Esperienza e rappresentazione
IL LESSICO DELLA CRISI E LA CRISI DELLE PASSIONI
Annelise D'Egidio
Dopo il Secolo Breve, capace di
scatenare la rabbia cieca, un grande desiderio di rivalsa, una
furia omicida incontrollabile, l’Europa sembra aver imparato la
lezione, divenendo immune da passioni tanto violente. Tuttavia,
considerando l’enorme quantità di spazio occupata dalle notizie
sulla crisi economica negli ultimi anni e come lo spauracchio
della crisi abbia influenzato le scelte e gli umori degli
europei, senza contare il gergo adoperato da politici,
giornalisti ed esperti – un gergo che spesso insisteva con
paragoni bellici, fino poi a stabilire l’identità tra gli
effetti della crisi e gli effetti della guerra – vale la pena di
investigare meglio cosa la crisi abbia scatenato a livello
passionale.
Quest’ultimo termine, per la
verità, si adopera spesso e il più delle volte impropriamente:
ad esempio, si attribuisce al carattere di una persona come
sinonimo di veemente, irruento. Ma cos’è passione? L’etimologia
latina indica una passività, cioè un subire: patisce dunque chi
è il termine di un’azione compiuta dall’agente. Generalizzando,
si patisce tutto ciò che non si fa e l’etica antica – in piena
coerenza con l’etimo – giudicava le affezioni come passività e,
di qui, il termine passioni. Platone, Aristotele, Seneca, Cicerone, Marco Aurelio,
Epitteto, Epicuro (e l’elenco potrebbe continuare ancora per
parecchie righe) si sono occupati delle passioni, assumendo
posizioni diverse ma, nel complesso, sono stati concordi nel
rilevare la pericolosità delle passioni per l’equilibrio
dell’animo umano. Minaccia che
Gli stoici hanno maggiormente
insistito sulla contrapposizione tra passione e ragione,
producendo tutto un sistema di regole e pratiche per la medicina
dell’anima “impossessata”; ma – e la cosa si fa ancor più
interessante dal momento che la morale stoica è per intero
confluita nel cristianesimo – le terapie dell’anima o, come le
ribattezza Foucault, le tecnologie dell’anima, avevano principalmente una funzione di
prevenzione, dunque erano pedagogicamente destinate
all’autogoverno dei neofiti.
L’attenzione e la dedizione con
cui l’Occidente greco-romano si è dedicato al controllo delle
passioni non verrà meno neppure successivamente, nell’Europa
cristiana. Ciò che noi siamo oggi, altro non è che il risultato
della sedimentazione di pratiche di autogoverno, correzione e
costrizione. Lo aveva detto già Freud, sanzionando il disagio
della civiltà come il più consistente tributo pagato dal genere
umano alla civilizzazione. E, prima di Freud, anche Nietzsche,
secondo cui la morale è un colpo al cuore alla ferinità
dell’uomo, alla sua spontaneità vitale. Inibire la passioni,
soffocandole o dirigendole verso obiettivi leciti, è ciò che
assicura la stabilità di una certa comunità o la fa nascere e
qui non si può non pensare ad Hobbes: la paura reciproca degli
uomini li spinge a consorziarsi. Se la paura fonda la socialità
umana e si placa attraverso leggi e contratti, non è affatto
detto che sparisca all’atto di nascita della nazione. Anzi,
A prima vista, sembrerebbe che
il disciplinamento delle passioni abbia ben poco a che fare con
la più grande crisi economica dell’Occidente dal 1929. E invece
le due cose sono strettamente concatenate. Se, come ha
ampiamente dimostrato Foucault[3], la civiltà
occidentale ha proceduto nella strutturazione del soggetto
tralasciando uno dei due principi cardine dell’antichità
classica – la cura di sé – e dando ampio spazio all’altro – il
conosci te stesso – non è azzardato sostenere che con
Ricercando lo shock
emotivo e con esso la contaminazione – il contagio della virtù
repubblicana – i giacobini furono capaci di disegnare e dare
inizio ad un progetto politico che è tutt’oggi vivo, come loro
lascito alle generazioni future. Con parole di Robespierre:
«Questa gloriosa rivoluzione dovrà far tremare il mondo per
rigenerarlo»[6].
Anche lo spread per molto
tempo ha fatto tremare le vene ai polsi di politici, banchieri e
finanche quelle dell’attonito ed impreparato pubblico dei
notiziari. È quindi all’orizzonte una rigenerazione del mondo?
