DCHE COS'è UN LUOGO?
A cura della Redazione
Alessandro D’Aloia
Un luogo è uno spazio
depositario di significati.
Uno spazio i cui elementi sono
intrisi di patina socio-temporale.
Questa patina è un velo sottile
di memoria che parla delle persone attraverso i segni delle loro
civiltà anche quando esse non ci sono più. Uno spazio che parla
di persone presenti o passate. Un posto in cui si sentono
presenze anche stando da soli. Un registro di passaggi, di
tracce sedimentate, posate sui pavimenti, sui muri, affacciate
alle finestre. Scene che senti essere appartenute a diverse
epoche, in cui si percepisce almeno un tempo in cui qualcuno ha
lasciato un po’ di sé proprio lì. Un luogo si può leggere e
capire, ti lascia immaginare le faccende che vi accadono o che
vi accadevano facendoti partecipare alla sua storia.
Un luogo è un ritaglio di mondo
eletto a proprio rifugio da qualcuno. Un paese, un quartiere, un
vicolo, una piazza, ma anche un pezzo di paesaggio oppure un
albero dove si possono leggere, incise nella corteccia, le
iniziali di amanti ignoti, un sentiero in montagna, uno slargo
naturale, una fontana di pietra. I luoghi sono complementi umani
sulla carne della terra, sono finiture, giuste conclusioni,
prolungamenti della natura, compensazioni di scavo e riporto, un
gradino intagliato nella roccia viva, sottratto dove in eccesso
aggiunto dove in difetto. Essi hanno un’atmosfera, una loro
luce, che intesse taluni rapporti cromatici con i suoi
materiali. I luoghi hanno odori, si lasciano annusare. Nei
luoghi una finestra dialoga con la luce, un balcone con la
piazza, una parete con la via, un cortile con l’ombra, il
pavimento con i muri, i terrazzi con il cielo, i tetti con le
nuvole. I luoghi ti invitano a restare, almeno a fermarti. Nei
luoghi riesci a fare tardi. In questi posti vorresti i tuoi
amici più intimi, quelli con i quali non servono parole. Non
sempre si tratta di posti al di fuori di te. Essi possono
occupare spazio nella tua anima. Nei luoghi conosci gli altri e
forse anche te stesso.
Giulio Trapanese
I. Intanto mi domanderei cosa è
uno spazio. E direi che uno spazio non è solo e semplicemente
qualcosa in cui si è, ma qualcosa che si è.
II. Un luogo, in più, è uno
spazio a cui si attribuisce un certo valore in un dato momento
della nostra vita, con determinate persone e in date
circostanze.
III. Il luogo è la verità di ciò
che noi siamo in un certo frammento della nostra esistenza. Esso
non è lo sfondo, ma il contenuto vero e proprio d’una relazione
umana.
IV. Dunque chiamo luogo ciò che
rende possibile l’instaurazione di un senso, ovvero l’alfabeto
con cui si può intendere e contribuire al discorso sulla vita.
V. A nuove forme di spazio
corrispondono così nuovi uomini e nuove donne, scale e gerarchie
nuove di valori e di senso.
VI. Cambiamento dell’uomo e
cambiamento dello spazio sono sinonimi.
VII. Un luogo è il modo storico
in cui vive o ha vissuto una certa umanità.
VIII. Alla questione sui non
luoghi di oggi (centri commerciali, aeroporti, ma anche luoghi
virtuali in senso stretto) è difficile rispondere. Essa implica
che siano esistiti luoghi veri e propri, e che oggi questi non
esistano più.
IX. C’è un’intera filosofia
dietro al modo in cui si considera il destino attuale dei
luoghi: io non credo esistano oggi non luoghi, ma piuttosto
luoghi molto diversi da quelli di prima.
X. Nel senso che oggi esistono
luoghi molto diversi, così come uomini e donne molto diverse dal
passato.
XI. Si può criticare il mondo
presente. Ma accettando ciò che è divenuto: il corso della
storia, infatti, rende diverso anche chi gli si oppone.
XII. I “nostri” non uomini e non
luoghi sono comunque gli uomini e i luoghi del presente. E il
“non” è un limite non per il futuro, ma per noi che guardiamo
dal passato.
Franco Arminio
Essere significa essere in un
luogo. Solo Dio, se esiste, sembra possa fare a meno di un sito.
Non so cosa sia un luogo, non so parlarne dal punto di vista
filosofico. Sento semplicemente che i luoghi sono minacciati,
che i luoghi stanno per finire. Sento anche, almeno in
occidente, un senso di morte in ogni residenza. Non abitiamo
luoghi morti, ma siamo morti che abitano luoghi vivi. La mia
idea è che i luoghi possano essere una farmacia. La paesologia è
una sorta di terapia affidata ai luoghi. Considero il mondo
esterno un grande possedimento per ognuno di noi, un
possedimento più sicuro del nostro corpo e più ancora della
nostra anima. Insomma, possiamo dire che questo è il tempo dei
luoghi. E non importa se non sappiamo bene cosa possa
significare.
