana è ovviamente lo scollegamento, la liberazione dell’umanità dagli irretimenti virtuali ma, chiaramente, le macchine sono tutt’altro che propense a concedere agli uomini questa libertà.

Di qui la nuova, perenne guerra, che oltretutto si combatte su due fronti comunicanti ma inequivocabilmente distinti: c’è il «mondo vero», dove le macchine sono macchine e gli uomini sono uomini, e dove dunque la guerra è, effetti speciali permettendo, abbastanza reale in tutto il suo paradossale disequilibrio[8]; e poi c’è Matrix[9], dove tutto è macchinico poiché tutto non è che un insieme di programmi che girano[10], di app (!).

In Matrix, insomma, nulla è davvero reale e gli uomini non sono che icone, ombre. Ombre senzienti, ma ombre.

 

2. La menschliche Bedingtheit in Matrix

Ora, dobbiamo spendere qualche parola riguardo al funzionamento dei rapporti spazio-temporali tra Matrix e ‘mondo vero’, e quindi provare a capire qualcosa della ‘condizione umana’ in The Matrix.

All’inizio del primo episodio della trilogia, quello che poi si scoprirà essere l’equipaggio della Nabucodonosor (lett. Nebuchadnezzar [!]) non sembra che una sorta di piccolo collettivo di hacker e mediattivisti, e la cosa non è lontanissima dal vero.

La comunità umana del mondo vero, a Zion, utilizza delle navicelle da guerra (tra cui la citata Nabucodonosor) per infiltrarsi nel resto del mondo, monopolizzato dalla civiltà delle macchine; a bordo di queste navicelle è possibile lanciarsi in Matrix (cioè ricollegarsi) attraverso un segnale telefonico. In questo senso, tutte le operazioni della resistenza all’interno di Matrix non sono che violazioni e manipolazioni di reti o di alcuni contenuti, ovvero operazioni di hackering.

Anche in questo il film è tutt’altro che fantascientifico, dall’inizio alla fine.

I personaggi possono volare e schivare le pallottole (in Matrix) perché stanno riscrivendo l’algoritmo di un programma virtuale e non violando leggi fisiche. Ogni combattimento non è che il battersi di due ip in un videogioco on-line. Morpheus è innanzitutto – per i terribili programmi di polizia virtuale (di cui parleremo) – colui che «ha commesso ogni reato informatico concepibile».

L’Eletto stesso non è che il più straordinario hacker di sempre, colui che tutto può violare e manipolare perché di tutto sa vedere la radicale determinabilità, quindi indeterminazione.

«Il cucchiaio non esiste».

Interessante, tra le altre cose, la dinamica della morte in Matrix: come spiega seccamente Morpheus all’inizio, essa è resa reale dalla mente del collegato... «sognai così forte che mi uscì il sangue dal naso».

 

2.1 Scelta tra pillole. Travagli di un log-out

Come abbiamo detto, il fulcro della guerra è per gli umani nella possibilità di scollegarne altri.

L’atto dello scollegare un uomo è molto complesso e nel film è possibile seguirne tutte le fasi quando ad essere scollegato è il protagonista, il signor Anderson, anche conosciuto nel mondo degli hacker come Neo.

Ciò che ci interessa particolarmente di questa procedura è che lo scollegamento da Matrix è un atto volontario: pur avvenendo nell’ambito dell’assoluta virtualità, esso ha una notevole valenza etica perché va scelto.

Scelta è la parola preferita del protagonista ed è ciò che – nella discutibile Weltanschauung che sta alla base del film – distingue l’umano dal macchinico. Ma su ciò torneremo.

 

2.2 L’Oracolo e la Profezia

Elemento importantissimo di questa secolare e rocambolesca guerra dai due volti è l’esistenza di una profezia su di essa. Secondo la profezia verrà un giorno l’Eletto, un uomo che, in grado di percepire fino in fondo la virtualità di Matrix – quindi la sostanziale violabilità di ogni suo limite – potrà dominare completamente su di essa e sui suoi dispositivi di controllo, riuscendo così a redimere l’umanità liberandola definitivamente dal giogo virtuale e dalla guerra contro le macchine.

