Transizione
Il Discredito Patologico nella
Scienza Moderna
Ovvero: su come possa divenire molesta l’evidenza empirica
Roberto Germano*
Esistono molte
scienze,
ma pochi scienziati
(Proverbio
arabo)
Padre, nonno, bisnonno, …arcavolo.
Se sei un
ultraquarantenne come me, devo purtroppo rivelarti che tuo padre da
ragazzo non sapeva nulla della deriva dei continenti, che invece tu hai
tranquillamente studiato a scuola. Anzi, se per caso ne avesse sentito
parlare, ne avrebbe sentito dire peste e corna! Gli argomenti a favore
della “deriva dei continenti”, compresi da Wegener già nel 1912, erano
che le coste del Sud America e dell’Africa si corrispondono a incastro
(già Bacone nel 1620 l’aveva detto), e che si trovano fossili e rocce
similari sulle due coste, e che c’è del carbone in Antartide (e quindi
alberi nel passato, il che implica un clima molto diverso dall’attuale).
L’argomento contrario: i continenti non possono spostarsi! Il che ci fa
capire quanto facilmente la “comunità scientifica” possa liquidare delle
“idee bizzarre”, malgrado siano supportate da forti evidenze. Poi pian
piano altre osservazioni geologiche portarono alla teoria della
tettonica a placche. Wegener ne parlò fin dal 1912; eppure, ancora 40
anni dopo, cioè fino agli anni ’50 del
xx secolo, i commenti degli
scienziati di fama erano di questo tipo:
un parto della fantasia; vaneggiamenti di un malato grave della malattia
della rotazione della crosta e dell’epidemia dello spostamento dei poli;
ricerca del tutto fallita; come possa muoversi un continente, formato da
uno spessore di ben 35 chilometri di solida roccia, non è mai stato
spiegato veramente; non dovremmo prendere sul serio la deriva dei
continenti; si tratta del sogno di un grande poeta. Quest’ultimo è
stato il più buono.
Tuo nonno ignorava che le meteoriti hanno
origine extraterrestre. Certo, gli argomenti a favore erano
gli avvistamenti, nonché le pietre trovate sul sito dell’apparente
atterraggio, spesso calde. Argomenti contrari, ma scorretti, erano
quelli molto diffusi del tipo: «gli oggetti che cadono dallo spazio
contraddicono le leggi della meccanica», «non ci sono pietre nel cielo
al di fuori della Terra».
C’erano poi spiegazioni alternative: «le meteore sono illusioni ottiche,
oppure sono pietre colpite dai fulmini». Lo stesso Lavoisier aveva
affermato che le meteore non potevano certo essere pietre che cadevano
dal cielo per il semplice motivo che nel cielo le pietre non ci sono...
Effettivamente c’era poco da discutere! Ma, ricordiamo che fino al 1905
si pubblicavano articoli scientifici su riviste scientifiche
internazionali in cui si sosteneva che si trattava di pietre colpite da
fulmini. Un motivo di chiarimento finale fu un meteorite abbastanza
grande che cadde vicino Parigi…
Il bisnonno, invece,
aveva un altro “problema”: la presunta “impossibilità teorica” del volo
umano a motore. Giusto per citare un esempio, nello stesso periodo in
cui stava per esplodere nel mondo la febbre dei biplani (a partire dal
primo volo a motore registrato ufficialmente, in Francia, effettuato dal
brasiliano Alberto Santos-Dumont il 12 Novembre del 1906), il professore
di matematica ed astronomia alla Johns Hopkins University, Simon
Newcomb, aveva pubblicato un articolo sul
The Independent che
“dimostrava” scientificamente l’assoluta impossibilità del volo umano a
motore, che avrebbe richiesto, a suo dire, la scoperta di qualche nuova
forza della natura!
Il tuo trisavolo non
si fece convincere affatto facilmente che alcune malattie sono dovute ad
entità invisibili! Nel 1847 il medico svizzero Ignaz Semmelweiss intuì
una cosa che per noi oggigiorno è banale, ma è che all’epoca sembrava
semplicemente assurda! Semmelweiss notò che le giovani partorienti
morivano in gran numero, a causa di una misteriosa “febbre puerperale”.
Come mai? Ora lo sappiamo: perché c’era un gran numero di infezioni in
giro, dovute a microorganismi invisibili ad occhio nudo, anche perché i
medici non si lavavano né le mani né gli strumenti, e spesso dopo aver
dissezionato i cadaveri andavano direttamente a far partorire le donne!
Ebbene, i colleghi lo trattarono letteralmente come un folle, per
diversi anni... Pubblicò finalmente un libro: ancora peggio! Infatti, fu
davvero rinchiuso in manicomio, dove morì, a seguito di una ferita
conseguente ad una colluttazione con un infermiere e successiva
setticemia... L’ironia della sorte.
