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08
Ottobre 2012

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Transizione

LA COSTITUZIONE ANTIDOTO CONTRO LA TRANSIZIONE

Guido Cosenza*

 

Sul tema della Costituzione circolano degli stereotipi, si afferma la intangibilità dei suoi articoli, la assoluta perfezione del dispositivo normativo, si sostiene che questa è la migliore delle regolamentazioni statali possibili.

Si tende ad accreditare la tesi che il complesso degli articoli rappresenti un insieme di precetti generali atemporali la cui validità sia universale.

Più che esprimere giudizi è opportuno studiare la struttura del dettato costituzionale, vederne le funzioni e analizzare ciò che tale strumento ha rappresentato, e che tuttora rappresenta, a partire dagli anni della sua istituzione.

Innanzitutto va osservato che le legislazioni che sono state statuite nei vari periodi storici e nei più differenti paesi hanno ricoperto il ruolo di strumento di difesa e di preservazione dell’ordine costituito, di barriera contro l’instaurazione di un diverso modello di sviluppo.

Tutti gli ordinamenti del passato hanno sancito la compresenza di distinti strati sociali, alcuni privilegiati rispetto ad altri; il dispositivo giuridico ha sempre assolto alla funzione di preservare l’esistente, cioè salvaguardare il privilegio costituito da una distribuzione differenziata dei beni accessibili alla comunità.

Anche l’attuale fase storica è caratterizzata da una stratificazione sociale ben tracciata e diversificata in relazione all’accesso alle risorse presenti sul pianeta e ai beni prodotti.

In altri termini siamo in presenza di una compagine con accentuate differenze fra i suoi componenti in merito alla disponibilità di risorse e fruizione di opportunità esistenziali, l’aspetto nuovo che condiziona la attuale comunità, è la circostanza che la dinamica espansiva non è più compatibile con l’integrazione in un ecosistema il cui equilibrio è già ampiamente compromesso.

In definitiva la comunità umana è incardinata in un modello di sviluppo che sul versante economico-produttivo si manifesta in una crescita a ritmo accelerato e che sul piano sociale si sgrana in una pluralità di settori la cui distanza reciproca in termini di accessibilità al prodotto sociale va divergendo.

I due aspetti si integrano  a vicenda, sono indissolubilmente legati, sopprimere l’uno implica l’eliminazione anche dell’altro.

È naturale chiedersi allora se il nostro ordinamento istituzionale sia funzionale alla preservazione del presente status economico-sociale, cioè se sia posto a difesa della odierna graduazione del privilegio e a salvaguardia di un processo espansivo delle funzioni produttive e sociali incontenibile, se in ultima istanza sia responsabile dell’invasione distruttiva del territorio e dell’alterazione ambientale. Beninteso non nelle proposizioni programmatiche che da sempre hanno finalità mediatiche, ma nella operatività reale oggettiva.

È obiettivo del presente articolo argomentare in favore di una risposta positiva al quesito posto.

La questione non assume più un carattere puramente etico, non riguarda in via prioritaria il tema della ingiusta distribuzione del benessere, ma concerne oramai la sopravvivenza di una comunità. È pertanto della massima importanza capire se questa Costituzione sia di intralcio a un inevitabile e necessario cambiamento di ordine sociale, cioè se sia uno strumento predisposto per impedire la transizione a una diversa fase storica.

Innanzitutto analizziamo l’origine della spinta espansiva che si riverbera nella stratificazione sociale e individuiamo il meccanismo di preservazione ed estensione del divario fra le classi in termini di fruizione del prodotto sociale.

La ricchezza è generata nell’ambito del processo lavorativo svolto nella fabbrica, lì il capitale incontra il lavoro e il lavoro si incorpora nelle merci e le valorizza. La parte predominante del valore creato finisce nelle mani dei detentori e dei gestori del capitale.

Una seconda fonte di ricchezza è rappresentata dalle risorse minerarie immagazzinate all’interno della superficie terrestre soggette ad appropriazione imprevidente. Anche tale patrimonio è appannaggio di gruppi ristretti che ne fanno un uso sconsiderato traendone enormi profitti.

Imporre il presente meccanismo di produzione, difendere la proprietà privata dei mezzi di produzione e quella della risorse del pianeta equivale a preservare il presente ordine costituito, svolgere la funzione di baluardo contro la transizione.

Vogliamo argomentare che tale è proprio il ruolo espletato dalla odierna vigente Costituzione della Repubblica.

