Recensioni
JEAN
BAUDRILLARD,
«Il delitto perfetto».
Un invito alla lettura
Giulio
Trapanese
Nel 1995 Baudrillard dà
alle stampe il testo Le crime
parfait (traduzione italiana
Il delitto perfetto, dal sottotitolo
La televisione ha ucciso la realtà?).
È un testo che segue Della
seduzione (1985) e L’illusione
della fine (1993), dai quali, d’altra parte, riprende alcune
intuizioni già presenti in essi.
Quello in questione di
Baudrillard è un testo complesso, tanto per il suo contenuto che per lo
stile di scrittura, uno stile, d’altra parte, tipico della sua seconda
fase di produzione filosofica, costituito, come ha scritto G. Piana[1],
«da un linguaggio da fantascienza, e un uso frequente di termini
scientifici presi soprattutto da fisica e medicina», in modo da divenire
«sempre più inafferrabile e inclassificabile».
In questa presentazione,
che vuole essere un breve invito alla lettura, vorrei focalizzarmi su
due aspetti presenti nell’opera e che meritano sicuramente un grande
attenzione.
Il primo riguarda il
concetto di “iperrealtà” che è per noi, d’inizio del ventunesimo secolo,
un concetto intrigante, dal momento che trova il proprio fondamento
teorico soprattutto nella distruzione operata dai nuovi mezzi di
comunicazione della facoltà umana di immaginazione e illusione rispetto
al mondo. Se apparentemente l’iperrealtà si presenta come l’opposto di
quanto - anche su questa rivista – si denomina come “derealizzazione”,
in verità, il concetto di iperrealtà (una realtà da considerare reale
all’ennesima potenza) produce i medesimi effetti della derealizzazione,
cioè della perdita di consistenza della realtà.
La ragione di tale
identità risiede, allora, nel fatto che il mondo in presa diretta, il
mondo venutosi a generare in concomitanza e per effetto della diffusione
dei nuovi mezzi di comunicazione, costituisce un tipo di realtà che,
elevata ad una immane potenza, è in grado di annullare il valore della
variabile del tempo nella dimensione della nostra esperienza ordinaria.
E proprio questa riduzione fa sì che il nostro rapporto con il mondo
giunga a sterilizzarsi in una superficiale presa d’atto del “così è”. Il
risultato di questo processo di anestetizzazione del sensibile,
protrattosi negli ultimi decenni, è che la facoltà di elaborazione
soggettiva degli eventi si sia ridotta fino quasi a annientarsi
completamente. Senza, infatti, la protensione dell’ attenzione e del
proprio desiderio verso il mondo, e senza, soprattutto, quella che
Baudrillard chiama “illusione”, che è un elemento strutturante della
nostra esperienza, non è più possibile che il mondo esista come oggetto.
La nostra condizione di
individui che vivono la loro esistenza nel mondo in diretta, viene
descritta sinteticamente da Baudrillard in questo modo; ci troveremmo
ormai, secondo il filosofo francese, «in balia di una ritrasmissione
istantanea di tutti i fatti e di tutti i gesti su qualsiasi canale. Un
tempo avremmo vissuto ciò come un controllo poliziesco. Oggi lo viviamo
come una promozione pubblicitaria».
Arriviamo così ad un altro aspetto della questione: la
naturalizzazione del processo di profonda trasformazione antropologica
in atto. L’umanità cambia, ma sembra non opponga alcuna resistenza; i
nuovi vincoli, le nuove obbligazioni, infatti, e lo stravolgimento dei
modi e dei ritmi della vita
– stravolgimento epocale secondo Baudrillard
– viene accettato supinamente, anzi, per di più, è comunemente guardato
con entusiasmo. Viviamo oggi in uno stato di euforia acritica rispetto
allo sviluppo dei nuovi mezzi tecnologici di comunicazione.
L’anestetizzazione della
nostra capacità sensibile, e dunque, del nostro giudizio critico, sembra
portarci a considerare quello che sta accadendo come un fenomeno
naturale, scontato, e per di più come la grande opportunità che il
nostro tempo ci offre. Saremmo, dunque, secondo molti una generazione,
almeno da questo punto di vista, veramente fortunata. Chi non crede tra
noi, infatti, che facebook sia una delle maggiori opportunità che ci è stata data in
dono dall’evoluzione degli ultimi anni?
Sullo sfondo della
percezione ormai compromessa del divenire delle cose, secondo
Baudrillard, si pone, tuttavia, un dato di fatto incontestabile:
l’uma-nità, e quella occidentale in primis, si sta avviando a
trasformare alla radice il senso e il modo della propria esperienza del
mondo.