Il tuo arcavolo,
poi, trattò il famoso Michael Faraday come un ciarlatano, quando
annunciò di poter generare una corrente elettrica semplicemente muovendo
un magnete in un avvolgimento metallico, cosa oggi ovvia, che si
utilizza ad esempio nella dinamo della luce della bicicletta. Eh si! Che
nesso poteva mai esserci fra la “nobile” e moderna elettricità e il
“magico” e primitivo magnetismo?
Facile fare
satira sul passato e ridere (o piangere) della presunta ingenuità dei
nostri avi… ma, che succede oggi?
La struttura
organizzativa della scienza moderna, a livello istituzionale, è tale per
cui essa tende a risultare supinamente dipendente dai finanziamenti
pubblici e/o privati, con la sua conseguente ovvia subordinazione al
potere politico e/o economico, laddove i due aspetti tendono oramai a
coincidere nel “mondo occidentale”.
Ciò spesso
impedisce di “riconoscere” – per un utilizzo diffuso ed utile alla
collettività - un’innovazione radicale, molto più di quanto già non
accadesse nel passato. È ovvio che si debba essere “idonei” a ricevere
fondi pubblici solo se si è individuati quali “esperti” in qualche
campo, vero?!
«La
navigazione a motore è un sogno infondato, anzi si tratta di un
imbroglio bell’e buono!»
Al subconscio
degli esperti della navigazione a vela doveva risultare davvero
difficile entusiasmarsi di fronte ai nuovi battelli a motore che
azzeravano in un sol colpo tutto il loro know-how e con esso il loro
potere! Se poi fossero stati al tempo stesso possessori di flotte di
navi a vela per uso commerciale, possiamo immaginarci il risultato.
Mentre è ovvio che i militari cercavano di non diffonderne l’uso e la
conoscenza per averne un vantaggio in guerra…
Patologie varie
Il Premio
Nobel per la Fisica Brian David Josephson – esperto di
superconduttività, padre delle oramai notissime “giunzioni Josephson”, e
professore presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Cambridge
– negli ultimi tempi parla spesso di
Pathological Disbelief
(Incredulità Patologica). Si tratta di un ovvio riferimento all’ormai
abusata espressione: Pathological
Science (Scienza Patologica), ritornata di moda negli ultimi anni,
ma che fu coniata mezzo secolo fa dal chimico-fisico statunitense Irving
Langmuir (1881-1957, premio Nobel per la Chimica nel 1932) in una sua
conferenza del 1953, presso la
General Electric, nei cui laboratori di ricerca aveva lavorato per
la maggior parte della sua vita. Langmuir cita una serie di esempi, in
cui, malgrado la perfetta onestà e l’entusiasmo degli scienziati
protagonisti, si genererebbe un fenomeno psicologico, che si può
chiamare “autoinganno”, e che condurrebbe a “vedere” dati sperimentali e
fenomeni nuovi laddove non ce ne sono, e che, infatti, non
resisterebbero ad ulteriori esperimenti da parte di altri ricercatori
indipendenti.
Le
caratteristiche distintive della “scienza patologica”, secondo Langmuir,
sono:
-
l’effetto massimo osservato si
produce per una causa di intensità appena misurabile, e l’ampiezza
dell’effetto è in pratica indipendente dall’intensità della causa;
- l’effetto ha un’ampiezza che prossima
al limite di sensibilità dello strumento; oppure sono necessarie molte
misure a causa della bassa significatività statistica dei risultati;
-
l’accuratezza dichiarata è
eccezionale;
- c’è bisogno di teorie “fantastiche”
contrarie all’esperienza;
- le critiche sono affrontate con scuse
“ad hoc” estemporanee;
-
il rapporto percentuale tra
sostenitori e critici raggiunge circa il 50%, ma poi l’attenzione verso
il presunto fenomeno decade gradualmente fino alla totale dimenticanza.
Il premio
Nobel per la Fisica Brian Josephson, però, fa giustamente notare che la
visione “generalmente accettata” di un fenomeno può essere sbagliata in
due modi:
a) un
fenomeno non esistente viene considerato reale;
b) un
fenomeno reale viene considerato inesistente.
Come mai, in
alcuni casi, buona parte dell’establishment scientifico nega
veementemente dei fenomeni per cui esistono forti evidenze sperimentali?
Abbiamo accennato prima a due eclatanti esempi, seppur ormai “risolti”,
del passato. Josephson, però, considera anche altri casi, questa volta
del presente, e per di più ancora considerati “irrisolti” da molti.
Cominciamo dalla cosiddetta Fusione Fredda.
