CITTÀ FUTURE.
Ovvero Il futuro della città
Guido Cosenza
La città è la struttura
dominante in cui si è materializzata la presenza dell’uomo nella società
capitalista matura.
Non è stato sempre
così, ci si chiede se e come questa istituzione sopravvivrà alla
transizione – se transizione a nuove strutture vitali ci sarà.
Il problema è più
complesso di quanto possa superficialmente apparire. Il tramonto
dell’attuale modello di sviluppo è in atto; la conformazione delle
strutture future dipenderà dalle modalità del trapasso – ne dovremo
affrontare le problematiche – in questo articolo analizzeremo il
fenomeno città iniziando dal rivisitarne il percorso.
La rivoluzione
neolitica rappresenta uno spartiacque fondamentale nel corso
dell’esistenza dell’uomo sul pianeta. Essa costituisce l’elemento di
separazione della fase sociale primigenia, caratterizzata da una
comunità suddivisa in esigue componenti stabili nel tempo (in linguaggio
tecnico stazionarie), da una sequenza di configurazioni sociali
successive a carattere espansivo intramezzate da transizioni il più
delle volte traumatiche, collassi.
Le componenti della
fase sociale primigenia costituite da un limitato numero di individui,
dell’ordine di cento, avevano una scarsa interazione reciproca e
migravano sul territorio alla ricerca di fonti di sostentamento.
Fruite in una zona le
disponibilità per la sopravvivenza
il gruppo si spostava alla ricerca di una nuova area di
insediamento, il ritorno al territorio di partenza avveniva quando le
risorse di sussistenza originarie si fossero rigenerate. Ciò comportava
stanziamenti temporanei e una struttura abitativa e di villaggio molto
semplice che rifletteva un’analoga semplicità di rapporti e di figure
sociali nel gruppo.
L’aspetto rilevante per
quanto riguarda le patologie che s’innesteranno poi con l’avvento della
rivoluzione neolitica è rappresentato dal carattere stabile del gruppo,
nonostante la migrazione.
È importante richiamare
il quadro sociale dominante in quella fase dello sviluppo della comunità
umana.
Le funzioni risultano
molto limitate e poco differenziate, si rigenerano di continuo; i
rapporti sociali si perpetuano nel tempo immutati. La dinamica del
sistema si manifesta nella proliferazione delle componenti che
costituiscono la comunità complessiva, nella loro migrazione e
diffusione sul territorio, ma la singola componente resta immutata,
identica a tutte le altre nei caratteri principali, pur in presenza di
continua accumulazione di conoscenze trasmesse oralmente e di incessante
perfezionamento degli strumenti e delle suppellettili ideate; quegli
esigui frammenti sociali si perpetuano col regolare ricambio dei loro
costituenti. La conformazione primigenia permane quindi invariata per
centinaia di migliaia di anni.
Un radicale cambiamento
nella dinamica sociale avviene in occasione dell’avvio delle pratiche
agricole e della diffusione dell’allevamento di animali.
I gruppi che si
avventurano in tali procedure produttive si fissano in luoghi
appropriati e ben presto hanno accesso a risorse eccedenti il fabbisogno
della comunità. La circostanza ha delle profonde conseguenze:
Inizia l’espansione
dell’agglomerato umano impegnato in nuovi metodi produttivi.
Ha origine il fenomeno
dell’accumulazione di beni causato dalla presenza di eccedenze nella
produzione per il sostentamento.
Si determinano profonde
disparità sociali giacché l’accumulazione di risorse avviene in
maniera diseguale nella comunità.
La vita sociale si
arricchisce di figure e di rapporti. Si assiste alla formazione di
una struttura complessa.
Si originano formazioni
urbane, raggruppamenti stanziali di abitanti, sedi stabili
caratterizzate da costruzioni durevoli in pietra o mattoni.
Gli insediamenti umani
seguono una dinamica espansiva. L’accrescimento ha termine ogni
volta che la scarsità delle risorse mette in crisi la sostenibilità
dell’impianto sociale al momento vigente.