Ora, d’altra parte, se va
aggiunto che, per quanto il sottotitolo dell’edizione italiana
dell’opera si riferisca esplicitamente alla televisione, è innegabile
che il pregio dell’opera di Baudrillard sia proprio quello, invece, di
offrire una griglia concettuale applicabile all’intero fenomeno della
virtualità, risultando particolarmente efficace nella decifrazione del
suo sviluppo più recente (quello che noi oggi possiamo identificare con
internet, ma che non nasce con internet né con questo, probabilmente,
finirà).
Provate, infatti, a
leggere le parole che seguono tratte dalla prima parte dello scritto di
Baudrillard e valutate quanto non si addicano alla nostra esperienza di
soggetti, e alla nostra dipendenza dalla rete estesa ormai a tutti gli
aspetti della vita:
Il tempo reale: prossimità istantanea
dell’evento e del suo doppio, nell’informazione. Prossimità dell’uomo e
della sua azione a distanza: sistemate tutte le vostre faccende
all’altro capo de mondo, per interposto ectoplasma. Come ogni dettaglio
dell’ologramma, ogni istante del tempo reale è microscopicamente
codificato. Ogni particella del tempo concentra l’informazione totale
relativa all’evento, come se lo dominasse in miniatura da tutti i lati
contemporaneamente. Ora, la replica istantanea di un evento, di un atto
o di un discorso, la loro trascrizione immediata, ha qualcosa di osceno,
poiché il ritardo, la proroga, la suspense sono essenziali all’idea e
alla parola.
Se ci rifacciamo a queste
ultime parole «la replica istantanea di un evento», cogliamo allora il
nucleo della mancanza venutasi a generare e che continua a generarsi
nelle nuove generazioni, quella sottrazione invisibile, vero oggetto del
delitto perfetto di cui parla il testo di Baudrillard. Il ritardo, la
distanza temporale, che altro non sono che la condizione necessaria per
la formazione di qualsiasi senso soggettivo attribuibile al mondo, con
il regime introdotto dalla prassi della comunicazione in tempo reale e
della sincronicità di tutto, finiscono con l’essere abolite del tutto.
La distruzione del tempo costituisce, in questo modo, la distruzione
della stessa illusione immaginativa, che è ciò con cui noi fino a pochi
anni fa ancora costruivamo il mondo soggettivo a partire dalla nostra
esperienza. Con la fine dell’illusione finirebbe necessariamente anche
il mondo, e prevarrebbe – ed è questa l’ipotesi più azzardata di
Baudrillard – esclusivamente una sola illusione, al tempo stesso, la più
nefasta: l’illusione che non ci siano più errori, fraintendimenti e che
il mondo che viviamo sia unico per tutti ed assolutamente oggettivo.
Dunque è su questi temi
che Baudrillard si sofferma nella prima parte del libro di carattere più
generale.
Passando, invece, alla
seconda parte troviamo una serie di applicazioni interessanti di questo
discorso riferite a vari aspetti della nostra vita e della nostra
esperienza sociale.
La fine del reale – come
precisa Baudrillard – nel momento in cui definisce l’altro versante del
delitto (su cui si sofferma, appunto, nella seconda parte del testo)
comporta tutta un’altra serie di estinzioni. «Col virtuale entriamo non
solo nell’era della liquidazione del Reale e del Referenziale, ma in
quella dello sterminio dell’Altro». La fine del reale, o del reale per
come almeno l’abbiamo conosciuto fino ad un certo punto della storia,
comporta necessariamente, infatti, per l’autore, anche la rimozione
della morte, del corpo, del mondo, e in definitiva, dunque, dell’altro.
Ciascuno di queste fini sarebbe riconducibile, in definitiva,
all’instaurarsi del sistema della “comunicazione perpetua” di cui abbiamo detto.
Dunque, Baudrillard passa
in rassegna, nella seconda parte del testo, questa serie di
trasformazioni in atto. S’inizia dall’esautoramento della donna inteso
come soggetto altro rispetto al maschile, e dal tramonto, ad esso
connesso, del concetto di riproduzione come elemento portate della
nostra civiltà; la funzione della riproduzione, infatti, si mostrerebbe
ormai in declino, se non propriamente dal punto di vista biologico,
sicuramente almeno da quello simbolico. L’umanità sembrerebbe, infatti,
ormai stanca e, dunque, disinteressata a creare nuove forme culturali di
senso.
