TECNO-PURGATORIO
Redazione
L’egemonia oggi non si
presenta nella forma di processo: il sistema in quanto produttore di
rappresentazioni, riesce ad astrarsi dalla storia e il capitalismo non è
più un sistema percepito storicamente. Su questa base oggettiva, e non
più, quindi, solo ideologica, esso fonda il suo dominio.
(G. Trapanese,
Esperienza e rappresentazione nel mondo senza tempo. Il dibattito,
in questo stesso numero).
Né di destra, né di sinistra
È una moda oggi sentire risuonare da
ogni parte la premessa di rifiuto equidistante tanto della destra quanto
della sinistra politica. Chiunque voglia apparire come novità politica
dotata di “buon senso” sente il dovere di posizionarsi fuori dagli
schieramenti tradizionali. Dire che non ci si riconosce nella
rappresentanza parlamentare, sia essa di destra o di sinistra, è
legittimo e condivisibile, ci mancherebbe altro, ma questo è, pensiamo,
diverso dal rifiutare tout court
il significato storico dell’opposizione tra destra e sinistra. I due
termini hanno confini sfuggenti, oggi più che mai, ma solo al costo,
appunto, del rifiuto completo di una prospettiva storica capace di
distinguere tra la realtà e la sua rappresentazione. Non è nostra
intenzione sostenere una qualsiasi difesa della sinistra parlamentare di
oggi o di ieri, ma solo cercare di capire se la definizione possa avere
ancora senso.
Della sinistra politica ci preme non la
sua forma presente ma il suo divenire sinistra. Se così non fosse, non
avrebbe alcun senso criticarla e ci si potrebbe cullare nell’infinito, e
ideologicamente rassicurante, scandalo della destra, attuale e passata.
Allora, pur comprendendo che siamo
nell’epoca dell’istantaneità e dell’immediatezza discorsiva,
rivendichiamo l’inattuale necessità di porci fuori dal tipo di forme
espressive da essa consentite.
Quando Alain Badiou, dice che bisogna
rompere con la sinistra chiarisce bene cosa intende con questo termine:
«Chiamiamo “sinistra” l'insieme del personale politico parlamentare che
si dichiara il solo capace di assumere le conseguenze generali di un
movimento politico popolare singolare. O, in un lessico più
contemporaneo, il solo capace di fornire un “esito politico” ai
“movimenti sociali”»[1]. Qui rompere
con la sinistra è un’azione volta ad espropriare al “personale politico
parlamentare” il monopolio della definizione. È una rivendicazione al
diritto di politicizzare lo spazio esterno all’istituzione della
politica. Questa rottura necessaria, fuori da una cornice ideologica,
può avere un interesse solo per chi si senta appartenente alla storia
della sinistra, dato che solo la sinistra può davvero rompere con se
stessa.
Al contrario una posizione superiormente
equidistante, suona piuttosto come un’indifferenza verso la storia in
generale, e verso, solo ad esempio, le vicende del movimento operaio, in
particolare, che conferisce alla futurista[2] politica
a-ideologica una sgradevole assonanza con quella dell’unità nazionale in
nome del capitale, entrambe così prive di portata emancipatrice. Proprio
perché la sinistra parlamentare vive nel tradimento perpetuo del proprio
referente sociale, porsi indifferentemente contro l’intero arco
rappresentativo, significa misconoscere le responsabilità delle parti in
questo tradimento e dunque, per assurdo, assolvere anche la sinistra
nell’equiparazione con la destra.
Non si pretende qui, tra l’altro,
ripercorrere ambigui parallelismi, per esempio, tra concetti come
sinistra e progresso, o destra e conservazione, dato che bisognerebbe
prima definire cosa intendere con i termini che dovrebbero spiegare
l’una o l’altra posizione. Piuttosto sarà utile proporre una
interpretazione del termine “sinistra”, che potrà essere condivisa o
meno, ma che dia quanto meno un senso più elementare al termine.