La Fusione Fredda
Accenniamo di
che si tratta: oltre un paio di decenni fa, il 23 Marzo 1989, Martin
Fleischmann e Stanley Pons dichiararono di aver misurato eccessi di
calore in una cella elettrolitica Palladio-Deuterio in quantità troppo
elevate per essere comprese se non tramite un fenomeno nucleare. Altri,
però, non riuscirono subito a riprodurre l’effetto, e in sole 5
settimane il “caso” fu dichiarato chiuso da un comitato opportunamente
creato per “giudicare” i due scienziati: durante una movimentata seduta
dell’American Physical Society,
svoltasi il 1° Maggio dello stesso anno (1989) a Baltimora, gli
interventi di Steven Koonin, Nathan Lewis e Charles Barnes del
Caltech (California Institute
of Technology) furono determinanti per decretare la cosiddetta Fusione
Fredda fuori dal contesto della “buona scienza”. Barnes “dimostrò” che
non c’erano neutroni, Lewis che non c’era calore, e Koonin che non c’era
teoria. La “normalizzazione” fu fin troppo facile: le affermazioni sulla
Fusione Fredda erano rivoluzionarie e l’esperimento era tutt’altro che
facilmente riproducibile. Inoltre, anche quando sembrava avvenire
l’emissione anomala di calore, non vi era associata una grandissima
emissione di neutroni, come invece previsto dal paradigma corrente.
Cioè, in sintesi:
1) non
conosciamo alcun processo che possa generare una tale quantità di calore
come quella riportata da Fleischmann e Pons e che allo stesso tempo non
generi molte più radiazioni di quelle da essi osservate;
2) gli
esperimenti non sono immediatamente riproducibili da altri, quindi le
osservazioni devono essere sbagliate.
Il piccolo
particolare che il calore comunque si generava, ed in enorme eccesso
rispetto a fenomeni puramente chimici, fu messo in secondo piano…
Inoltre il fenomeno è poi stato replicato in moltissimi laboratori in
giro per il mondo, mostrando sempre più ricche fenomenologie di tipo
nucleare.
Inoltre, chi
ha un minimo di esperienza di ricerca sperimentale sa cosa significhi
metter su un nuovo esperimento e svolgere una campagna di misure
“interessanti”. Emettere un “sentenza definitiva” soltanto 5 settimane
dopo l’annuncio è un fatto intrinsecamente dubbio. Riguardo alla
riproducibilità, poi, si può ricordare che anche le prime trasmissioni
di onde radio di Guglielmo Marconi non erano “riproducibili”. Ora se ne
conosce il motivo (i venti solari che influenzando l’alta atmosfera
perturbavano distruttivamente i già debolissimi segnali), ma allora era
un problema per Marconi schivare queste critiche, indiscutibilmente
razionali, dei numerosi detrattori. Le superò, poi, definitivamente, nel
modo che conosciamo: realizzando la radio.
Ciò che
sembra avvenire nella Fusione Fredda è una fusione tra nuclei di
Deuterio. Naturalmente i nuclei, essendo composti da un protone (carica
positiva) ed un neutrone (carica nulla), sono carichi positivamente e
quindi sono sottoposti ad una notevole repulsione, tanto più forte
quanto più li si vuole avvicinare. Se si riesce ad avvicinarli
abbastanza, invece, prevale la cosiddetta “forza nucleare forte”, quella
che tiene uniti i nuclei, composti da neutroni e protoni. Così i nuclei
si fondono. Provare a immaginare che ciò possa accadere in un piccolo
esperimento da laboratorio, mentre nelle stelle la fusione dei nuclei
avviene a milioni di gradi di temperatura, è obiettivamente difficile.
Ma il peggio non è questo. Il fatto è che quando due nuclei di Deuterio
si fondono, danno origine momentaneamente ad un insieme “bollente” di
quattro nucleoni, omologo all’isotopo dell’Elio detto Elio4 (ha 4
nucleoni: 2 protoni e due neutroni), ma stracarico di energia.
Questo
insieme così energetico è altamente instabile e non vive a lungo, in
quanto tende a cedere questa sua grande energia, e se il sistema è
chiuso e isolato (non scambia materia ed energia con l’esterno),
l’insieme si deve spezzare. Con una probabilità circa uguale avvengono
due tipi di frammentazioni: o salta via un neutrone e un nucleo di
Elio3, oppure salta via un protone e un nucleo di Trizio (l’isotopo
dell’Idrogeno che ha un neutrone in più del Deuterio). In realtà, è
molto importante sottolineare, che c’è anche un’altra possibilità.
Quest’ultima possibilità, però, è generalmente rarissima (in condizioni
“normali”, cioè nel vuoto, avviene una volta ogni milione di eventi). In
questo caso l’insieme non si spacca, ma, invece, salta via un nucleo di
Elio4, insieme ad un energetico fotone ad alta frequenza (raggio gamma).
Ciò è spiegabile teoricamente col fatto che il sistema dei quattro
nucleoni “bollenti” potrebbe trovare il modo di scambiare energia
coll’esterno (quindi non essere più un sistema chiuso). Naturalmente,
tale scambio energetico non può essere basato su di un meccanismo
termico perché i tempi tipici dei fenomeni nucleari sono dell’ordine di
10-21s, cioè incomparabilmente più brevi dei meccanismi
termici. Lo scambio energetico deve, invece, avvenire tramite un
meccanismo elettromagnetico, la qual cosa è rarissima di norma, ma
vedremo che può diventare invece il meccanismo principale, in
determinate condizioni di “coerenza elettrodinamica”.