La profezia è creata e custodita da un Oracolo (che, guarda un po’, vive solo in Matrix), e viene professata da una serie di fedeli tra gli scollegati, uno su tutti Morpheus – capitano della Nabucodonosor nel ‘mondo vero’ nonché, in Matrix, profeta del dubbio iperbolico e quindi traghettatore di esseri umani (tra cui Neo) nella loro vera vita.

Come si è accennato, il pathos un po’ religioso e sempliciotto della buona umanità residua è ciò che conferisce notevole trasporto emotivo e quindi notevole fruibilità di massa al film. La profezia è certo una cosa lontana nel tempo ed oscura nel significato ma il suo custode, l’Oracolo, ha anche un’infallibile preveggenza, ed è quindi in grado di fornirne anche delle sezioni parziali, riguardanti la vita delle singole persone.

Nello specifico, l’Oracolo ha detto a Morpheus che troverà l’Eletto e ad una sua compagna di lotta, Trinity, che si innamorerà d’un uomo e che questi sarà l’Eletto… alla fine del primo film il suo amore per Neo esplode e le capacità di quest’ultimo di violare i limiti di Matrix sono ormai evidentemente al di sopra di ogni precedente. Egli è dunque l’Eletto e la fine della guerra è, come nelle boriose parole di Morpheus, «solo una questione di tempo».

Tuttavia, nel corso dei sequel succederà qualcosa, e le magnifiche sorti profetizzate alla fine del primo movie verranno messe pesantemente in discussione: la complessa organizzazione del mondo macchinico nasconde delle sorprese inaspettate soprattutto per i più fedeli, per coloro cioè che, pur sottraendosi per scelta alla virtualità di Matrix, non sono riusciti a rinunciare all’antica, umanissima virtualità della speranza.

 

3. L’Architetto. Trionfo e delirio dell’Illuminismo

A una mezz’ora dalla fine di The Matrix Reloaded (il secondo episodio della trilogia), sembriamo a un passo dal trionfo dell’umanità.

Neo esegue alla perfezione tutte le indicazioni dell’Oracolo (per quanto sibilline) e giunge fino alla magica soglia del database di Matrix per distruggerla… eppure, oltre la soglia trova qualcosa che non si aspettava.

Un composto signore vestito di bianco gli si presenta come l’Architetto, il creatore di Matrix, e gli racconta un po’ di storia che le sue fonti sacre, per un motivo o per un altro, non potevano conoscere.

Innanzitutto, e in realtà potrebbe bastare, Neo è solo il sesto degli eletti e quella che vediamo nel film non è assolutamente la prima Matrix.

Molte altre ne furono create prima di questa per comprendere e correggere gradualmente la fallibilità della prima, concepita all’epoca come un mondo semplicemente perfetto – senza dolore (o potremmo dire senza errore) – dove far sognare beatamente gli uomini mentre li si coltivava. Ovviamente fu un disastro.

Come in un incubo di Adorno, L’Architetto è la personificazione del «solo rimasto di tutti i sogni della scienza»: «il mondo come gigantesco giudizio analitico»[11].

La sua purissima ragion robotica ancora si cruccia di non aver considerato la viscerale esigenza, per la debole ragione umana, di conservare i suoi vecchi vizi e le sue antinomie congenite – una su tutte, quella di «pensare l’incondizionato nella serie del collegamento causale»[12], ovvero di scegliere.

Per questo, nelle versioni successive di Matrix venne creato un programma per comprendere questo profondo e strano aspetto dell’umanità, un dispositivo ideato allo scopo di indagare quell’assurda, romantica anomalia per cui un mondo perfetto è – agli occhi di un essere umano degno di questo nome – un incubo. Venne creato l’Oracolo, il programma che crea e gestisce la scelta, che studia le generazioni umane, e che quindi prova a correggere quest’ultimo, inspiegabile errore.

Il racconto dell’Architetto prosegue, e Neo è solo apparentemente sicuro delle sue convinzioni pregresse.

