HER DI SPIKE JONZE: INTERNET TRA SIMULACRI DELLA REALTà E SINGOLARITà TECNOLOGICA
Salvatore Marfella
1. In principio fu Siri?
Il regista Spike Jonze giura e spergiura di aver pensato alla
storia e di avere scritto la sceneggiatura del film, poi
premiata con l’Oscar, molto tempo prima della sua creazione.
Tuttavia, è un fatto che il suo
Her, presentato in
anteprima lo scorso settembre al New York Film Festival e poi in
concorso al Festival di Roma, sembra ispirarsi a Siri, la nuova
sensazionale scoperta messa a punto dalla Apple. Siri viene
presentato per la prima volta da Tim Cook, amministratore
delegato della società fondata da Steve Jobs, Steve Wozniak e
Ronald Wayne, nel corso dell’evento
Let’s Talk iPhone, tenutosi a Cupertino, California, il 4 ottobre
2011. Che cos’è Siri, il cui nome in norvegese starebbe per
“bella donna che porta alla vittoria”? Nient’altro che un nuovo
software, una nuova funzionalità, che consente di comandare il
proprio iPhone semplicemente con la voce. Non solo: questa
tecnologia permette anche di interagire con un’intelligenza
artificiale, capace di effettuare primordiali collegamenti e
utilizzarli poi per rispondere. Allo stato attuale,
naturalmente, Siri risponde a domande piuttosto basiche (inutile
chiedergli cosa pensa di Dio o del sesso, oppure per chi voterà
alle prossime elezioni) e possiede potenzialità ancora limitate
ma la sua efficacia è destinata a migliorare e ad espandersi,
sia qualitativamente che quantitativamente. Sul sito della
Apple, Siri viene propagandato come “assistente personale”, un
titolo che somiglia pericolosamente ad una promozione che lo
solleva da semplice strumento tecnologico ad oggetto dalle
attitudini e dalle capacità umane.
2. La scoperta di Samantha
Che si ispiri o no a Siri, il film di Spike Jonze racconta
invece una vicenda fantascientifica, ad alcuni apparsa
futuribile che, ad avviso di chi scrive, ha i suoi punti di
maggiore interesse se si predilige una chiave interpretativa
metaforica prima ancora che tecnico-scientifica. Il protagonista
di Her è Theodore
Twombly (Joaquin Phoenix), un impiegato mite ed introverso, la
cui professione è quella di scrivere, per conto di altri,
lettere d’amore da inviare poi via internet utilizzando un
programma di grafica che imita la scrittura umana. La vita
sociale di Theodore è a dir poco scarna: sta per divorziare da
Catherine, dopo un rapporto che durava sin dall’infanzia, e ha
un’amica del cuore, Amy (Amy Adams), che si occupa di
documentari ed è felicemente sposata con Charles. Theodore
trascorre il tempo libero dividendosi tra bizzarri videogiochi
interattivi, chat telefoniche erotiche e ricordi di alcuni
momenti trascorsi con Catherine, della quale è ancora
innamorato. Un giorno, attratto da uno spot, decide di
acquistare un nuovo sofisticatissimo sistema operativo,
os1 (sigla che sta,
appunto, per Operative System), costruito partendo da una serie
di reali personalità femminili e all’interno del quale è stata
inserita un’enorme mole di dati. L’uomo comincia ad interagire
con questo nuovo “cervellone”, che si è auto-attribuito il nome
di Samantha e parla con la voce suadente di Scarlett Johansson.
Samantha si rivela non soltanto un efficacissimo “assistente
personale” mettendo ordine nell’affollato database di Theodore,
ma dimostra di possedere anche varie facoltà proprie
dell’universo femminile mescolando una cultura portentosa (come
quella che può avere un pc
super-evoluto) ed una non comune sensibilità umana, capace di
empatizzare con i drammi emotivi del malinconico Theodore. Così,
tra questi e Samantha nasce e si sviluppa una complicità che,
come avviene tra coppie di umani, è di solito il preludio
dell’amore. Così avviene anche in
Her, al punto che
Theodore non esita a confessare a tutti di avere una relazione
con un sistema operativo e addirittura ad organizzare “un’uscita
a quattro” con il collega Paul e la sua fidanzata, una ragazza
orientale in carne ed ossa.
3. Intelligenza artificiale: simulacri e simulazione nell’era
del web
L’idea di un’intelligenza artificiale non dissimile, e per certi
versi superiore a quella umana, non è certamente nuova nel
cinema, anche se declinata per la prima volta, nel film di
Jonze, nella forma di un vero e proprio melodramma sentimentale.