Nel caso
della Fusione Fredda, accade che rispetto alla gran quantità di calore
rilevata, che dovrebbe essere generata dall’energia cinetica dei
numerosi frammenti, la quantità di prodotti nucleari è, invece, davvero
esigua, perché il terzo caso sopra discusso, invece di essere rarissimo
diviene, al contrario, il meccanismo principale. Secondo la “norma”,
invece, Fleischmann e Pons sarebbero dovuti morire a causa
dell’irraggiamento nucleare.
Come sentire
un silenzio di tomba in una discoteca stracolma di gente: irreale, per
il paradigma dominante.
Impossibilità della Fusione Fredda?
E se, invece
– come abbiamo appena accennato – le reazioni nucleari nei solidi, in
certe condizioni, potessero avvenire in maniera del tutto diversa dal
modello corrente? Se ponessimo la domanda ad un qualunque professore di
fisica (tranne alcuni), la risposta sarebbe nettamente negativa per
almeno tre ordini di motivi, che si può provare ad esprimere in maniera
abbastanza intuitiva, ma che, ovviamente, sono anche sorretti da un
complesso formalismo matematico.
Ci può essere
differenza fra una reazione nucleare che avviene nel vuoto e una
reazione nucleare che avviene in un solido cristallino? No!
Perché:
-
in primo luogo, le distanze
interatomiche tipiche di un reticolo cristallino sono semplicemente
enormi rispetto alle dimensioni dei nuclei di Deuterio.
Una formica
non cambia vita se sta nel giardino della Reggia di Caserta piuttosto
che in quello di una qualsiasi villetta;
-
in secondo luogo, i tempi tipici di
svolgimento degli eventi nucleari sono talmente più brevi (circa un
miliardo di volte) rispetto a quelli di oscillazione di un reticolo
cristallino che quest’ultimo risulta praticamente “congelato” durante
l’evento. Per capire l’enorme differenza, basti pensare che un miliardo
di secondi corrisponde a circa 32 anni.
Per una
farfalla “effimera”, la cui vita dura una giornata, un nubifragio di un
quarto d’ora rappresenta una tragedia significativa della sua vita,
mentre per un elefante centenario è solo una bella doccia;
-
in terzo luogo, l’energia emessa in
una reazione nucleare è talmente grande che il metallo non avrebbe modo
di assorbirla.
Le cascate
del Niagara su una spugna da bagno.
Quindi la
fusione nucleare “fredda” è assolutamente impossibile. Almeno così è nel
paradigma dominante. Niente di sconvolgente: anche il Sole è impossibile
secondo il paradigma dominante. Infatti, secondo il modello teorico
generalmente accettato che cerca di rendere conto del funzionamento del
Sole (il cosiddetto “modello standard” del Sole) ci si aspetterebbe di
rilevare una certa quantità di particelle dette neutrini. Così non è. Se
ne rilevano meno. Questo fatto è comunemente noto come l’enigma dei
neutrini mancanti. Ma, fino ad ora, ben pochi hanno messo in dubbio
l’esistenza del Sole.
Pseudoscettiscismo
Josephson fa
notare che il comportamento collettivo della “comunità scientifica” che
scaturisce da queste descrizioni ha una componente patologica, nel senso
che le conclusioni a cui essa è giunta sono diverse da quelle a cui
sarebbe approdata se avesse esaminato i dati disponibili con maggiore
obiettività, cioè senza avere così netti pregiudizi iniziali. In
effetti, tutto avviene come se ci fossero delle intense “forze di
propaganda” in azione. In ogni caso, non si tratta certo di sano e puro
“scetticismo”. Ricordiamo, infatti, che il termine “scettico” deriva
dalla parola greca:
σκέπτομαι (sképtomai) = “osservo”, che possiede anche gli
altri significati di: considerare, esaminare, guardare attentamente,
riflettere. Secondo alcuni, l’origine del termine “scetticismo” risiede,
invece, nella parola greca Σκέψις (sképsis), che vuol dire "ricerca". In
ogni caso, nulla a che fare con il “bastian contrario”, dunque, che nega
aprioristicamente ciò che non è previsto dai suoi modelli!
Josephson
descrive appunto uno schema comportamentale di coloro che potremmo
chiamare “pseudoscettici”, in quanto tale figura psicologica si
autodefinisce scettico senza averne le caratteristiche distintive:
- non esprimono le loro critiche in
quei contesti in cui sarebbero soggetti a
peer review, vale a dire
“revisione dei pari”, come invece si fa (si deve fare) quando si
pubblica su riviste scientifiche internazionali;
- non vanno in laboratorio a svolgere
l’esperimento insieme agli sperimentatori che essi criticano, né provano
a riprodurre l’esperimento per proprio conto;
- fanno delle asserzioni in maniera
tale da sottintendere che sono basate scientificamente, mentre sono
soltanto congetture;
- utilizzano, a piene mani e senza
scrupoli sia satira, che ridicolizzazioni, fino a giungere a veri e
propri insulti;
- quando si mostra loro delle possibili
spiegazioni, avanzano delle ragioni ad hoc per rifiutarle. Queste
ragioni spesso consistono in una brusca affermazione che le spiegazioni
violano qualche legge di conservazione.