Il suo prosieguo è ovviamente meno storico e più informativo, più attuale: tecnicamente, L’Eletto è tale in quanto unico portatore di un particolare algoritmo, impossibile da bilanciare nella grande «equazione di Matrix», ma necessario per la sua esistenza; un algoritmo ineliminabile, che sembra contenere in sé magicamente tutta l’umanità del mondo, o almeno tutta la sua entropica ed incontenibile essenza.

Come nelle vecchie versioni di Matrix, continua beffardo l’Architetto, l’Oracolo deve condurre l’Eletto al database e lui deve letteralmente resettare il sistema, nonché scegliere quattordici esemplari di esseri umani tra i due sessi per rifondare Zion dopo la sua distruzione – imminente nella trama del film e ovviamente connessa al suddetto “reset” e alla riscrittura di tutti gli algoritmi.

L’alternativa è la distruzione di Zion senza rifondazione “concordata” e senza scelta degli individui da parte dell’Eletto e anzi, in questo caso (motivo per cui l’asettica sicurezza del composto Architetto in bianco si fa spavalda), potrebbe anche prevedere la distruzione di Matrix stessa.

È un sistema superato (!)... l’impero robotico potrebbe sostenere ormai i sacrifici energetici derivanti dall’estinzione della razza umana…

 

4. Smith. Frammento virtuale di fatalità

L’Eletto Neo, come tutti gli altri, ha un’alternativa e ha dunque una scelta ma, rispetto ai suoi predecessori, questa scelta sembrerebbe ancor più obbligata; il secondo film finisce tuttavia (e ovviamente) con il suo rifiuto di perpetuare la tradizione e con il salvataggio miracoloso di una Trinity ormai morta.

La questione sembrerebbe ormai chiusa[13], e l’Aufklärung digitale definitivamente pronta a sbarazzarsi della sua necessità di far sopravvivere l’anomalia umana a scopi di approvvigionamento. L’Oracolo è un programma come gli altri e la profezia è un sistema di controllo: il più pericoloso, poiché reso invisibile agli occhi dei più attenti… concepito, in effetti, proprio per loro.

Eppure qualcosa sta sfuggendo dalle mani dell’Architetto. In questo caso, un’anomalia tutt’altro che umana.

Fin dal primo film Neo ha un antagonista privilegiato, la cui personalità si delinea e complessifica parallelamente alla sua: l’agente Smith, un programma di polizia deputato alla sicurezza di Matrix e alla repressione dei tentativi umani di scollegare individui. Le sue capacità sono notevoli: è in grado, come tutti i programmi del suo rango, di violare e piegare a suo piacimento molte delle regole di programmazione di Matrix, e così può tener testa facilmente alle capacità di combattimento medie della resistenza umana.

Alla fine del primo film, Smith viene però sconfitto dal Neo per la prima volta consapevole di sé e così – come accade ad ogni app di questo mondo – è destinato all’obsolescenza e alla disattivazione.

L’agente Smith è tuttavia un programma particolare: gli esseri umani sembrano avergli insegnato qualcosa sull’ebbrezza della ribellione, e così egli continua ad aggirarsi clandestino nel sistema in cerca di uno scopo[14].

Se scelta è la parola preferita di Neo, scopo è certamente quella preferita di Smith, in una polarità di concetti che sembra addirittura troppo sottile per la grossolanità hollywoodiana delle forme che assume. Smith è un interprete privilegiato e allo stesso tempo una vittima dell’infallibile razionalità robotica di Matrix.

Il suo peregrinare in essa in cerca dello scopo perduto lo mette nella condizione di imparare nuove tecniche di cracking del sistema, e così di violare sempre di più i suoi limiti: due su tutte, la capacità di duplicarsi, e quella di accedere al mondo vero impossessandosi del corpo di un uomo.

In estrema sintesi, verso la fine del terzo film Matrix è ormai nelle mani di Smith, poiché è abitata unicamente da milioni di suoi cloni perfettamente coordinati tra loro. È, come dice nel suo delirio, il suo mondo.