Gli abitati divengono
progressivamente città, prendono corpo e si differenziano i luoghi della
vita associata: il mercato, i teatri, le botteghe, i luoghi di riunione
pubblica, i palazzi del potere, la rete delle interconnessioni, i luoghi
di culto, le sepolture.
In definitiva si
generano delle concrezioni in accrescimento continuo. Il territorio è
penetrato e alterato con progressione incessante, costruzioni su
costruzioni l’una addossata all’altra.
Il processo ha termine
quando il sistema diventa così gravoso da non poter più essere sorretto
nelle sue strutture.
Si chiude un ciclo e se
ne apre uno nuovo.
Le città si spopolano
restano rade zone attive, buona parte degli edifici decade e va in
rovina, ma il processo di accrescimento riprende.
Per procedere nella
comprensione dell’essenza della città e della sua destinazione, nella
prospettiva di un prossimo cambiamento di fase storica, occorre
preliminarmente intendere profondamente il processo ciclico che vive la
comunità umana da quando si sono instaurate le fasi espansive del suo
percorso.
Il ciclo è costituito
da un inizio caratterizzato da una struttura molto semplice il cui punto
di ripartenza origina dal declino della fase precedente, un tracollo che
ha travolto strutture e bruciato risorse.
La ripresa si avvia con
un ritmo lento che va via via accelerando e termina quando il grado di
complessità della struttura risulti nuovamente carente delle risorse
necessarie per il suo sostentamento, si ha nuovamente il disfacimento
dell’organismo sociale, un ulteriore crollo o – molto raramente – la
istituzione di misure di salvataggio che comunque non arrestano il
trend espansivo.
Il decorso del fenomeno
denota una funzionalità patologica suscettibile di degenerare,
costituisce una dinamica che agisce in contrasto con la persistenza del
sistema.
In natura ogni
organismo attraversa una fase di crescita che è temporanea, a un certo
punto dello sviluppo l’accrescimento si arresta e il soggetto prosegue
il suo itinerario mantenendo inalterata la propria complessione.
Schematizzando, lo
stadio di crescita si protrae fino all’arrivo a un punto di equilibrio,
dopo di che il sistema permane in configurazione stabile per un
relativamente ampio tratto temporale.
Il fenomeno
dell’accrescimento senza un termine è presente in ambito biologico come
fenomeno patologico.
Il riferimento è al
diffondersi in un soggetto apparentemente sano di una sindrome
cancerogena. L’evento consta di un’inarrestabile generazione di cellule
il cui carattere di crescita senza limite porta al decesso
dell’organismo ospite.
L’analogia riscontrata
qualifica l’attuale processo sociale alla stregua di un’anomalia
funzionale. Sotto questo profilo la specie umana sarebbe approdata dopo
centinaia di migliaia di anni di permanenza virtuosa sul pianeta a una
patologia funesta che ne mina la sopravvivenza.
È oramai stabilito da
indagini paleontologiche che ogni speciazione è caratterizzata da una
rapida ascesa corrispondente al periodo di gestazione, una lunga stasi e
infine una repentina caduta.
Per la specie umana la
lunga stasi è costituita dal milione di anni intercorsi
approssimativamente dal completamento della propria formazione, anni
durante i quali l’uomo è vissuto di caccia e di raccolta di risorse
presenti nella biosfera. L’equilibrio si è rotto circa dodicimila anni
fa con la rivoluzione neolitica quando si è determinata una transizione
a una nuova fase sociale non più di stasi ma di espansione indefinita.
La forma sociale che è
emersa presenta i caratteri di una degenerazione neoplastica – patologia
che rischia di diventare letale. L’intervallo temporale intercorso dalla
sua istituzione si presenta esiguo in confronto al milione e passa di
anni trascorsi dalla comparsa dell’uomo sulla terra. C’è di più si è
passati da uno stato di equilibrio dinamico corrispondente alla
situazione di stallo presente nell’iter evolutivo della specie a un
corso caratterizzato da un progressivo allontanamento dall’equilibrio,
condizione che potrebbe corrispondere allo stadio terminale della
specie.