- rifiutano totalmente l’evidenza se
non risponde ad ogni possibile domanda fin dall’inizio.
Brian
Josephson individua dei “fattori di rischio” che, in effetti, hanno
facilitato questi sviluppi nel caso della Fusione Fredda:
1. gli
annunci furono drammatici, e apparvero non in accordo con la conoscenza
preesistente;
2. i critici
per la maggior parte lavoravano in ambiti differenti rispetto a quelli
rilevanti per la ricerca vera e propria (es. fisica nucleare o fisica
dei plasmi, in contrapposizione a elettrochimica e calorimetria). Ciò
può condurre a problemi sulla valutazione della metodologia
sperimentale, e a focalizzare su dettagli irrilevanti, oltre al “fattore
tribale” di appartenere a una differente “comunità scientifica”;
3. la
riproducibilità non fu immediata, poiché era condizionata sia da
dettagli metodologici sia dai materiali utilizzati;
4. prevalenza
immediata dell’approccio aggressivo.
Una nuova arma nucleare tattica
Un altro
fattore che ritengo importante aggiungere a quelli individuati da
Josephson è senz’altro l’interesse militare.
Infatti, la
Fusione Fredda sembra ricondurci direttamente ai cosiddetti proiettili
all’Uranio impoverito, proprio in quel periodo (’90) utilizzati dagli
USA per la prima volta nella I Guerra del Golfo, e la cui tecnologia
(secondo lo stesso Fleischmann) sembrerebbe basarsi su tecniche e
fenomeni strettamente correlati a quelli evidenziati da lui stesso a da
Pons nell’89. Questo farebbe anche comprendere il perché degli “annunci
drammatici”, fatti tramite l’inusuale mezzo della conferenza stampa
(Fleischmann ha ammesso indirettamente, ma chiaramente, che era pedinato
da ambienti militari in quei giorni critici a cui seguì la tanto
biasimata conferenza stampa). In effetti, sono già alcuni anni che
questo possibile nesso si è fatto strada al di fuori degli ambienti
militari; se ne sono occupati alcuni anni fa anche i coraggiosi
giornalisti di rai news 24
nelle inchieste:
- Il Rapporto 41, Fisica e metafisica di una rivoluzione scientifica scomparsa di Angelo Saso, Maurizio Torrealta;
- Khiam, sud del Libano: anatomia di una bomba (Premio “Ilaria Alpi” 2007) di Flaviano Masella, Angelo Saso, Maurizio
Torrealta;
- Gaza. Ferite inspiegabili e nuove armi (Menzione
speciale della fnsi al
Premio “Cronista dell'Anno, Piero Passetti” 2007) di Flaviano Masella,
Maurizio Torrealta;
- Polveri di guerra. Uranio a Beirut di Flaviano
Masella, Angelo Saso, Maurizio Torrealta;
- L’accusa del veterano: la terza bomba nucleare di Maurizio Torrealta.
Inoltre è da
poco anche stato pubblicato un bel saggio romanzato su questa
“scottante” tematica, scritto da Emilio Del Giudice, e Maurizio
Torrealta di rai news 24:
Il segreto delle tre pallottole.
In pratica,
saremmo di fronte ad armi nucleari (vere e proprie mini-bombe a
fissione), ma “tattiche”, cioè possono agire su aree limitate perché non
hanno bisogno di dover raggiungere la massa critica. Ciò, quindi,
significa che non devono necessariamente avere potenze di molto
superiori, come era ai tempi di Hiroshima e Nagasaki, per intenderci,
quando non si potevano distruggere aree più piccole di quelle così
estese che invece furono devastate e contaminate da quelle tristemente
note bombe a fissione. Quindi, l’idea è usare bombe nucleari senza quasi
“dare nell’occhio”, e in spregio di qualsiasi accordo internazionale…
Dunque, buona
parte dei fenomeni sociologici inquisitori propri della saga della
Fusione Fredda troverebbe una semplice spiegazione ipotizzando un
consapevole e ben riuscito tentativo di insabbiamento di segreti
militari.
Tutti questi fattori fino a qui discussi sono le cause
principali che hanno condotto a una situazione in cui sulla Fusione
Fredda si è raggiunta una “conclusione” errata e ad essa ha aderito
pressoché tutta la comunità scientifica.
Inoltre, una
volta formatasi l’idea che questo campo di ricerca è “patologico”, tutte
le pubblicazioni in questo ambito tendono ad essere rifiutate dalle
riviste scientifiche internazionali. Il normale processo di
review si interrompe bruscamente.
Ciò conduce
spontaneamente al mito…
Dalla scienza al mito
Ciò che è
avvenuto con la Fusione Fredda (e ciò che accade pure in altri casi) è
stata la creazione di un mito: il mito che il fenomeno non sia reale.
Tale mito consiste in un “racconto elaborato” che in principio potrebbe
anche essere vero.