L’intera civiltà delle macchine risulta così messa in scacco da un software deviato che, molto probabilmente, tenterà un colpo di stato in grande stile: può spostarsi ormai facilmente da Matrix alla città delle macchine nel ‘mondo vero’, e così può giungere a minacciarne l’egemonia assoluta.

Esasperazione e in fondo telos naturale dell’Illuminismo robotico, una dialettica storica che ricorda qualcosa.

 

5. «Che cos’è il controllo?»

L’unico che può salvare la situazione è Neo e lo sa benissimo ma, a dire il vero, il fatto che ci riesca – con l’annesso, penoso lieto fine auto-celebrativo – è ben poco rilevante ai fini della nostra indagine.

Anche solo dalla breve ricostruzione che ne abbiamo dato, si possono cogliere elementi della trama che forse potrebbero far ri-flettere una civiltà di collegati e di dipendenti dalle macchine (dalle centrali elettriche alle app) come la nostra. Per dire qualche altra cosa su Matrix basta tornare a giocarci, tornare a ragionare ogni volta su tutte le sfumature e i dettagli del suo scenario.

Come ad esempio un dialogo che vorrei ricordare in chiusura. Esso avviene nei sotterranei logistici di Zion, verso l’inizio del secondo episodio della trilogia – durante l’unica permanenza di Neo nella bella città degli uomini – e a mio avviso potrebbe suggerire qualcosa circa la lontananza di questo complesso scenario di fantasia:

 

Consigliere Hamann: «Quasi nessuno viene qua sotto, a meno che, ovvio, non ci sia un problema. La gente ragiona così: a nessuno interessa come funziona una cosa finché funziona. A me questo posto piace e mi piace ricordare che la città riesce a sopravvivere grazie a queste macchine. Queste macchine ci tengono tutti in vita mentre altre macchine vengono a distruggerci. È singolare non trovi? Il potere di dare la vita e il potere di toglierla».

Neo: «Noi abbiamo lo stesso potere».

Consigliere Hamann: «Sì, ce l’abbiamo ma… qua sotto a volte ripenso a tutti quelli ancora collegati a Matrix e quando guardo queste macchine non posso non considerare che in un certo senso noi siamo collegati a loro».

Neo: «Ma noi le controlliamo queste macchine, non avviene il contrario».

Consigliere Hamann: «Beh, certo che no, come potrebbero? L’idea stessa è una pura assurdità, ma ti spinge tuttavia a chiederti… che cos’è il controllo?»

Neo: «È la facoltà di spegnere quelle macchine volendo».

Consigliere Hamann: «Giusto, è così. Hai fatto centro, quello è avere il controllo. Se volessimo potremmo farle in mille pezzi. Prima però converrebbe valutare cosa accadrebbe alle nostre luci, al calore, alla nostra aria».

Neo: «Noi dipendiamo dalle macchine e loro da noi. È questo il concetto consigliere?»

Consigliere Hamann: «No, nessun concetto. Ai vecchi come me non importa imporre il punto di vista, non serve a niente».

 

The Matrix è l’unico film che, nel giro di una ventina d’anni, ha cambiato il suo genere d’appartenenza: girando su facebook o tra le metropolitane del mondo – piene di gente perennemente collegata dal proprio avatar a un insieme di app interattive – si può avere la forte sensazione che esso sia diventato un particolareggiato ed intransigente documentario di denuncia preventiva.

Che cos’è il controllo? Sono, le nostre (?), vere pratiche di resistenza? Possono esistere davvero pratiche di resistenza? A differenza dell’oracolo e di Morpheus, il vecchio consigliere Hamann non ha risposte per il giovane Neo, ma forse ha qualche spunto per noi. In fondo, il 2999 non è nemmeno così lontano.

 

APRILE 2014

 


[1] T. Adorno, Minima Moralia, Einaudi, Milano 2005, p. 48.