Ricapitolando,
l’organismo sociale si presenta affetto da una sindrome cancerogena – ne
abbiamo scrutati indizi inequivocabili. I segni del male sono ancora più
evidenti all’anamnesi degli organi vitali della comunità i principali
dei quali sono le città.
La città si espande e
dilaga sul territorio, subisce una continua accrezione, il cemento
straripa e inghiotte territori, aree verdi, le reti stradali si
moltiplicano e si diramano esattamente con le stesse modalità con cui i
tessuti cancerogeni si vascolarizzano. Chi viaggia in aereo o s’inerpica
su alture ha di fronte la chiara immagine di un processo degenerativo
che dilaga su tutto.
In questi agglomerati
che crescono e che punteggiano l’intera superficie del pianeta si
possono riconoscere altri segni riconducibili a funzionalità
patologiche: la circolazione nella rete mediatica di segnali e
informazioni inappropriati a corrispondere a un sano metabolismo
sociale, stravolgimento di aree urbane, alterazioni dell’ambiente con
formazione di habitat tossici, produzione distorta di beni di consumo,
adozione di tecnologie atte a ottenere mutazioni organiche inidonee al
ciclo biologico della biosfera.
In conclusione con la
rivoluzione neolitica la comunità umana è stata contagiata da
un’infermità a carattere canceroso, il decorso è stato rapido e ora ci
troviamo nella fase terminale – l’intero organismo è infettato – i
segnali distorti, la costruzione di un tessuto alterato, si sono
propagati dappertutto.
La fase strutturale che
stiamo vivendo si origina alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente
attraversa una lunga fase medioevale quasi stazionaria e raggiunge una
prima saturazione delle risorse agli albori del
xvi secolo, subisce un
rilancio dovuto all’accesso alle risorse dell’America, la successiva
saturazione avviene nel xviii
secolo ed è compensata dal ricorso alle risorse fossili.
Ora siamo giunti
all’esaurimento anche di queste preziose fonti accumulate nei milioni di
anni di salvifico irraggiamento solare e siamo pervenuti a impattare con
le pareti che idealmente limitano il pianeta.
La malattia si è
instaurata nell’ultimo centesimo della presenza dell’uomo sul pianeta.
Traslato sulla vita di un uomo il fenomeno si presenta come se
l’individuo avesse vissuto cinquanta anni prima di contrarre negli
ultimi sei mesi il male esiziale.
Chi attraversa la trama
delle articolazioni di una città, nel mezzo di un frenetico, vorticoso,
inane andare di innumerevoli anonimi individui, nello sperimentare
tensioni, violenze, indifferenza, ostilità, sopratutto immani
deprivazioni, enormi diseguaglianze, miseria ovunque dilagante, non può
fare a meno di chiedersi se fosse questa la meta, l’epilogo a cui era
destinato l’uomo – l’animale che aveva fatto dell’intelligenza lo
strumento per affrontare il mondo. Gli strumenti che sono serviti a
inserirci e ad affermarci nell’ambiente circostante hanno finito per
diventare fattori di disadattamento e minare l’equilibrio con
l’ambiente.
Viviamo in un groviglio
di connessioni che trasmettono segnali distorti e produciamo manufatti
disadatti che saranno sistemati in luoghi inopportuni – cooperiamo a un
sistema viepiù contaminato e disfunzionale.
Il tessuto cancerogeno
ha invaso l’organismo sociale, occorre – se ne saremo capaci –
ricostruire l’intera trama nella forma di un ordito sano.
La città è questo, un
cancro che avanza, il luogo in cui si producono e si diramano le tossine
che avvelenano il sistema. Certo la città è anche altro ma quest’aspetto
ha preso il sopravvento.
Il malanno è serio e
non sappiamo se saremo in grado di rigenerare il tessuto ammalorato. Le
terapie proposte, quasi interamente intese ad attuare la
razionalizzazione di una crescita inopportuna, sono risultate inadeguate
in quanto non incidono alla radice sulle cause delle patologie in atto:
la presenza stessa di una crescita ininterrotta. È illusorio pensare di
poter dominare lo sviluppo tumultuoso e generare dal caos congeniale al
mercato, habitat naturale del sistema industriale, un ambiente virtuoso.