Una questione va subito chiarita per evitare confusioni nei piani del discorso. Nell’attuale comunità oramai globalizzata è percepito sempre più chiaramente il trend degenerativo dell’apparato gestionale inerente a un organismo sociale divenuto mastodontico, contrassegnato da un volume di produzione di beni mai raggiunto nella storia pregressa. Questo enorme accumulo di ricchezza ha generato corruzione e criminalità e ne ha favorito l’estensione, con punte spropositate in alcuni paesi fra cui l’Italia. Tale fardello divenuto insopportabile ha spinto labili fasce sociali rimaste incontaminate a sollecitare l’imposizione e il rispetto di regole drastiche, in particolare in Italia si è reclamata l’osservanza rigorosa degli articoli della Costituzione.

I fenomeni degenerativi della corruzione e in generale l’estensione di pratiche illegali vanno annoverati fra le patologie del sistema, nascono, vivono e prosperano all’ombra degli immensi trasferimenti di ricchezza, li si può limitare, ma non eliminare. Tuttavia tali anomalie non sono i fattori determinanti delle incongruenze strutturali della attuale sofisticata architettura socio-economica. Il carattere espansivo della società attuale alimenta la corruzione ma la abolizione di attività criminose non conduce alla soppressione del trend espansivo, causa determinante delle presenti disfunzioni del sistema; invocare delle regola per contenerle è certamente opportuno ma non intacca la struttura del privilegio inerente al presente ordinamento sociale.

La Costituzione rappresenta un condensato di norme stabilite per regolamentare la vita della comunità, l’insieme delle disposizioni attuative costituisce una complessa costruzione giuridica consolidata nel corso della gestione del potere per preservare un sistema che ha come carattere dominante l’espansione.

Il richiamo alla stretta osservanza delle istituzioni vigenti e alla introduzione di nuove regole rappresenta un freno all’arbitrio dominante, ma è pur sempre a tutela di un ordine costituito che sta progressivamente manifestandosi totalmente inadeguato.

Il dispositivo degli articoli istitutivi della Costituzione instaura una impalcatura di regole e prescrizioni a sostegno della società del capitale, redatta dai cosiddetti padri costituenti devoti al coevo regime economico espansivo, devozione condivisa anche da coloro che nel passato avevano militato in movimenti politici i cui fini si erano posizionati su di una rotta antitetica a quella del sistema dominante.

Per convincersi del ruolo che la carta costituzionale esplica è sufficiente l’analisi del primo articolo, esso qualifica la Costituzione come tutela di una repubblica basata sul lavoro. Cos’è mai il riferimento alla categoria lavoro se non un richiamo alla presenza del capitale? La attuale struttura produttiva si incentra sull’associazione di capitale e lavoro. A sua volta il lavoro si suddivide in lavoro necessario a riprodurre la forza lavoro e pluslavoro, cioè quella parte del lavoro che alimenta il plusvalore, vale a dire il profitto. Il primo articolo della costituzione quindi sanziona la presenza del profitto, cioè il caposaldo del capitalismo. In breve la costituzione italiana stabilisce e preserva proprio quell’ordinamento economico il cui carattere predominante è costituito da una progressiva inesorabile crescita, e nel contempo salvaguarda la configurazione in classi della società.

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È vero che l’articolata struttura di potere consente una qualche mobilità, nel senso che è contemplato il passaggio di classe dei rispettivi componenti, tuttavia l’operazione è ardua, realizzabile con elevati costi sociali, quindi sporadicamente conseguita, è comunque inattuabile la soppressione delle stratificazioni, anzi si osserva che l’ordinamento difeso produce il fenomeno dell’accrescimento della distanza fra strati sociali distinti, in congiunzione con l’estensione delle classi subalterne.

Esistono vari piani di intervento nel sociale, una scelta conduce a sostenere i protagonisti di una battaglia condotta all’interno dell’odierno quadro politico tesa a limitare effetti degenerativi che inducono il peggioramento della qualità della vita e della condizione economica di larghi strati della popolazione. Tale opera, del tutto apprezzabile e opportuna, è ininfluente su di un programma di partecipazione al progetto di trasformazione strutturale che abbiamo verificato essere non procrastinabile per l’organismo sociale.