Il pensiero va ad opere di culto e personaggi indimenticabili
come l’umanissimo replicante Rutger Hauer in
Blade Runner (1982) di Ridley Scott o, ancora prima, a
hal 9000, il
computer di bordo di 2001:
Odissea nello spazio (1968), personaggio che nel capolavoro
di Kubrick si rivelava paradossalmente meno asettico degli umani
con i quali interagiva, più “vivo” degli astronauti della
missione, fino al punto di lanciare, poco prima di essere
disattivato, l’umanissimo grido «Sto svanendo, ho paura». Si
potrebbe infine citare S1mOne (2002) di Andrew Niccol, con Al Pacino nelle vesti di un
regista che, abbandonato dalla protagonista del suo prossimo
film, la sostituisce con un’attrice virtuale, dal nome d’arte
“Simone” (leggibile anche come “Simulation One”), facendo a
credere a tutti che si tratti di una donna vera.
Lo scopo di questo contributo non è mettere a confronto il film
di Jonze con le opere cui lo abbiamo accostato (detto
en passant, un
paragone artistico ed estetico fra queste opere collocherebbe
Her in una posizione
sicuramente minoritaria). Quello che ci interessa sottolineare,
e che a nostro avviso crea un intrigante legame tra le opere
citate, è che in ciascuno di questi film la realtà viene messa a
confronto con qualcosa che è allo stesso tempo il suo doppio ed
il suo simulacro. Restando al film di Jonze, ad esempio, il modo
in cui Theodore aliena se steso nel suo amore per Samantha, al
punto da simulare con lei persino una vera e propria vita
sessuale, apre intriganti riflessioni sul futuro (o, per alcuni,
addirittura sul presente) dei rapporti tra l’essere umano, il
computer ed il web. Internet sembra diventare ormai non soltanto
un semplice aspetto della realtà ed un utile strumento di
informazione, comunicazione e conoscenza, ma si trasforma in una
sorta di doppio, un regno parallelo apparentemente sempre meno
virtuale, un pianeta altro dove le menti degli uomini vanno ad
abitare e nel quale rovesciano le loro frustrazioni e la loro
incapacità di instaurare una proficua e soddisfacente vita di
relazione, a cominciare dall’amore e dal rapporto di coppia.
Internet diventa così una sorta di simulacro dell’era
postmoderna. La
globalizzazione telematica e tecnologica sembra determinare,
nell’uomo, una spinta centrifuga, un esodo da sé e dall’incontro
con l’altro, che appare come qualcosa di sempre più complesso,
se non addirittura chimerico. Assistiamo così ad una sorta di
paradosso quasi iperbolico: la società cosiddetta “avanzata”,
centrata sulle più evolute tecnologie di comunicazione, la
presunta “società della conoscenza” ci allontana subdolamente
dal mondo, da quella che chiamiamo “realtà” o “verità delle
cose”.
Sulla società postmoderna, da lui definita
società-simulacro, alcune cose importanti sono state scritte,
con grande lungimiranza, da Jean Baudrillard nel suo saggio
Simulacres et simulations, pubblicato nel 1981[1].
Secondo Baudrillard, quello che domina e governa questo tipo di
società è un’apparenza di verità che si vuol far passare come
verità e/o realtà ma che di essa è soltanto un simulacro. In
altre parole, è probabile che non esista una realtà oggettiva
delle cose anche se questo potrebbe non essere un problema. Il
problema sorge quando si vuol far passare come verità un
simulacro. Nel caso di Her,
Samantha è un Sistema Operativo, non ha sensazioni reali ma
soltanto programmate. Theodore ne è consapevole fin dal momento
in cui decide di acquistarla. Da un certo punto in poi, e qui il
suo fatale errore, l’uomo dimentica questa semplice verità e
inizia a trattarla e a rapportarsi con lei come se fosse una
persona reale, dotata di una sua propria natura. Molto
importante, in questo senso, è la sequenza in cui Theodore
asseconda un’idea di Samantha e decide di invitare a casa una
ragazza che “presterà” il suo corpo a Samantha e parlerà con la
voce di questa in un gioco all’apparenza intrigante. Theodore si
trova così a stringere un corpo muto che inizia poi
improvvisamente a parlare e a godere con la voce di Samantha. A
questo punto, Theodore non riesce ad aderire a questa situazione
straniante e interrompe il gioco: in quel momento il simulacro
della realtà, rappresentato dalla sconosciuta che parla con la
voce di Samantha gli appare in tutta la sua nettezza: le due
donne, quella reale e quella virtuale (cioè inesistente)
appartengono a due mondi diversi e inconciliabili che è
impossibile mescolare e far coesistere, seppure per il breve
attimo di un incontro erotico.