Le due
principali (e alternative) attitudini verso tale “racconto” possono
essere:
1. accettarlo
senza approfondire seriamente;
2.
approfondirlo prima di decidere se accettarlo o meno.
L’attitudine
n. 1 si manifesta quando c’è una forte disposizione ad accettare il
mito, perché esso conferma il proprio sistema di credenze.
L’approccio
n. 2 è la reazione più scientifica, ma che talvolta risulta scavalcata,
specie se ci sono in ballo forti emozioni.
Ciò conduce alla domanda chiave: verso quali altre
tematiche prevale questa situazione di accettazione mitica di un
giudizio non scientifico?
Memoria dell’acqua (“effetto Benveniste”)
In generale,
qui il “problema” è dato dai comportamenti “anomali” dell’acqua, messi
in evidenza da diverse ricerche sperimentali sia in ambito biologico che
fisico-chimico (omeopatia, Piccardi, Benveniste, proprietà magnetiche
dell’acqua e dei sistemi biologici) che non sono ancora “rientrati nei
ranghi” in un paradigma accettato da tutti gli scienziati di ogni ordine
e grado… D’altronde qual è attualmente una spiegazione convincente del
motivo per cui alla temperatura di 100°C e alla pressione di 1 atmosfera
un insieme diluito di molecole d’acqua, in fase di vapore, subisce una
discontinua trasformazione della dinamica interna tale da “convincere”
velocissimamente tutto l’insieme di molecole ad incrementare la densità
di ben 1.600 volte, e tutto ciò insieme ad una notevole cessione di
energia all’esterno? Dal punto di vista teorico è scaturita, da parte di
due fisici teorici di fama, Emilio Del Giudice e Giuliano Preparata, la
visione che il campo elettromagnetico sia quel mezzo interattivo
attraverso cui grandi insiemi di componenti elementari si correlino su
lunghe distanze, generando così una dinamica più complessa di quella
fondata sull’interazione di coppie di componenti mediate da forze di
corto raggio (come è invece schematizzato nella visione corrente).
Ma, chi era
Benveniste? Nato a Parigi nel 1935, studia medicina e nel ’67 diviene
direttore clinico alla Facoltà di Medicina di Parigi; sempre alla fine
degli anni ’60 è ricercatore all’Istituto sulla Ricerca sul Cancro del
cnrs e poi si occupa di patologia sperimentale in California.
Nel 1970 scopre il
Platelet-Activating Factor (“fattore attivante delle piastrine del
sangue”). Nel 1978 diviene Direttore di Ricerca
inserm (Istitut National de
la Santé Et de la Recherche Médicale), e nel 1980 viene posto a capo
dell’unità di Ricerca 200 dell’inserm:
Immunologia delle allergie e delle infiammazioni. È autore di circa 300
pubblicazioni su riviste internazionali. È morto durante un intervento
chirurgico al cuore, nei primi giorni dell’Ottobre 2004. Pochi giorni
dopo, fu pubblicata una sorta di anomala commemorazione sulla rivista
Nature, dai toni
intollerabilmente aggressivi e dal contenuto fuorviante.
Nel caso
degli esperimenti condotti da Benveniste, le osservazioni da lui fatte a
partire dal 1988 e negli anni seguenti sono state:
1. attività
biologica presente nelle soluzioni altamente diluite;
2. campi
elettromagnetici che inducono attività biologica.
L’acqua come ci viene data a bere
L’obiezione
standard è: le soluzioni altamente diluite sono “acqua pura”, questo
perché la maggior parte delle persone pensa all’acqua come un insieme
caotico di molecole di H2O che si muovono a caso. Ma gli
esperti dell’acqua sanno che l’“acqua pura” non è per nulla così
semplice! Ci sono sempre dei
cluster di molecole, e dagli studi teorici di Elettrodinamica
Quantistica Coerente (qed Coerente) che abbiamo citato prima (Del Giudice,
Preparata) si prevede addirittura una struttura bifasica dell’acqua.