Acclarato che il dettato costituzionale codifica un ordinamento sociale divenuto inadeguato al grado di sviluppo raggiunto dal sistema, ribadito che occorra una profonda trasformazione, ci preme rilevare che una società che abbia felicemente attraversato la transizione dovrà recepire nei principi programmatici la prescrizione che il prodotto sociale vada ripartito egualmente fra tutti i suoi componenti. Tale affermazione implica tante cose prima fra tutte l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In tale contesto il lavoro diventerebbe un servizio sociale, molto limitato data la presenza delle macchine. Una norma pregiudiziale dovrebbe risultare di impedimento all’accumulazione privata di beni – origine prima della spinta irrefrenabile all’espansione. La soppressione della spinta all’accrescimento e l’ostruzione a tutte le forme di discriminazione socio-economica e di sopraffazione sono gli obiettivi principali dell’azione di trasformazione.

Le contraddizioni funzionali che si manifestano nell’apparato produttivo e che hanno una ricaduta in ambito sociale le troviamo impresse in forma traslata anche nel quadro normativo espresso dalla carta costituzionale.

Non volendo affrontare una ridondante disamina puntuale del testo è esaustivamente indicativo il confronto dell’articolo 1 con l’articolo 9 che statuisce la salvaguardia del paesaggio e la difesa del territorio.

L’articolo 1 sancisce e tutela la presenza del capitale secondo quanto abbiamo discusso in precedenza. Ebbene guardiamo all’operato del complesso apparato economico nei riguardi del paesaggio e del territorio a partire dalla rivoluzione industriale.

Il capitale è indifferente a valori estetici e ha una visione economica a brevissimo respiro, saccheggia e dilapida nella misura in cui ottiene un profitto immediato.

Un indicatore esemplare fra i tanti è costituito dal continuo deterioramento artistico e funzionale delle città avvenuto in regime di ascesa del sistema capitalista.

Non c’è città che non abbia a lamentare la progressiva perdita di valori artistici, di attrattive paesaggistiche e di luoghi storici.

New York ha visto colmati i canali di Manhattan e distrutti innumerevoli edifici del suo passato recente.

Parigi fu deturpata dagli sventramenti di Haussmann e da ultimo ha subito l’espianto del suo cuore, les Halles, in favore di un orrendo centro commerciale.

A Roma all’epoca della costruzione dei quartieri umbertini si è fatto scempio di meravigliosi giardini con lottizzazione selvaggia.

Bangkok ha perso i suoi incantevoli canali.

I navigli milanesi furono colmati.

E Napoli dopo essere stata violentata nel centro storico dalle demolizioni dell’operazione “Risanamento” ha visto sversare tutto il materiale di risulta su uno degli archi costieri più decantati del mondo allo scopo di farne il supporto di una immane speculazione edilizia, ben prima delle devastazioni dell’amministrazione Lauro.

L’elenco potrebbe continuare ad libitum perché non c’è luogo del pianeta che non sia stato affetto dal devastante trend invasivo di un mostruoso automa in crescita incontrollata.

Sviluppo del capitalismo e salvaguardia del paesaggio e del territorio sono imprese che si contrappongono a vicenda, sono incompatibili, l’uno sopraffà l’altro. Volerli sostenere entrambi è illusorio o meglio è un delittuoso inganno.

La storia dell’ascesa del capitalismo è costellata di tentativi di porre un freno al saccheggio e al deterioramento dell’ambiente. Un susseguirsi di sforzi per bloccare la devastazione e il degrado. Una successione di normative imposte e disattese poi nuovamente prescritte in forma attenuata e ancora violate.

Ingannevole, qualcuno sostiene comica, è la pretesa del legislatore di promuovere con la carta costituzionale l’uguaglianza fra i cittadini. I cittadini hanno distinte collocazioni nel quadro sociale, distinti accessi al prodotto generato dalla società nel suo insieme, distinte opportunità, il richiamo istituzionale all’uguale trattamento di disuguali equivale a voler congelare le posizioni all’interno di una gerarchia consolidata.

Tuttavia non è il problema etico che è in gioco in questa fase storica, tale tema non è mai stato determinante nell’originare e dirigere le trasformazioni sociali, la questione cruciale è che l’attuale sistema dimostratosi inadeguato esige un cambiamento di rotta in relazione al modello di sviluppo e la Costituzione rappresenta un ostacolo sul cammino della trasformazione.

Ci si potrebbe stupire di questa affermazione, si potrebbe obiettare che siamo in regime democratico e che la nostra Costituzione consente il libero svolgimento di qualsiasi elaborazione di pensiero e di qualsivoglia azione in favore delle proprie convinzioni purché esercitata “democraticamente”.

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È questo l’ultimo tema che vorrei affrontare, argomenterò che quanto appena affermato è falso, che viceversa la cosiddetta “democrazia” ha perso totalmente il carattere originario espresso dall’etimo coniato all’epoca delle città stato greche.