Così com’è altrettanto
illusorio pensare di essere in grado di riorganizzare le cellule di una
formazione tumorale in modo da realizzare un organo funzionale
all’organismo sano.
Una questione va da
subito chiarita – Il brevissimo periodo fuori equilibrio vissuto dalla
comunità umana in una configurazione sociale che ho classificato come
patologica ha avuto esiti notevoli anche riguardo alla presenza delle
città. L’uscita dall’equilibrio ha prodotto un’accelerazione enorme nel
conseguimento di obiettivi avanzati, tutto ciò a un costo molto elevato
e soprattutto col rischio di condurre il sistema fuori controllo. Ora è
venuto il momento di utilizzare in modo diverso i successi ottenuti,
occorre riguadagnare una posizione stabile che inevitabilmente
corrisponde a un passo più pacato, a un incedere calmo; i traguardi
sarebbero ovviamente conseguiti più lentamente, ma ciò non deve
impensierire, in realtà abbiamo ancora davanti a noi quattro miliardi di
anni, se saremo capaci di frenare la rapacità impressa nei nostri geni e
se avremo cura di gestire in modo razionale quell’intelligenza che ci ha
permesso di emergere.
In definitiva va
ribadito un elemento cruciale: il sistema sta procedendo rapidamente
fuori equilibrio in un contesto che non si lascia padroneggiare. È
essenziale capire prioritariamente quale possa essere una struttura
stabile della comunità umana compatibile col livello di sviluppo
raggiunto.
Per affrontare tale
tema occorre prioritariamente analizzare l’evoluzione recente degli
insediamenti umani e valutare se vi siano stati dei periodi a carattere
stazionario, poi, ispirandoci alle configurazioni assunte in quelle
circostanze, individuare per il presente condizioni di equilibrio
praticabili.
Alla caduta dell’Impero
Romano di Occidente le città erano spopolate e la popolazione
sopravvissuta era sparsa nelle campagne attorno alle aziende agricole,
uniche entità sopravvissute, pur funestate da bande imperversanti sul
territorio. Tale distribuzione più o meno uniforme va evolvendosi nel
tempo, si forma una miriade di nuclei di aggregazione corredati da cinte
murarie, prevalentemente a scopo difensivo. Il processo si presenta in
guisa di un’iniziale ripartizione pressoché omogenea di presenze sul
territorio dalle quali progressivamente si generano centri di
condensazione che fungono da attrattori, agglomerati urbani che si
accrescono progressivamente.
La struttura giunge a
maturazione in età medioevale dando luogo a una configurazione quasi
stabile: un network in
costante accrescimento costituito da abitati, la cui lieve consistenza
si perpetua quasi inalterata, in lentissimo accrescimento, interconnessi
da tenui relazioni; inevitabile è il richiamo alla conformazione
preneolitica.
È questo lo scenario
che si dispiega in quel lungo periodo storico a torto classificato
oscuro.
Una struttura
equilibrata in cui la campagna permeava la città. Orti e giardini
s’insinuavano fra gli edifici, tutti in generale di modesta dimensione.
I traffici commerciali
e le attività finanziarie si concentravano in pochi centri megalitici:
Londra, Parigi, Milano, Firenze, sono questi i luoghi da cui nel seguito
si irradierà progressivamente il morbo dell’accrescimento, la patologia
descritta in precedenza.
Nel concepire una
futura configurazione di equilibrio è opportuno tener presente la
struttura medioevale che abbiamo tratteggiato.
Proseguendo nella
ricostruzione storica si osserva che le risorse disponibili si
accrescono col procedere della razionalizzazione dell’agricoltura, con
l’ideazione e perfezionamento di strumenti e con lo sviluppo
dell’artigianato e sua organizzazione in funzione della cooperazione di
più addetti. Contestualmente gli addensamenti urbani si estendono, gli
orti e i giardini in buona parte sono invasi da fabbricati e le città
cominciano a manifestare il volto malsano che predominerà e si
accentuerà nell’età seguente.