Questo senso è banale. Se si crede che
nella società tutti abbiano le stesse possibilità, allora è pacifico che
il mondo è già nel giusto, per cui non ha nessun senso dichiararsi di
sinistra. Se invece si crede che nella società le possibilità siano
distribuite in modo diseguale, ecco che allora la definizione politica
di “sinistra”, in senso lato, ha ancora ragione d’essere,
indipendentemente da ciò che fa o che pensa il suo “personale politico
parlamentare”. Se la società è diseguale, la sinistra prima ancora di
essere organizzazione politica è un sentimento, prima ancora di essere
un’appartenenza di classe, è un’empatia con una parte della società. In
questo senso, non si può non essere di parte. Già Gramsci odiava
gl’indifferenti. Allora essere di sinistra, mentre implica un carattere
diseguale della società, pone il soggetto dalla parte di chi in quella
diseguaglianza è sfavorito. È una regola semplice, quasi primordiale,
nel senso che non ci si dovrebbe prima pensare su, e tuttavia non sempre
così univoca in ogni situazione anche se abbastanza verificata nella
gran parte dei casi. Si tratta “semplicemente” di stare sempre dalla
parte giusta, dalla parte di chi subisce il misfatto e non di chi lo
promuove, né di chi lo accetta come naturale.
Polarità e neutralità
Quando Debord critica l’ideologia, lo fa
assegnando ad essa la corrispondenza con la “coscienza deformata della
realtà”[3]. Questa
coscienza deformata, che opera ideologicamente al servizio del sistema,
non concepisce più se stessa come parte in lotta, ma come “piedistallo
epistemologico”. Essa si identifica con la verità e dal momento che si è
“materializzata” non ha più nulla da proporre, se non la purga delle
passioni nella ripetizione del “politico” trasceso in “tecnico”.
È esattamente questo che intende Monti
quando dice che non è più tempo di vecchie distinzioni politiche. A sua
insaputa egli è d’accordo con Debord, e questa posizione (ideologica) è,
certamente in accordo con la sua posizione di classe e, molto
probabilmente, in accordo con la sua polarità inconscia. Ma la sequenza
ideologia – classe – preconscio
è ugualmente rispettata quando l’affermazione esce dalla bocca di chi
vuole presentarsi quale un movimento politico di proposta, come il M5S?
Più in generale, la domanda che ci
sembra legittima è la seguente: se la parte che ha vinto si astrae nella
post-ideologia avendone tutte le ragioni, la parte che ha perso, può
concedersi lo stesso lusso?
Nel tentativo di abbozzare una risposta,
essendo persuasi da Debord che l’ideologia non può che costituirsi, in
ultima analisi, come autorità indiscutibile e perciò come dogmatica e
sclerotizzante deformazione della realtà, non crediamo all’utilità del
ritorno dello scontro ideologico, come lo abbiamo conosciuto nel
novecento, quando la “falsa coscienza” era già di casa a sinistra non
meno che a destra. Tuttavia il rifiuto dell’impostazione esclusivamente
ideologica nella comprensione della realtà, non può neanche sortire
l’adesione modaiola all’era post-ideologica, come se nulla fosse. Ecco
perché crediamo sia possibile affermare con decisione, per l’agire
politico di un soggetto in movimento, l’assoluta necessità di una
vigorosa, primordiale, essenziale
pre-ideologia, nel senso di un orientamento generale, quanto meno,
storicamente radicato e socialmente consapevole, che permetta di legare
il proprio sentire alle proprie azioni ed affermazioni politiche, in
modo elementarmente spiegabile.
Molare e molecolare
È dunque possibile considerare le
proprie azioni come prive di ideologia semplicemente affermandone a
parole la neutralità? Oppure, come polvere di metallo, tendiamo sempre
ad aggregarci secondo modalità allo stesso tempo istintive e distintive?
Per capire meglio vogliamo citare un
verso:
Il paranoico congegna
masse, è l’artista dei grandi insiemi molari, formazioni statistiche o
gregarietà, fenomeni di folle organizzate. Egli investe tutto sotto la
specie di grandi numeri. […] Si direbbe che, delle due direzioni della
fisica, la direzione molare
che va verso i grandi numeri e i fenomeni di folla, e la direzione
molecolare che al contrario si addentra nelle singolarità, nelle loro
interazioni e connessioni a distanza o di vario ordine, il paranoico
abbia scelto la prima: egli fa della macrofisica. Lo schizo al contrario
va nella direzione opposta, quella della microfisica, delle molecole in
quanto non obbediscono più alle leggi statistiche; onde e corpuscoli,
flussi e oggetti parziali che non sono più tributari dei grandi numeri,
linee di fuga infinitesimali invece delle prospettive dei grandi
insiemi. E sarebbe certo un errore opporre queste due dimensioni come il
collettivo e l’individuale[4].