[2] Per i dettagli tecnici rimandiamo come sempre alla utile pagina di Wikipedia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Matrix

[3] «Riflettendoci con più attenzione, tanto chiaramente mi rendo conto che non è mai dato di distinguere la veglia dal sogno con criteri certi, da rimanerne attonito; e proprio questo stupore mi porta quasi a credere di star sognando anche ora.». R.Descartes, Meditazioni Metafisiche, Laterza, Bari 2006, pp. 29-31.

[4] Si vedano almeno la notissima, utilizzatissima e ormai datata pagina di Diego Fusaro su Filosofico.net (http://www.filosofico.net/filos59.htm), e la raccolta di scritti curata da W. Irwin: Pillole rosse. Matrix e la filosofia, Bompiani, Milano 2006.

[5] The Matrix era un bel film, poi è diventato una trilogia mediocre. Nonostante tutta l’attenzione da me prestata ai sequel non sono riuscito a trovarli all’altezza. Direi rozzamente che il primo film voleva essere un esperimento un po’ cervellotico ed è diventato un classico, mentre gli altri dovevano essere colossal e risultano essere due pacchianate fantascientifiche con un incredibile sovraccarico di dialoghi altisonanti e gente che pontifica da tutte le parti. Nello sviluppo della trama nei sequel non ci sono tuttavia elementi contraddittori, quindi trarremo spunti da tutte e tre le pellicole considerandole parti di un’unica trama.

[6] «Questa specie di lavoro non è mai compiuto, non può esser fatto una volta per sempre. Invero ogni epoca vede il lontanissimo passato in un modo nuovo e diverso; per esempio in Tucidide potrebbe esser riferito un fatto di primaria importanza che sarà riconosciuto solo tra cento anni.».

J. Burckhardt, Storia della civiltà greca, 2 voll., Sansoni, Firenze 1955, p. 11.

[7] Numerosissimi i riferimenti alle tradizioni religiose antiche nella descrizione della residua comunità umana: Zion è ad esempio la rivisitazione della veterotestamentaria Sion nella tradizione biblica Rastafari, tradizione dalla quale la trilogia ‘ruba’ molti spunti, anche estetici.

[8] Si ricordi «l’inadeguatezza del corpo alla battaglia dei materiali» citata, nell’aforisma 33 di Minima Moralia, riguardo alle realissime guerre del Novecento; ma anche le più volte ricordate teorie di Günther Anders nel suo capolavoro.

[9] Utilizzeremo sempre la scrittura non corsivata e senza articolo per riferirci al sistema virtuale oggetto del film e non al film.

[10] «Vedi quegli uccelli? A un certo punto un programma fu creato per dirigerli. Un programma fu creato per gestire e disciplinare alberi e vento, alba e tramonto. Programmi che girano ovunque intorno a te. Quelli che funzionano, che fanno ciò per cui sono stati creati, sono invisibili, potresti perfino pensare che non esistono». Così l’Oracolo in The Matrix Reloaded.

[11] Cfr. M. Horkheimer, T. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Biblioteca Einaudi, Torino 2012, p. 35.

[12] Così in I. Kant, Critica della ragion pratica, bur, Milano 2001, p. 93.

[13] Interessante notare come il primo film finisca con una vittoria o almeno con una prospettiva positiva, in quanto originariamente privo di sequel, mentre il secondo si chiuda in una prospettiva apocalittica costruita ad hoc per il già immaginato, e probabilmente scritto, terzo episodio.

[14] In realtà è molto interessante il modo in cui viene delineato progressivamente il mondo dei cosiddetti “programmi senzienti” durante i due sequel: dal cinico Merovingio al fabbricante di chiavi, tutta una serie di personaggi vengono presentati allo spettatore direttamente come particolari software, ciascuno dotato di una particolare funzione all’interno di Matrix. Come già accennato, l’adempimento perfetto di questa funzione è, nella ratio macchinica, condizione indispensabile della vita di un programma. Le app senzienti riescono addirittura ad avere dei legami, come dimostra la figura di quell’uomo all’inizio di The Matrix Revolutions, errante in Matrix alla ricerca di uno scopo per la sua figlioletta.