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08
Ottobre 2012

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Recensioni

JEAN BAUDRILLARD, «Il delitto perfetto». Un invito alla lettura

Giulio Trapanese

 

Nel 1995 Baudrillard dà alle stampe il testo Le crime parfait (traduzione italiana Il delitto perfetto, dal sottotitolo La televisione ha ucciso la realtà?). È un testo che segue Della seduzione (1985) e L’illusione della fine (1993), dai quali, d’altra parte, riprende alcune intuizioni già presenti in essi.

Quello in questione di Baudrillard è un testo complesso, tanto per il suo contenuto che per lo stile di scrittura, uno stile, d’altra parte, tipico della sua seconda fase di produzione filosofica, costituito, come ha scritto G. Piana[1], «da un linguaggio da fantascienza, e un uso frequente di termini scientifici presi soprattutto da fisica e medicina», in modo da divenire «sempre più inafferrabile e inclassificabile».

In questa presentazione, che vuole essere un breve invito alla lettura, vorrei focalizzarmi su due aspetti presenti nell’opera e che meritano sicuramente un grande attenzione.

Il primo riguarda il concetto di “iperrealtà” che è per noi, d’inizio del ventunesimo secolo, un concetto intrigante, dal momento che trova il proprio fondamento teorico soprattutto nella distruzione operata dai nuovi mezzi di comunicazione della facoltà umana di immaginazione e illusione rispetto al mondo. Se apparentemente l’iperrealtà si presenta come l’opposto di quanto - anche su questa rivista – si denomina come “derealizzazione”, in verità, il concetto di iperrealtà (una realtà da considerare reale all’ennesima potenza) produce i medesimi effetti della derealizzazione, cioè della perdita di consistenza della realtà.

La ragione di tale identità risiede, allora, nel fatto che il mondo in presa diretta, il mondo venutosi a generare in concomitanza e per effetto della diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione, costituisce un tipo di realtà che, elevata ad una immane potenza, è in grado di annullare il valore della variabile del tempo nella dimensione della nostra esperienza ordinaria. E proprio questa riduzione fa sì che il nostro rapporto con il mondo giunga a sterilizzarsi in una superficiale presa d’atto del “così è”. Il risultato di questo processo di anestetizzazione del sensibile, protrattosi negli ultimi decenni, è che la facoltà di elaborazione soggettiva degli eventi si sia ridotta fino quasi a annientarsi completamente. Senza, infatti, la protensione dell’ attenzione e del proprio desiderio verso il mondo, e senza, soprattutto, quella che Baudrillard chiama “illusione”, che è un elemento strutturante della nostra esperienza, non è più possibile che il mondo esista come oggetto.

La nostra condizione di individui che vivono la loro esistenza nel mondo in diretta, viene descritta sinteticamente da Baudrillard in questo modo; ci troveremmo ormai, secondo il filosofo francese, «in balia di una ritrasmissione istantanea di tutti i fatti e di tutti i gesti su qualsiasi canale. Un tempo avremmo vissuto ciò come un controllo poliziesco. Oggi lo viviamo come una promozione pubblicitaria».

Arriviamo così ad un altro aspetto della questione: la naturalizzazione del processo di profonda trasformazione antropologica in atto. L’umanità cambia, ma sembra non opponga alcuna resistenza; i nuovi vincoli, le nuove obbligazioni, infatti, e lo stravolgimento dei modi e dei ritmi della vita stravolgimento epocale secondo Baudrillard viene accettato supinamente, anzi, per di più, è comunemente guardato con entusiasmo. Viviamo oggi in uno stato di euforia acritica rispetto allo sviluppo dei nuovi mezzi tecnologici di comunicazione.

L’anestetizzazione della nostra capacità sensibile, e dunque, del nostro giudizio critico, sembra portarci a considerare quello che sta accadendo come un fenomeno naturale, scontato, e per di più come la grande opportunità che il nostro tempo ci offre. Saremmo, dunque, secondo molti una generazione, almeno da questo punto di vista, veramente fortunata. Chi non crede tra noi, infatti, che facebook sia una delle maggiori opportunità che ci è stata data in dono dall’evoluzione degli ultimi anni?

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Sullo sfondo della percezione ormai compromessa del divenire delle cose, secondo Baudrillard, si pone, tuttavia, un dato di fatto incontestabile: l’uma-nità, e quella occidentale in primis, si sta avviando a trasformare alla radice il senso e il modo della propria esperienza del mondo.