Questo passo, sembra la descrizione
fedele tanto della tendenza alle formazioni leaderistiche, quanto alla
disgregazione della “sinistra diffusa” e senza volto. Qualcuno si è
preso la briga di contare, ad esempio, le scissioni di un partito di
sinistra come Rifondazione Comunista. Pare che siano state ventidue
(“onde e corpuscoli”). A sinistra si vorrebbero dei
leader, ma poi c’è sempre qualcosa che emerge dal profondo contro
chi, si candida ad usurpare la verità, ponendosi alla guida di
formazioni che possono vivere solo attraverso il reale protagonismo di
tutti gli aderenti. La sinistra è un po’ quel qualcosa che emerge dal
profondo contro la sintesi forzosa di un sentire molteplice e, per
definizione, irriducibile a pensiero unico. È per questo che essa riesce
ad organizzarsi quasi solo snaturandosi in forme che non le appartengono[5]. Semmai la
sinistra troverà una soluzione all’enorme problema dell’organizzazione,
sarà quando sarà riuscita a “macchinare” positivamente questa spinta
inconscia verso il rifiuto delle forme di normalizzazione di sé.
Nel momento in cui, invece, l’elemento
collante di una formazione politica è sostanzialmente rappresentato da
un direttore in carne ed ossa, si ha la situazione meno conveniente per
l’espressione delle singolarità, a maggior ragione in un contesto di
post-ideologia a priori. Il pensiero corre subito ai parlamentari eletti
per il M5S, che non sono neanche liberi di esprimere un’opinione
personale. Le forze politiche oggi in campo sono dunque tutte
prigioniere del personalismo e del conseguente pensiero unico e il M5S
ancora più degli altri. Da questo punto di vista il “nuovo” è già
vecchio. Quando la situazione è questa, il programma non conta niente,
checché se ne dica nella base più o meno larga delle formazioni. E
mentre tutto sembra possibile a parole, l’unica politica che si
riproduce sostanzialmente immutata è quella mercantile, per di più nella
forma di unica possibilità indiscussa, visto che davvero essa non è più
oggetto di attenzione. Per questo diventa possibile eleggere un
parlamento consistentemente de-mascolinizzato e svecchiato, che però è
incapace di agire. Non sa che pesci prendere, anche e soprattutto in
ragione della dichiarata neutralità, quasi nichilista, della parte
outsider.
Responsabilità
L’implosione del Pd sull’elezione del
Presidente della Repubblica non deve nascondere il fatto che il M5S si è
reso responsabile della situazione attuale quando non ha permesso il
formarsi di un governo Bersani. Se avessero contato davvero le idee,
come amano dire i grillini, non ci sarebbe stato motivo di opporsi ad un
nome. Anzi era palmare l’evidenza che permettendo un governo Bersani, la
posizione politica seguente per il M5S sarebbe stata più forte di quella
in cui si trova ora, senza contare un Pdl fuori dai giochi.
Anche qui, nessuno vuole sostenere che
si avesse bisogno proprio di un governo Bersani.
Votando la prima fiducia, il M5S
avrebbe, poi, potuto davvero controllare il governo. Ora invece, è
all’opposizione, con Bersani fuori gioco e con Berlusconi che dopo aver
perso (di poco, ma perso) finalmente un’elezione, sceglie il Presidente
della Repubblica e piazza cinque ministri nel governo.
Napolitano è ancora lì, e le forze che
sorreggevano Monti ora continuano a governare insieme, come se nulla
fosse stato.
La domanda è: chi ha vinto davvero?
Certamente l’Europa del capitale
finanziario, vero piedistallo epistemologico, sul piano sostanziale
delle politiche (o tecniche) economiche e poi la destra sul piano della
spicciola tattica parlamentare. Il Pd, che è
responsabile, lascia fare. Ora è il redivivo Pdl a tenere sotto
scacco il governo. Per il M5S la prima occasione è andata invece
perduta. Spiegare il comportamento del M5S, nell’aver costretto il Pd al
“governissimo”, come la giocata che gli assicurerà la sicura vittoria
alle prossime elezioni, significa dimostrare, in caso di verifica
positiva, il cinismo politico dei nuovi arrivati in parlamento, più
interessati alla percentuale di rappresentanza che alle politiche
concrete in questa fase, in caso di verifica negativa, il sostanziale
analfabetismo politico della formazione.