Dopo di ciò Baudrillard
passa ad analizzare la fine della stessa alienazione, intesa nel suo
classico significato, che tanta fortuna ha avuto nella storia, di
Verfremdung. La
Verfremdumg non sarebbe oggi
più attuale nella misura in cui la scomparsa dell’altro, sopprimerebbe
chiaramente anche la possibilità di alienarsi in un altro. Questo
passaggio trasformerebbe di conseguenza radicalmente il senso del
disagio sociale presente nella nostra società. Il nuovo paradigma del
“soggetto senza oggetto”, infatti, rendendo impossibile la perdita di sé
in un altro, e annullando l’altro come riferimento simbolico,
genererebbe una nuova soggettività umana e, al contempo, un differente
tipo di disagio (a cui, dunque, in prospettiva dovrebbe corrispondere
una differente idea di liberazione, ma siamo oggi ben lungi
dall’immaginarla…).
Per queste ragioni,
secondo Baudrillard, ci troviamo in un’epoca particolare in cui
vigerebbe un’alienazione di natura del tutto diversa (se d’altra parte,
proprio vogliamo denominarla ancora per comodità “alienazione”).
L’alienazione dei nostri giorni sarebbe, più vicina, invece, a
quella della Entfremdung
(altro termine tedesco con il quale è possibile designare il concetto di
spossamento) termine grazie a cui ci è possibile descrivere in modo
migliore «il destino funesto per gli individui come per i nostri sistemi
auto programmati e autoreferenziali: non vi è più un avversario, non vi
è più un ambiente ostile – non vi è più nemmeno un ambiente, non vi è
più esteriorità. È come togliere una specie ad i suoi predatori
naturali. Privata di questa avversità, essa non può che distruggersi».
In queste brevi righe
Baudrillard credo tocchi il vertice della sua analisi, rendendoci un
materiale assolutamente prezioso per prepararci a ciò che ci attende nei
prossimi anni. La fine del modello classico di ambiente dell’uomo fatto
di cose e di rapporti sociali, comporterebbe il rischio dell’estinzione
dell’uomo stesso per come l’abbiamo conosciuto fino ad adesso.
La descrizione della
liquidazione dell’Altro continua, poi, nelle pagine del testo di
Baudrillard, attraverso il tema della chirurgia e della modificazione
del proprio aspetto fisico i quali, secondo l’autore francese, si
affiancherebbero ad un altro tema decisivo, quello della «cassa
integrazione del desiderio». Entrambi i temi, d’altra parte, si
articolerebbero intorno alla negazione del corpo come emblema del
destino ineluttabile dell’individuo umano.
La fine del corpo, che non
è smentita, d’altra parte, dall’esaltazione della sua esteriorità in
auge ai nostri giorni, costituisce il fondamento dell’esaltazione della
vita in quanto tale, esaltazione presente in ogni propaganda umanitaria
che inonda i talk shows e le campagne ipocrite di raccolta fondi diffuse
periodicamente sui canali televisivi. La vita in quanto tale viene
spacciata comunemente, infatti, come qualcosa al di sopra di qualunque
altro valore. Il conformismo contemporaneo propaga in ogni salsa come
ideale di riferimento quello per cui nessuna idea al mondo merita che si
uccida o che si muoia per essa. D’altra parte, a questa presunta
tolleranza ideologica si affiancherebbe, in realtà, secondo Baudrillard,
l’indifferente sopportazione dello stato di cose presenti, e la stupida
convinzione che le cose in fondo possano cambiare da sole.
Valutazioni, queste ultime
che potrebbero essere fraintese da un lettore ingenuo, ma che,
opportunamente interpretate, ci danno degli strumenti efficaci per
guardare il nostro presente con uno sguardo nuovo e molto più profondo.
Nessun essere umano merita di essere ucciso per
la benché minima cosa. Ultima constatazione di insignificanza: quella
delle idee, quella degli uomini. Disprezzo e indifferenza per le idee e
per la vita testimoniati da questa frase che vuole tuttavia testimoniare
il massimo rispetto per la vita. Peggio della volontà di distruggerla:
il rifiuto di metterla in gioco – dato che nulla merita di essere
sacrificato. È proprio la peggiore offesa, il peggior insulto che si
possa fare. È l’affermazione fondamentale del nichilismo.
Infine, dunque, anche
nell’analisi di Baudrillard, torna il tema dell’insignificanza delle
idee e, in generale, quello del nichilismo, lasciandoci intravedere come
ancora quest’ultimo, forse, costituisca la matrice antropologica più
radicale della società capitalistica dei nostri tempi e, dunque, per
noi, che ne siamo dentro, uno dei temi senz’altro più stringenti da
affrontare.
AGOSTO 2012
[1]
G. Piana, Postfazione all’edizione italiana,
Il delitto perfetto,
Il Mulino, Bologna 2010.