Dario Malinconico
È molto facile, parlando di un
luogo, cadere nella
dicotomia del dentro o fuori. Essere, appartenere, abitare,
prendersi cura: sono tutte prerogative di un soggetto che si
ritrova in un luogo e senza pretese di alcun tipo, con
naturalezza, prova a impossessarsene nei modi in cui l’essere
umano ha sempre tentato di fare. Al contrario: allontanarsi,
partire, lasciare e disincarnarsi sono tutte azioni che portano
“fuori” da un luogo colui che decide di uscirne. Dentro o fuori.
Che il luogo sia fisico, mentale o simbolico ha un’importanza
relativa. Perfino i non/luoghi tipici delle nostre città –
private di storia e percorse da anonimo cemento – sono in realtà
continuamente in bilico tra differenti tentativi di
appropriazione, centimetro per centimetro, da parte di gruppi
che intendono escluderne altri, seppure per lo spazio di una
serata, oppure da architetti di grido e da politici con spiccata
vocazione urbanistica. L’idea generale è che il luogo deve avere
una sua “destinazione”, associata a una determinata antropologia
stanziale. Nel caso in cui il luogo si connoti invece come luogo
di passaggio, anche qui il passaggio è sempre finalizzato ad
un’azione precisa: consumare, divertirsi, visitare in modi e con
finalità determinate. Mi sembra, in definitiva, che ogni luogo
possieda un “dentro”, rappresentato dalle azioni che vi sono
socialmente consentite e accettate, e un “fuori”, ovvero ciò che
lì non si fa, non perché proibito, ma perché altri luoghi vi
sono predisposti in maniera più comoda all’uso. C’è però
un’umanità, anch’essa molto varia ma di minoranza, che percorre
luoghi su luoghi poggiando i piedi, come fanno gli equilibristi
al circo, lungo le linee
di confine che stanno a separarli, senza conoscere bene la
destinazione di ciascun luogo, il suo “dentro” e il suo “fuori”.
Sono coloro che migrano, gli stranieri, ma anche quelli che nel
Settecento ci si compiaceva di chiamare semplicemente
“viaggiatori”. Coloro che “oggi arrivano e domani restano”,
scriveva George Simmel, però spesso inconsapevoli dei luoghi in
cui hanno deciso di approdare. Mi piace pensare, forse in
maniera un po’ immaginifica, che siano i soli da cui posso
attendermi qualcosa di simile all’irrequietezza che sento in me:
ovvero, che i luoghi restino sospesi tra il “dentro” e il
“fuori”, che altri si scannino per possederli e noi, il passo
leggero dell’acrobata, si possa attraversarli con occhi pieni e
mente libera.
Massimo Ammendola
Per focalizzare cos’è un luogo
ho dovuto immaginare prima cosa non lo fosse. E ho avuto una
sorta di illuminazione: un luogo è qualcosa di bello. La
caratteristica che deve avere principalmente è la bellezza. I
luoghi brutti, tristi, spaventosi, sono non-luoghi. Una zona
industriale, un assembramento di pale eoliche, un centro
commerciale. Non fanno bene, non hanno una buona energia, ci
esci col mal di testa e un senso di inquietudine nell’anima. In
effetti, quelli che ho poco fa elencato, sono tutti spazi creati
dall’uomo: è quindi più facile che un luogo sia naturale. La
natura è portatrice di bellezza per eccellenza. Davanti ad un
tramonto è semplice commuoversi. Ma con questo non voglio dire
che i luoghi antropici non possano esistere, anzi. Ma la
bellezza nelle città, ad esempio, non è proprio ovunque, al
giorno d’oggi. Un luogo è tale se abbiamo voglia di starci. Dove
stiamo a nostro agio, da soli o in comunità. E se la comunità è
sotto attacco di un sistema economico che ci vuole separati come
tanti consumatori compulsivi, ecco allora che i luoghi belli e
comunitari faticano a resistere.
Ha ragione Marc Augé,
antropologo francese, quando definisce non-luoghi molte delle
costruzioni dove si svolge la nostra vita, quegli spazi
costruiti per un fine specifico (di trasporto, transito,
commercio, tempo libero e svago[1]). E i
nonluoghi
sono in
contrapposizione ai luoghi antropologici, quindi tutti quegli
spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari,
relazionali e storici. Fanno parte dei nonluoghi sia le
strutture necessarie per la circolazione accelerata delle
persone e dei beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i
mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, gli outlet, i
campi profughi, le sale d’aspetto, gli ascensori eccetera. Spazi
in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in
relazione, sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di
accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso a un
cambiamento (reale o simbolico).
Ritrovare i luoghi, raccogliere
i frammenti di bellezza sparsi per il mondo, e soprattutto
ricreare i luoghi: questa è una delle sfide del futuro.
SETTEMBRE-OTTOBRE 2013
[1]
https://it.wikipedia.org/wiki/Nonluogo