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Gennaio 2014

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PRESENTAZIONE DEL NUMERO

Redazione

 

Il numero 12 di «Città future» che qui vi presentiamo sarà l’ultimo in cui gli articoli pubblicati non rispondono ad un tema generale, ma seguono ancora lo schema della rivista divisa per rubriche che si è venuto imponendo negli ultimi numeri. Dividere i pregi dai difetti di quest’impostazione “storica” lo lasciamo fare ai nostri lettori, riservandoci, piuttosto, il compito di segnalare loro l’inizio di una nuova stagione, a cui abbiamo deciso dovrà corrispondere l’inaugurazione di un modo diverso di realizzare i numeri della rivista, incentrati, da oggi in poi, attorno a dei temi teorici preventivamente proposti ai nostri collaboratori (e perché no ai nostri lettori), a cui seguirà una seconda parte dedicata in modo specifico alle inchieste e all’approfondimento delle “esperienze” d’alternativa che si pongono oggi sulla scena della società.

Presenteremo tutto ciò comunque in modo più adeguato nel prossimo numero. Per venire al presente, e cioè al numero 12 in questione, va messo anzitutto in risalto il contributo dell’editoriale curato dalla redazione, perché con esso si continua l’analisi della strategia che le classi e i gruppi dominanti stanno mettendo in atto nella prospettiva di rinnovare le forme e i modi di riproduzione del capitale su di una scala globale. In particolare si mette a fuoco il tema della gratuità delle merce come elemento sostanziale e simbolico del rinnovamento del capitalismo agli occhi delle masse. La tecnologia della comunicazione, dunque, internet sicuramente, ma non solo, mette in luce meglio di altre forme e di altri settori industriali la prospettiva di legare la riproduzione del capitale ad un’immagine generosa e, al tempo stesso, onnipotente del sistema del consumo, il quale non mettendo limiti, e, cioè, dando tutto con pochissimo a chi gli accorda il proprio consenso, e che nel momento stesso in cui ci rende utenti senza chiederci apparentemente un costo per ciò (si pensi a google, facebook, etc.) in verità lega la nostra vita in modo molto più subdolo al progetto di arricchimento di alcune poche corporations dalla dimensione, come è evidente, del tutto transnazionale.

 

Di seguito troverete poi un interessante sviluppo del tema dei luoghi e delle alternative allo sradicamento dell’esperienza contemporanea in un contributo di Alessandro D’Aloia che ha il pregio di tenere insieme diversi aspetti della visione critica sul presente: in esso si tratta, infatti, dal tema della smaterializzazione dell’esperienza come conseguenza della virtualità, a quello della migrazione come tratto tipico della contemporaneità, alla questione della città, al tema del destino del lavoro umano nella nostra società ipertecnologica.

 

D’altro canto su questo tema si sofferma anche il contributo di Mariano Mazzullo che con una disamina del rapporto fra internet e le nuove generazioni mette a tema da un lato il rapporto che sussiste fra il presunto superamento della materia, grazie all’informatica, e il ritorno di tale materialità nella forma della ristrettezza dei punti di vista sul mondo, dall’altro quello del rapporto che sussiste fra nuova dimensione informatica, il tema del lavoro e la connessa espropriazione di valore e di senso, e quello della proprietà.

 

Sempre all’interno della rubrica Esperienza e rappresentazione troviamo poi i contributi di due nuovi nostri collaboratori con cui siamo entrati recentemente in contatto. Del primo, Vittorio Lubrano, pubblichiamo un’attenta ed utile ricognizione della fortuna, o sarebbe meglio dire sfortuna, del pensiero di G. Debord, pensiero tanto più celebrato, quanto spesso frainteso, in buona o cattiva fede che sia. Si ricostruiscono nell’articolo di Lubrano le connessioni e le riprese di tale pensiero con i pensieri successivi di Agamben, Perniola e Nancy, non prima di aver riportato alcuni dei tratti caratteristici della figura del filosofo francese morto suicida nel 1994 a Champot – Bas lasciando a noi il compito (per chi se la senta naturalmente...) di sviluppare la comprensione della natura spettacolare del nostro mondo. Dall’altro canto abbiamo il contributo di Salvatore Marfella, il quale presentandosi nella forma di una recensione di un classico, va, tuttavia, al di là di questo genere, e si presenta come una maniera di riflettere sull’origine della società dello spettacolo e sulle forme televisive che essa assunse in particolare in Italia, luogo ideale, come sottolinea Lubrano, agli occhi dello stesso Debord, per analizzare i fenomeni nuovi dello spettacolo e della spettacolarizzazione della vita. Tale spunto è approfondito, in particolare, da Marfella attraverso lo sguardo di Fellini (anche se l’incipit pasoliniano sancisce il tono dell’intero articolo) e di uno dei suoi ultimi film, Ginger e Fred del 1985.