È la città industriale
che porta a valori insostenibili le degenerazioni della condizione
urbana. Invano urbanisti, architetti, pianificatori tentano di
razionalizzare un tessuto che prorompe caotico, plasmato dalla logica
dello sviluppo industriale non conforme coll’inserimento equilibrato nel
contesto ambientale.
A questo punto risulta
chiaro che la questione principale da porre è la stabilizzazione
dell’intero organismo sociale, cioè in primo luogo la determinazione
delle posizioni di equilibrio in cui il sistema, e per esso gli abitati,
possano stazionare per un cospicuo intervallo temporale. Tale operazione
varrà a prefigurare il futuro delle città.
Va affrontato quindi il
tema della ricerca delle posizioni di equilibrio che possano essere
assunte da aggregati umani in un regime tecnologico avanzato e in
presenza di risorse limitate.
Le configurazioni
idonee a rappresentare strutture stabili dovranno di necessità avere
analogie – come si è già sostenuto – con condizioni storiche in cui la
spinta espansiva era fortemente soppressa, per cui focalizzeremo
dapprima la nostra attenzione sul lungo periodo di stasi realizzatosi in
tempi recenti.
In sintesi il criterio
adottato consiste nel lasciarci guidare da analogie per evidenziare
connotati che presumibilmente dovranno ripresentarsi quando in una fase
successiva all’attuale si riuscisse a inibire l’accrescimento negli
stili di vita e negli insediamenti urbani.
La condizione storica
che porremo sotto osservazione è rappresentata dalla lunga stasi
medioevale durata quasi un millennio. Quel mondo era strutturato in una
serie di comunità separate in debole interazione reciproca, come
precedentemente richiamato.
Erano presenti lievi
agglomerati urbani in relazione stretta con la campagna circostante.
La dimensione di questi
insediamenti era regolata dal bilanciamento fra le forze esterne e la
pressione demografica. Inoltre esistevano pochi e radi spunti di tessuti
degenerati, le megalopoli, laddove esisteva un eccesso di produzione e
relativa accumulazione. Tali punti critici determineranno col
trascorrere del tempo la perdita di stabilità del sistema e la
divaricazione sempre più rapida dalla configurazione di equilibrio.
La conformazione
stabile medioevale assunta dal sistema dinamico induce a presumere, per
analogia, che per conseguire una posizione stabile occorrerà
riconfigurare la comunità secondo una struttura costituita da una trama
di insediamenti abitativi di consistenza limitata e persistente in
osmosi con l’ambiente circostante e in interazione reciproca debole. La
dimensione dei centri urbanizzati dovrà dipendere dal rapporto fra le
forze esterne e la pressione demografica. Uno dei fattori all’origine
delle forze che esercitano l’azione di contenimento è rappresentato dal
volume delle risorse disponibili. La circostanza che le risorse
usufruibili dovranno prevalentemente limitarsi alle sole rinnovabili
agisce da calmiere e va nella direzione giusta, ma occorrerà anche
intervenire con provvedimenti socialmente condivisi intesi a limitare
comunque il volume del prodotto sociale adeguandolo al metabolismo della
biosfera e al vincolo di persistenza nel tempo della consistenza della
comunità umana, in particolare delle formazioni urbane.
In altri termini per
realizzare una politica di stabilizzazione sarà necessario disporre di
misure che impediscano un eccesso di disponibilità.
È importante avere ben
chiaro che la struttura descritta, che presumiamo dovrà in linea
generale avere tratti in comune con un futuro assetto, è ispirata dalle
due configurazioni di quasi equilibrio in cui la comunità umana ha
lungamente transitato nel passato: la conformazione preneolitica e
quella medioevale.
Abbiamo anche
evidenziato i fattori che hanno garantito il contenimento degli
organismi sociali stabilitisi nel passato.