Bisogna dire che già Roentgen (il padre dei raggi
x) nel 1892 propose per la
prima volta che l’acqua avesse una struttura a due fasi, prospettando
questo modello empirico per spiegare l’andamento della solubilità in
soluzioni acquose in funzione della temperatura. Tale spiegazione fu fin
troppo facilmente bollata come inadeguata, data l’impossibilità di
comprendere come potessero esistere due tipi diversi di raggruppamenti
di molecole uguali pur nelle stesse condizioni termodinamiche. In questo
caso, invece, tale struttura scaturisce proprio dai calcoli di
elettrodinamica quantistica. La fase “incoerente” è costituita da
molecole d’acqua nello stato fondamentale (ground
state), cioè come nella fase gassosa (vapor d’acqua); tali molecole
sono disposte densamente negli interstizi attorno a dei grandi
raggruppamenti in cui le molecole interagiscono coerentemente con un
intenso campo elettromagnetico “autogenerato“. Tali “domini di
coerenza”, con un raggio di 250 Å (25 nm) e i cui centri distano 750 Å
(75x10-9m), sono “isole molecolari” che a una data
temperatura sono sopravvissute all’attacco delle fluttuazioni termiche
che tendono a imporre loro il disordine. La densità di queste molecole è
simile a quella del ghiaccio. Tutte queste molecole oscillano in fase
con un campo elettromagnetico “autogenerato”. Le molecole oscillano a
tale frequenza tra il ground state
e lo stato energetico eccitato E = 12.06 eV (si noti che la soglia di
ionizzazione è vicinissima Eion ≈ 12.6 eV; siamo nel lontano
ultravioletto). È importante comprendere che grazie a questi calcoli si
possono prevedere per la prima volta teoricamente, con un approccio di
base, ab initio, cioè
direttamente dai calcoli di elettrodinamica quantistica, una serie di
parametri sperimentalmente misurabili dell’acqua, tra cui:
- il calore
specifico dell’acqua liquida (si vede che è connesso alla frazione di
fase coerente che “evapora” dalla superficie dei domini di coerenza
diventando incoerente);
- l’anomalia
della densità dell’acqua liquida, che ha un massimo a 4 °C, ed a 0 °C è
più densa dell’acqua solida, cioè del ghiaccio (scaturisce dalla
sovrapposizione delle due differenti dipendenze dalla temperatura delle
densità delle due fasi);
- la
temperatura di ebollizione;
- il volume
critico, identificato come il più grande volume molare al di sopra del
quale non possono avere luogo spontaneamente processi di
qed coerente;
- il calore
latente di evaporazione (anche questa quantità è connessa alla frazione
di fase coerente che “evapora” dalla superficie dei domini di coerenza
divenendo incoerente);
- i
ponti-idrogeno fra le molecole d’acqua; essi non sono la causa delle
interazioni fra molecole, poiché le protuberanze delle nuvole
elettroniche molecolari non esistono nelle molecole isolate; i
ponti-idrogeno sono, al contrario, gli effetti della dinamica coerente
nell’acqua liquida, che rimescola le nuvole elettroniche producendo così
le protuberanze.
Si capisce
come da questa visione scaturiscano possibilità sperimentali che
potrebbero andare ad inquadrare tante delle numerosissime “anomalie”
riscontrate da molti ricercatori, tra cui lo stesso Benveniste.
Tornando alla
“cronaca” del discredito, cosa accadde a Benveniste? La pietra dello
scandalo fu l’articolo apparso sulla famosa rivista internazionale
Nature, il 30 giugno 1988,
Human basophil degranulation triggered by very dilute antiserum against
IgE.
In questo
articolo vengono descritti una serie di esperimenti condotti utilizzando
diluizioni omeopatiche del cosiddetto anti-ige
(un anticorpo responsabile di reazioni allergiche), che malgrado ciò –
vale a dire essendo scomparso dal solvente acqua – induceva comunque in
misura statisticamente significativa la degranulazione dei basofili
umani in coltura (cioè il rilascio di istamina, da cui la reazione
allergica). Da ciò il tormentone di “memoria dell’acqua” con cui è
passato alla storia questo celebre quanto controverso risultato
sperimentale.
Ebbene, i
referees di Nature non
poterono trovare alcun errore nella ricerca di Benveniste! Tant’è vero
che l’articolo fu pubblicato. Ma questo articolo veniva opportunamente
preceduto da un altro, anonimo (ma, scritto probabilmente dal direttore
di Nature, cioè John Maddox), dal titolo
Quando credere all’incredibile,
in cui si evidenziava l’inspiegabilità teorica dei fenomeni descritti, e
si invitavano i lettori a sospendere il giudizio fino a ulteriori
controlli.
Un variegato trio di “controllori”: il mago, l’editore,
il giornalista
Successivamente, il Direttore di Nature organizzò dei “controlli”
che si sostanziarono nella visita, lunga una settimana, al laboratorio
di Benveniste di tre ospiti ben assortiti: un famoso illusionista ed
ipnotizzatore statunitense, James Randi (membro attivissimo dello
csicop, Committee for the
Scientific Investigation of Claims of the Paranormal, lo zio d’america
dell’italiano cicap, per
intenderci), appunto il direttore di Nature, John Maddox, ed il
sedicente “acchiappa-frodi” Walter Stewart. Ebbene, cosa accadde alle
pluriennali ricerche di Benveniste, riprodotte in laboratori italiani,
israeliani, e canadesi, da ricercatori di valore internazionale che
firmavano lo “scandaloso” articolo, durante tali “magici” e “ipnotici”
“controlli”, effettuati da tre persone e durati una settimana, descritti
da Benveniste come uno “spettacolo da circo”? Ovviamente, l’attitudine
dei tre era di scovare il trucco, la frode, l’imbroglio, dovunque esso
fosse, e in ogni caso essi ben certi della fallacia dei risultati
pubblicati da Benveniste.
I risultati
della “verifica” di questo trio, furono prontamente pubblicati su
Nature il 28 luglio 1988 (rapidissimamente, cioè soltanto 28 giorni
dopo la pubblicazione di Benveniste, e senza alcun “referaggio”
internazionale!).