 

Di qui si passa poi ad un altro contributo di Alessandro D’Aloia, ricavato, da una discussione avuta in preparazione del seminario presso l’Istituto Italiano per gli studi filosofici del prossimo Giugno sul tema della pornografia. Lo si segnala, perché pur trattandosi di temi da sviluppare, esso punta l’indice su uno degli aspetti inquietanti – e forse proprio questo ci testimonia trattarsi di qualcosa di profondo, vale a dire di particolarmente “reale” – della nostra nuova psicologia determinata dal mondo del social, dove socializzabile e socializzata è anche (e soprattutto ormai) la pornografia, nella sua forma diretta (la pornografia in quanto tale) e quella indiretta (tutto il resto, in quanto esito della pornografizzazione dell’esperienza sensibile tutta).

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Per quanto riguarda, invece, le inchieste in questo numero vi presentiamo un’intervista che non potrà passare in secondo piano per il tema, e per l’interlocutore incontrato da Massimo Ammendola. Sul tema attualissimo della terra dei fuochi, emblema di come si vanno gestendo i rapporti di potere sul nostro territorio, in un luogo in cui si intersecano politica, stato, affari, malavita, forza pubblica, ha risposto alle nostre domande il parroco Don Maurizio Patriciello, già noto ai più per il suo intervento nella questione e la sua lotta contro la distruzione ecologica (e antropologica) di un’intera regione dell’Italia.

Sulla medesima questione presentiamo anche il contributo di Ornella Esposito, che riporta l’esito di un colloquio con il Prof. Massimo Fagnano, coordinatore di un gruppo di ricerca articolato in 6 facoltà della Federico II, sulla possibilità di pensare ad una bonifica eco-compatibile, contrapposta alle costosissime tecniche chimiche di bonifica, di quei siti che non sono inquinati da rifiuti tossici, ma solo da agenti organici.

 

A tale contributo segue poi la risposta di Alessandro D’Aloia ad alcune questioni poste nello scorso numero dal nostro collaboratore G. Cosenza, ed in particolare sui temi della destra e della sinistra, della città, e della questione, problematica, del rapporto che sussiste ormai nel capitalismo attuale fra vecchie e nuove forme di schiavismo.

 

Abbiamo infine, per quanto riguarda le recensioni, due interessanti presentazioni di libri. Libri molto diversi, all’apparenza, il primo un libro tradotto in diverse lingue e ampiamente distribuito sui grandi circuiti trattandosi di un testo dello scrittore francese M. Houbellecq (il testo La possibilità di un’isola è recensito da Pia Pucci), il secondo un testo edito da meno di un anno per la Liguori (il testo Sul buon uso dell’impazienza è di S. Prinzi classe 1982, recensito da Annelise D’Egidio), nel quale un giovane studioso si cimenta con i temi delle nuove trasformazioni della società capitalistica e, soprattutto, con quello della prospettiva dell’organizzazione in vista di un’azione di resistenza che ancora possa proporsi oggi, nonostante tutto, e, soprattutto, nonostante l’impazienza di fare a meno della stessa idea di organizzazione, in vista di un cambiamento generale delle cose. Ma meno dissimili di quanto appare, se li si guarderà sotto la luce dei nuovi tempi, i tempi dell’accelerazione e della frenesia, dell’impazienza, appunto, (nella prospettiva di Prinzi) ai quali affondando più nel profondo, finisce con il corrispondere nel nostro mondo, tuttavia, il desiderio di farla finita con i limiti in genere imposti dal tempo, giungendo ad immaginare un’umanità senza più la morte, e, soprattutto, senza più il morire (nella visione offertaci da Houbellecq).

 

Buona lettura a tutti.

La Redazione.

 

GENNAIO 2014

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