Il passo successivo
riguarda l’individuazione degli elementi che dovranno avere un ruolo
rilevante per preservare nel lungo periodo la struttura sociale
istituita.
L’analisi dei
meccanismi in atto nella società presente individua nell’accumulazione
di beni e nel profitto i fattori fra i più rilevanti all’origine della
crescita economico-sociale e del conseguente sbilanciamento ambientale.
Tali ingredienti dovrebbero conseguentemente risultare soppressi.
Un altro carattere
essenziale per l’equilibrio ecologico sarà la limitata disponibilità di
beni in produzione e al consumo. Al livello tecnologico raggiunto tali
requisiti comportano un limitato fabbisogno di attività lavorativa per
cui la società non dovrà più essere basata sul lavoro come viceversa
recita la nostra costituzione.
Di necessità il lavoro
sarà un’attività accessoria, circostanza che dovrà essere accompagnata
da un meccanismo di distribuzione del prodotto sociale profondamente
riformato rispetto all’attuale.
Queste considerazioni
comportano che la città inserita nel
network descritto in precedenza dovrà avere un aspetto e una
struttura non compatibile con quella attuale. A funzioni diverse, a
finalità differenti, corrisponderanno nuovi organi, strutture urbane
inedite.
Possiamo
ragionevolmente prevedere che la sopravvivenza dei centri urbani dovrà
contare sulle risorse prodotte in prevalenza localmente, la
globalizzazione – aumento spropositato della lunghezza di correlazione,
cioè di uno degli indicatori di un comportamento critico singolare –
presagisce il verificarsi di una transizione di fase sociale, denota
quindi la presenza di instabilità. Del resto la limitazione a costituire
rapporti sociali che prevedano trasferimenti materiali prevalentemente a
breve distanza sarà una prescrizione imposta anche dalla necessità di
limitare l’uso delle risorse energetiche.
L’osmosi col territorio
circostante, la ridotta produzione e il consumo contingentato, il
limitato uso dei trasporti cambieranno il volto delle città.
Se saremo in grado di
stabilizzare il sistema presumiamo che la struttura emergente dovrà
manifestare i caratteri che abbiamo individuato, tuttavia non è
prevedibile come questi si attueranno. Il corso del processo genererà le
nuove forme. Il compito di chi si prefigge di incidere sul futuro della
comunità in cui vive è di realizzare sul campo nuove condizioni a
carattere stabile e desumere dall’attività svolta conformazioni
opportune contribuendo poi a conseguirle.
Noi non sappiamo come
si concluderà la vicenda umana, in questa sede abbiamo solo voluto
studiare l’accessibilità a organismi sociali stabili in modo da poter
proseguire per un ulteriore tratto l’avventura sul pianeta.
Restano aperte due
questioni: l’eventualità che si perpetuino configurazioni instabili che
comportino una serie di cadute e riprese, in tal caso le città
dovrebbero manifestare ancora i caratteri degli attuali insediamenti
urbani e le relative degenerazioni, in accentuazione e in calo secondo
l’andamento del processo, l’esito finale essendo incerto, è comunque
prevedibile che tale decorso non possa protrarsi a lungo a causa
dell’esaurimento delle risorse non rinnovabili e della saturazione e
alterazione del territorio. In secondo luogo, presumendo di aver
evidenziato con le nostre analisi alcuni elementi strutturali che
ragionevolmente dovranno appartenere agli insediamenti urbani per
garantirne la stabilità e l’inserimento equilibrato nella biosfera, è
naturale chiedersi se esista un itinerario accessibile in grado di
condurci a configurazioni sociali idonee. Quest’ultimo tema non semplice
esula dall’obiettivo che ci eravamo proposti.
In una logica di
sopravvivenza la trasformazione della trama sociale è processo
inevitabile, le modalità per giungervi al momento sfuggono, i tentativi
che si perpetuano in varie parti del pianeta sono un auspicio che possa
attivarsi l’evento del superamento del trend espansivo, principale causa
dell’attuale deriva fuori equilibrio.
DICEMBRE 2012