Spesso, come un mantra, ci hanno ripetuto che in greco crisi ha
anche il significato di opportunità. Ricorrervi come possibile
risposta per questa domanda è banale. Mentre gli esperti si
affannano a ripetere che la ripresa si intravede e dobbiamo
cercare in ogni modo di agganciarla, si tralasciano le
devastanti ricadute sociali della crisi, fingendo di non vedere
cosa e chi ha lasciato a terra. Qui non si agita più la paura,
ma una flebile speranza che deve invogliare i consumi delle
famiglie e la fiducia degli investitori. Per cinque anni il
mondo del capitalismo avanzato è stato in guerra e quella guerra
l’ha perduta: è questo quello che si vuole ignorare. Ma non
possiamo permettercelo. Continuare a illudere gli elettori che
esistono ricette miracolose per riportare il consumismo ai suoi
anni ruggenti serve a ben poco: la coperta è corta. Ciò che
occorre davvero sarebbe iniziare a dire la verità.
Paradossalmente, una società così incline alla misura – nel
senso greco di moderazione – delle passioni, così avvezza
all’uso della ragione, vive di superstizione – nel senso
originario del termine – e menzogne. La capacità di calcolare i
rischi, prevedendo le perdite e ottimizzandole, non è servita a
molto nel mondo dell’economia reale e non ha evitato lo
sconquasso sociale. Se pure ancora vi fosse stato, fino a pochi
anni fa, qualcuno disposto a sostenere che
SETTEMBRE 2013
Bibliografia
- R. Bodei,
Geometria delle passioni,
Feltrinelli, Milano 2003.
- J. Butler,
La vita psichica del
potere, Meltemi, Roma 2005.
- M. Foucault,
Gli anormali,
Feltrinelli, Milano 2009.
- M. Foucault,
L’ermeneutica del soggetto,
Feltrinelli, Milano 2011.
- S. Freud,
Il disagio della civiltà,
Bollati Boringhieri, Torino 1985.
- A. Touraine,
Critica della modernità,
Net, Milano 2005.
- S.
Vegetti Finzi (a cura di),
Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1995.
[1]
Sono interessanti
le considerazioni che sviluppa sull’Amleto
shakespeariano e, in generale, sul teatro inglese,
relativamente alla rappresentazione dell’eroe tragico e
del suo dolore, Nadia Fusini nel saggio
L’eroe tragico
ovvero la passione del dolore, nella raccolta dal
titolo Storia
delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1995.
[2]
Vi è anche
un’altra possibile sorte per il desiderio, la sua
criminalizzazione. È ciò che capita al sorgere
dell’istituzione giuridica moderna, quando medicina e
legge si incontrano, rafforzandosi e legittimandosi a
vicenda sulla pelle – letteralmente – dei soggetti
anormali. Essi divengono pericolosi a partire dalla loro
stessa natura di individui non normalizzabili, avulsi
dalla norma, a-normali dunque. La risposta del Potere al
pericolo che per la sua stessa vita essi rappresentano è
non l’espulsione, ma un ancor più massiccio inglobamento
degli anormali nella norma. Tale dinamica consiste nella
criminalizzazione dell’individuo patologico e del suo
desiderio che, in quanto desiderio del soggetto
patologico, altro non può essere che desiderio
patologico, desiderio a-normale per essenza. Siccome
l’anormale è percepito come pericoloso per la normalità,
allora il desiderio del patologico è desiderio
criminale. Ma, come opportunamente sottolinea Foucault,
quest’ultimo corrisponde, soddisfa per essere precisi,
il desiderio del crimine che anima la solerzia dei
giudici e dei medici. Cfr. M.Foucault,
Gli anormali – Lezioni al
College de France 1974-1975, in particolare, per un
inquadramento generale del problema, le prime tre
lezioni.
[3]
Il riferimento è
alla trascrizione delle lezioni tenute al College de
France tra il 1981 ed il 1982 pubblicata da Feltrinelli
col titolo
L’ermeneutica del soggetto.
[4]
Si veda in merito
R. Bodei, Geometria delle passioni, Feltrinelli, Milano 2003, pp. 211-214.
[5]
L’espressione,
come anche molte suggestioni presenti nell’articolo, è
tratta da R. Bodei,
Il rosso, il nero
e il grigio:
il colore delle moderne passioni politiche,
in Storia
delle passioni, cit.
[6]
Ibidem,
p. 462.