Quando si entra in parlamento inizia la
prova della verifica dei fatti. Ora non si tratta più di valutare
dichiarazioni di principio e buffet di proposte scritte, ma di verificare scelte concrete.
Una forza politica di rottura, che non
si ponga l’obiettivo di inceppare gli ingranaggi “tecnici” del sistema
politico-economico, non è tale, al di là della retorica urlata con la
quale si presenta. La presenza in parlamento del M5S, con un terzo della
rappresentanza, non ha impedito (e non lo farà) che tutto rimanesse come
prima, anzi ha, se possibile, peggiorato la situazione concedendosi uno
stand-by abbastanza
inopportuno di questi tempi.
Non tutto è rivoluzione
Non entriamo nel merito delle proposte
politiche del movimento di Grillo, molte delle quali condivisibili, non
perché siano di Grillo, ma soprattutto perché traggono origine
dall’elaborazione della sinistra extraparlamentare degli ultimi anni.
Ogni proposta però può cambiare segno quando si cambia il quadro in cui
è inserita ed è questo quadro che non è condivisibile. Il reddito
minimo, ad esempio, non è per niente la stessa cosa del reddito di
cittadinanza, giusto per citarne una.
Ma al di là della cornice complessiva
nella quale inquadrare le proposte, per restare ai fatti è necessaria
piuttosto l’analisi dell’ascesa politica di Grillo.
Chi pensi, ad esempio, che Grillo abbia
utilizzato solo la rete per costruire il suo consenso, tralascia il
fatto che ogni sua dichiarazione sia stata ripetuta ed amplificata
continuamente in tv e sulla
stampa. Chi pensa che internet sostituirà gli altri media non considera
che i media lavorano affiancati l’uno all’altro. La televisione non ha
sostituito la stampa. E, in ogni caso, se internet sostituisse
completamente gli altri media sarebbe davvero un vantaggio per la
democrazia, con una rete esposta in modo assoluto all’iniziativa
privata? Chi parla di cyber-democrazia, con riferimento al M5S, si
chiede come mai Grillo, uomo di spettacolo, ma non altri movimenti
politici, abbia potuto ottenere certi risultati? E quante persone
abbiano votato, ad esempio, nelle parlamentarie? Ma soprattutto chi
auspica questo tipo di sviluppo è capace di distinguere tra democrazia e
marketing?
Si può accettare che una persona sia
proprietaria di un marchio politico e di opinione?
Se Berlusconi è un padrone, inteso come
datore di lavoro e potentato economico, lo è ancora in ragione di
un’impresa che impiega persone. Egli è di fatto
opinion maker, ma non ancora
di diritto. Con Grillo il passaggio è ulteriore. Egli è formalmente
padrone delle coscienze di chi fa parte del suo movimento. Che cosa
tutto ciò abbia a che vedere con una società desiderabile o con un
avvento rivoluzionario è tutto da spiegare. E colpisce il fatto che
soprattutto le nuove generazioni siano pronte, senza remore per la
propria dignità personale, ad accettare queste condizioni di
assoggettamento politico completo come unica possibilità d’impegno
sociale. Siamo di fronte alla prova che nell’epoca delle
rappresentazioni istantanee ogni consenso è ormai un consenso senza
persone?
Fintanto che sarà “buon senso” non
dichiararsi di sinistra, non pensiamo di poterci attendere delle
rivoluzioni e quand’anche qualche, più o meno grosso, cambiamento
dovesse verificarsi in queste condizioni, dovremo presumibilmente
archiviarlo ancora una volta sotto il capitolo delle rivoluzioni
passive.
MAGGIO 2013
[1]
Alain Badiou.
[2]
Nel senso di archiviazione senza giudizio del passato.
[3]
G. Debord, La società
dello spettacolo, Baldini&Castoldi, Milano 1997.
[4]
G. Deleuze, F. Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 1972, p.
318.
[5] G. Lukacs, Considerazioni metodologiche sulla questione dell’organizzazione, in Storia e coscienza di classe, leggibile al seguente link: http://it.scribd.com/doc/109248037/Gyorgy-Lukacs-Storia-e-coscienza-di-classe-TR