Ora, d’altra parte, se va aggiunto che, per quanto il sottotitolo dell’edizione italiana dell’opera si riferisca esplicitamente alla televisione, è innegabile che il pregio dell’opera di Baudrillard sia proprio quello, invece, di offrire una griglia concettuale applicabile all’intero fenomeno della virtualità, risultando particolarmente efficace nella decifrazione del suo sviluppo più recente (quello che noi oggi possiamo identificare con internet, ma che non nasce con internet né con questo, probabilmente, finirà).

Provate, infatti, a leggere le parole che seguono tratte dalla prima parte dello scritto di Baudrillard e valutate quanto non si addicano alla nostra esperienza di soggetti, e alla nostra dipendenza dalla rete estesa ormai a tutti gli aspetti della vita:

Il tempo reale: prossimità istantanea dell’evento e del suo doppio, nell’informazione. Prossimità dell’uomo e della sua azione a distanza: sistemate tutte le vostre faccende all’altro capo de mondo, per interposto ectoplasma. Come ogni dettaglio dell’ologramma, ogni istante del tempo reale è microscopicamente codificato. Ogni particella del tempo concentra l’informazione totale relativa all’evento, come se lo dominasse in miniatura da tutti i lati contemporaneamente. Ora, la replica istantanea di un evento, di un atto o di un discorso, la loro trascrizione immediata, ha qualcosa di osceno, poiché il ritardo, la proroga, la suspense sono essenziali all’idea e alla parola.

Se ci rifacciamo a queste ultime parole «la replica istantanea di un evento», cogliamo allora il nucleo della mancanza venutasi a generare e che continua a generarsi nelle nuove generazioni, quella sottrazione invisibile, vero oggetto del delitto perfetto di cui parla il testo di Baudrillard. Il ritardo, la distanza temporale, che altro non sono che la condizione necessaria per la formazione di qualsiasi senso soggettivo attribuibile al mondo, con il regime introdotto dalla prassi della comunicazione in tempo reale e della sincronicità di tutto, finiscono con l’essere abolite del tutto. La distruzione del tempo costituisce, in questo modo, la distruzione della stessa illusione immaginativa, che è ciò con cui noi fino a pochi anni fa ancora costruivamo il mondo soggettivo a partire dalla nostra esperienza. Con la fine dell’illusione finirebbe necessariamente anche il mondo, e prevarrebbe – ed è questa l’ipotesi più azzardata di Baudrillard – esclusivamente una sola illusione, al tempo stesso, la più nefasta: l’illusione che non ci siano più errori, fraintendimenti e che il mondo che viviamo sia unico per tutti ed assolutamente oggettivo.

Dunque è su questi temi che Baudrillard si sofferma nella prima parte del libro di carattere più generale.

Passando, invece, alla seconda parte troviamo una serie di applicazioni interessanti di questo discorso riferite a vari aspetti della nostra vita e della nostra esperienza sociale.

La fine del reale – come precisa Baudrillard – nel momento in cui definisce l’altro versante del delitto (su cui si sofferma, appunto, nella seconda parte del testo) comporta tutta un’altra serie di estinzioni. «Col virtuale entriamo non solo nell’era della liquidazione del Reale e del Referenziale, ma in quella dello sterminio dell’Altro». La fine del reale, o del reale per come almeno l’abbiamo conosciuto fino ad un certo punto della storia, comporta necessariamente, infatti, per l’autore, anche la rimozione della morte, del corpo, del mondo, e in definitiva, dunque, dell’altro. Ciascuno di queste fini sarebbe riconducibile, in definitiva, all’instaurarsi del sistema della “comunicazione perpetua” di cui abbiamo detto.

Dunque, Baudrillard passa in rassegna, nella seconda parte del testo, questa serie di trasformazioni in atto. S’inizia dall’esautoramento della donna inteso come soggetto altro rispetto al maschile, e dal tramonto, ad esso connesso, del concetto di riproduzione come elemento portate della nostra civiltà; la funzione della riproduzione, infatti, si mostrerebbe ormai in declino, se non propriamente dal punto di vista biologico, sicuramente almeno da quello simbolico. L’umanità sembrerebbe, infatti, ormai stanca e, dunque, disinteressata a creare nuove forme culturali di senso.