4. La singolarità tecnologica: le teorie di Vernor
Vinge
Un ultimo punto che può essere affrontato a proposito di Her è
il suo rapporto con le teorie della cosiddetta singolarità
tecnologica, che si devono in particolare al matematico e
romanziere Vernor Vinge (autore, tra l’altro, di un romanzo
breve, The Cookie Monster,
tradotto in italiano proprio con il titolo
I simulacri, edito nel
2004). Vinge, che ha studiato il fenomeno sin dagli anni ‘80,
nel 1993 pubblicò un articolo, dal titolo
The Coming Technological
Singularity: How to Survive in the Post-Human Era[2],
nel quale preconizzava che, nel giro di trent’anni (quindi,
all’incirca nel 2023) l’umanità sarebbe stata in possesso di
tecnologie capaci di creare intelligenze super-umane, che
rischiavano di rendere obsoleto l’essere umano stesso. In virtù
del perfezionamento dei sistemi di hardware dei computer, l’uomo
sarebbe riuscito a creare delle macchine cui non sarebbe mancata
alcuna caratteristica di quelle proprie degli esseri senzienti.
Nel suo saggio, Vinge citava le teorie del matematico britannico
Irving John Good che, già negli anni ‘60, parlava
dell’invenzione, da parte dell’essere umano, di macchine
super-intelligenti che, qualora non fosse stato capace di
dominarle, sarebbero risultate essere anche la loro ultima
creazione. Difatti:
Una
macchina ultra intelligente potrebbe progettare macchine
migliori; ci sarebbe quindi, senza ombra di dubbio, una
“esplosione di intelligenza” e l’intelligenza dell’Uomo
rimarrebbe molto indietro[3].
Per evitare la fine dell’èra umana, Vinge auspica allora una
stretta interconnessione, una combinazione uomo/macchina da
effettuarsi tramite l’utilizzo di internet che (e qui Vinge
aveva visto giusto) in breve tempo avrebbe conosciuto uno
sviluppo esponenziale:
il progresso in questo campo è quello che procede più
velocemente. Il potere e l’impatto di internet sono largamente
sottovalutati. Il suo stesso anarchico sviluppo è una
dimostrazione del suo potenziale. Con l’aumento di connettività,
ampiezza di banda, dimensioni degli archivi e velocità dei
computer, assistiamo ad un qualcosa di simile alla visione di
Lynn Margulis, in cui la biosfera è un elaboratore di dati, ma
ad una velocità milioni di volte maggiore e con milioni di
agenti intelligenti (noi stessi)[4].
Solo che Vinge non pensava agli smartphone ma a qualcosa di
assai più avanzato e (per ora) ancora fantascientifico, dal
punto di vista sia tecnologico che biologico: la creazione di un
complesso sistema di elettrodi che collegassero direttamente il
cervello dell’uomo con il suo
pc, ad esempio
attraverso il nervo ottico. Il film di Jonze sembra situarsi in
una fase immediatamente precedente alle teorie sulla Singolarità
Tecnologica di Vinge: il protagonista del film, infatti, non è
fisicamente collegato ma solo intimamente connesso a Samantha,
necessitando ancora di supporti materiali (auricolari,
telefonino), seppure di dimensioni sempre più lillipuziane. E
chissà se, caso unico nella storia del cinema di premio dato ad
una “voce” priva di corpo recitante, la vittoria al Festival di
Roma di Scarlett Johansson come migliore attrice protagonista
non sia un modo per spingere anche la settima arte verso questa
dimensione “mutante”.
APRILE 2014
[1]
Jean Baudrillard,
Simulacres et simulation, Galilée, Parigi 1981.
[2]
L’articolo è consultabile, nella versione originale al
seguente link:
https://www-rohan.sdsu.edu/faculty/vinge/misc/singularity.html.
Una traduzione italiana è invece presente al seguente
link:
http://www.estropico.com/id136.htm.
[3]
I. J. Good,
Speculations
Concerning the First Ultraintelligent Machine, Franz
L. Alt and Morris Rubinoff, New York: Academic press
1965, (Advances in Computers), vol.
vi,
pp. 31-88. La traduzione è mia [n.d.a].