Nella sua
replica su Nature, Benveniste li accusò di “caccia alle streghe”
e di “maccartismo”. In effetti, ci chiediamo: questi “risultati” dei
nostri tre elementi sono stati riprodotti da qualche scienziato? E quali
scienziati avevano fatto da
referee al loro articolo? Si tratta di domande retoriche, anche
perché l’articolo, malgrado il titolo ben netto, parlava sì di
“pseudoscienza”, ma non chiariva il mistero della “memoria dell’acqua”,
ma neppure accusava alcuno di alcunché! Per cogliere l’attitudine dei
tre non basta leggere l’articolo, ma bisogna interpretarne le
intenzioni: si dichiaravano ben sicuri della buona fede di Benveniste
(quale magnanimità!), però riferendosi alla coautrice Davenas,
ringraziandola per i conteggi, insinuavano che non fosse in buona fede,
cosa che poi Randi ha, in effetti, dichiarato esplicitamente anche se
soltanto privatamente. Si concludeva poi che c’erano stati degli errori
di campionatura statistica.
Inoltre, un
biologo o un medico avrebbe trovato semplicemente divertente il supposto
“scandalo” sollevato dai 3 “investigatori” rispetto al fatto che la
ricerca era stata finanziata da una società farmaceutica interessata a
quei risultati poi effettivamente ottenuti (avviene così nella quasi
totalità dei casi). In quanto non-biologi, poi, i 3 “investigatori”
probabilmente non erano certo perfettamente consapevoli dell’argomento
su cui volevano “investigare”, e siccome non c’è stato alcun
referee esperto che abbia
valutato il loro successivo articolo, questo fa capire bene che valore
potesse avere la nettezza delle loro conclusioni contro la ricerca
pluriennale di Benveniste.
Eppure, è
proprio da tale articolo che è esploso, e si è propagato violentemente,
il discredito totale verso quelle ricerche!
Un articolo
successivo di Benveniste, poi, che con un controllo a doppio cieco,
contraddiceva le conclusioni di Maddox, Stewart e Randi, non fu
accettato per la pubblicazione da Nature. Malgrado ciò Benveniste
continuò a sviluppare le sue tecniche sperimentali, ma le riviste
rifiutavano di pubblicare i suoi articoli.
Nel caso di
Benveniste si riproduce ancora una volta lo stesso tipo di fenomeno dei
casi precedentemente esaminati: si può dare una mazzata fatale ad un
campo di ricerca da parte di alcuni specifici individui “ostili” che si
ergono a “giudici” definitivi, e tutto ciò nel breve volgere di poche
settimane! Cioè: avere potere è più importante che avere ragione!
Accenniamo
quindi a due importanti “veicoli di potere”:
1. il
“libero” server dei preprint
degli articoli nel campo della fisica: arxiv.org;
2. il
Comitato per l’Investigazione Scientifica sulle affermazioni sul
Paranormale; csicop negli
usa, ma recentemente mutato il suo nome in Committee for
Skeptical Inquiry (csi),
cicap in Italia, nonché
filiazioni e fratellanze varie.
Per
accennare, solo al primo punto, ciò che non sarebbe così ovvio è che c’è
comunque un filtro nella pubblicazione immediata, pur non essendoci
opera di review. Il filtro è
connesso al fatto che l’articolo possa essere considerato
“inappropriato”, concetto che spesso non è distinto da “non ortodosso”!
Proprio per mettere il dito nella piaga, nel 2002 Brian Josephson inviò
ad arxiv.org un articolo di review di Edmund Storms sulla Fusione Fredda, ed effettivamente –
come previsto – se lo vide rifiutare come “inappropriato”, e dopo una
sua richiesta di spiegazioni, il fatto fu seguito poi da incredibili
arrampicate sugli specchi nel tentativo di giustificare quella scelta.
Per
rammentare che le vere novità scientifiche nascono sempre ed
inevitabilmente “strane”, e quindi sono sempre facilissime da
“criticare” nei loro primi stadi, si noti che anche nel caso del primo
transistor, la scoperta
avvenne empiricamente presso i laboratori privati della Bell, alla fine
degli anni ’40, e William Shockley, uno dei suoi principali inventori,
ci lavorò un bel po’ per provare a intuire e schematizzare le basi
fisiche del suo funzionamento – ma attenzione! – ciò avvenne soltanto
dopo che l’aveva già inventato e sperimentato! Quindi poi scrisse
Electrons and Holes in Semiconductors (Van Nostrand, New York, 1950)
con cui rivoluzionò la fisica dello stato solido, e infine… gli fu
assegnato anche il premio Nobel nel ‘56!
Gioco di società
In
conclusione, e in prospettiva, propongo un piccolo gioco di società per
le fredde serate d’inverno: quali altre questioni ricadono oggigiorno in
questa categoria di “nuovi tabù”, e quante e quali connessioni sono
presenti fra di esse?
Si prepari un ampio tabellone bianco da riempire, ma dubito fortemente
che un solo inverno possa mai bastare.
AGOSTO 2012
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