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Dopo di ciò Baudrillard passa ad analizzare la fine della stessa alienazione, intesa nel suo classico significato, che tanta fortuna ha avuto nella storia, di Verfremdung. La Verfremdumg non sarebbe oggi più attuale nella misura in cui la scomparsa dell’altro, sopprimerebbe chiaramente anche la possibilità di alienarsi in un altro. Questo passaggio trasformerebbe di conseguenza radicalmente il senso del disagio sociale presente nella nostra società. Il nuovo paradigma del “soggetto senza oggetto”, infatti, rendendo impossibile la perdita di sé in un altro, e annullando l’altro come riferimento simbolico, genererebbe una nuova soggettività umana e, al contempo, un differente tipo di disagio (a cui, dunque, in prospettiva dovrebbe corrispondere una differente idea di liberazione, ma siamo oggi ben lungi dall’immaginarla…).

Per queste ragioni, secondo Baudrillard, ci troviamo in un’epoca particolare in cui vigerebbe un’alienazione di natura del tutto diversa (se d’altra parte, proprio vogliamo denominarla ancora per comodità “alienazione”).  L’alienazione dei nostri giorni sarebbe, più vicina, invece, a quella della Entfremdung (altro termine tedesco con il quale è possibile designare il concetto di spossamento) termine grazie a cui ci è possibile descrivere in modo migliore «il destino funesto per gli individui come per i nostri sistemi auto programmati e autoreferenziali: non vi è più un avversario, non vi è più un ambiente ostile – non vi è più nemmeno un ambiente, non vi è più esteriorità. È come togliere una specie ad i suoi predatori naturali. Privata di questa avversità, essa non può che distruggersi».

In queste brevi righe Baudrillard credo tocchi il vertice della sua analisi, rendendoci un materiale assolutamente prezioso per prepararci a ciò che ci attende nei prossimi anni. La fine del modello classico di ambiente dell’uomo fatto di cose e di rapporti sociali, comporterebbe il rischio dell’estinzione dell’uomo stesso per come l’abbiamo conosciuto fino ad adesso.

La descrizione della liquidazione dell’Altro continua, poi, nelle pagine del testo di Baudrillard, attraverso il tema della chirurgia e della modificazione del proprio aspetto fisico i quali, secondo l’autore francese, si affiancherebbero ad un altro tema decisivo, quello della «cassa integrazione del desiderio». Entrambi i temi, d’altra parte, si articolerebbero intorno alla negazione del corpo come emblema del destino ineluttabile dell’individuo umano.

La fine del corpo, che non è smentita, d’altra parte, dall’esaltazione della sua esteriorità in auge ai nostri giorni, costituisce il fondamento dell’esaltazione della vita in quanto tale, esaltazione presente in ogni propaganda umanitaria che inonda i talk shows e le campagne ipocrite di raccolta fondi diffuse periodicamente sui canali televisivi. La vita in quanto tale viene spacciata comunemente, infatti, come qualcosa al di sopra di qualunque altro valore. Il conformismo contemporaneo propaga in ogni salsa come ideale di riferimento quello per cui nessuna idea al mondo merita che si uccida o che si muoia per essa. D’altra parte, a questa presunta tolleranza ideologica si affiancherebbe, in realtà, secondo Baudrillard, l’indifferente sopportazione dello stato di cose presenti, e la stupida convinzione che le cose in fondo possano cambiare da sole.

Valutazioni, queste ultime che potrebbero essere fraintese da un lettore ingenuo, ma che, opportunamente interpretate, ci danno degli strumenti efficaci per guardare il nostro presente con uno sguardo nuovo e molto più profondo.

Nessun essere umano merita di essere ucciso per la benché minima cosa. Ultima constatazione di insignificanza: quella delle idee, quella degli uomini. Disprezzo e indifferenza per le idee e per la vita testimoniati da questa frase che vuole tuttavia testimoniare il massimo rispetto per la vita. Peggio della volontà di distruggerla: il rifiuto di metterla in gioco – dato che nulla merita di essere sacrificato. È proprio la peggiore offesa, il peggior insulto che si possa fare. È l’affermazione fondamentale del nichilismo.

Infine, dunque, anche nell’analisi di Baudrillard, torna il tema dell’insignificanza delle idee e, in generale, quello del nichilismo, lasciandoci intravedere come ancora quest’ultimo, forse, costituisca la matrice antropologica più radicale della società capitalistica dei nostri tempi e, dunque, per noi, che ne siamo dentro, uno dei temi senz’altro più stringenti da affrontare.

 

AGOSTO 2012

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[1] G. Piana, Postfazione all’edizione italiana, Il delitto perfetto, Il Mulino, Bologna 2010.