Nel periodo intercorso fra la nascita con la rivoluzione industriale del presente ordinamento economico e il suo affermarsi a livello globale si è andato strutturando un articolato e raffinato ordito normativo, e dei colossali strumenti di repressione, in grado di preservare l’esistente, in caso di necessità con la violenza, a garanzia di un sistema votato all’espansione indefinita.

La carta costituzionale è parte di questo costrutto di norme a salvaguardia del sistema, analizziamone il dispositivo.

Gli strumenti demandati a modificare le regole del gioco e a consentire quindi la trasformazione del modello di sviluppo, operazione che abbiamo dichiarato essere improcrastinabile, sono due camere di rappresentanti eletti a suffragio universale. È sancito nel dettato costituzionale che chiunque abbia determinate caratteristiche su cui non è il caso di entrare, ma che comunque non hanno carattere discriminatorio, può partecipare in forma attiva o passiva alla competizione elettorale.

Qui sta l’inganno, nella attuale società divenuta altamente complessa, articolata e costituita da una ingente massa di individui è pressoché impossibile stabilire un’interazione con un numero di cittadini sufficiente al raggiungimento del quorum di voti necessario ad ottenere l’elezione.

Occorre avere accesso a strumenti che assicurino al candidato una ampia visibilità. Gli strumenti prevalenti sono a carattere mediatico: stampa radio, televisione e diffusione di manifesti e volantini. Si tratta di tutte operazioni ad alto costo che riducono drasticamente la tipologia dei possibili partecipanti a competizioni elettorali.

Inoltre i membri dei parlamenti hanno raggiunto un tale status vantaggioso in termini economici e di servizi usufruiti per cui la loro attività prevalente è indirizzata a perpetuare nel tempo la permanenza nel luogo del privilegio.

I partiti si sono strutturati come organismi in cui albergare in attesa di accedere alle posizioni parlamentari e in generale agli organi di governo anche locali, essi si sono conformati in guisa di strumenti atti a canalizzare i fondi necessari alla partecipazione alle competizioni elettorali. Se pure tali organismi in origine avevano rappresentato il luogo in cui dibattere idee, confrontare opinioni e consolidare o debellare linee programmatiche, la pratica di governo e sottogoverno , la tecnica della raccolta dei fondi li hanno trasformati in organismi di cooptazione nel privilegio e ne hanno diffuso la sfiducia nel paese.

Gli eletti, promossi nella cerchia a cui è stato attribuito il nome di casta, finiscono per divenire i più strenui difensori di un regime che consente loro di usufruire degli ambiti benefici cui non può accedere la stragrande maggioranza dei cittadini.

Questo è lo stupendo strumento di governo ideato dai fautori-beneficiari del presente assetto.

C’è di più, l’istituzione di governo è anche un mezzo efficientissimo di cooptazione e di sterilizzazione delle opposizioni al presente modello di sviluppo in quanto l’ingenuo contestatore che vi entra subisce il fascino della dovizia di risorse e la seduzione dell’appartenenza al mondo del privilegio per cui viene rapidamente reclutato a membro della casta.

Lo strumento di governo ideato è una barriera difensiva invalicabile a protezione di un ordine strutturale al momento divenuto il maggior nemico della comunità. La sua gestazione ha avuto un lungo periodo di incubazione. Si inizia dai primi ordinamenti elaborati al tempo della affermazione come classe emergente della borghesia all’epoca delle monarchie costituzionali. L’accesso agli organi decisionali era stato predisposto come elettivo, ma l’espletazione del diritto di voto era regolato per censo, l’appartenenza a una classe privilegiata era la miglior garanzia per la sopravvivenza dello stato presente. In altri termini a quel tempo non esisteva alcun meccanismo per manipolare l’opinione della massa dei cittadini della comunità, quindi l’unica via per preservare il sistema  consisteva nel regolamentare l’accesso agli organi decisionali. Mano a mano che gli strumenti di orientamento degli elettori venivano elaborati si allargava la platea degli aventi diritto fino ad ammettervi da ultimo le donne e a incardinare nella costituzione i congegni idonei alla salvaguardia dell’assetto istituzionale presente.

In conclusione la Costituzione rappresenta lo strumento di difesa del sistema di barriere poste a salvaguardia del presente ordine costituito, costituisce uno dei più efficienti ostacoli alla transizione di fase storica in quanto occultato e dissimulato sotto le sembianze accattivanti della tutela dei deboli e dei derelitti.

Non è con gli strumenti predisposti dai fautori del presente ordinamento sociale che è possibile operare le trasformazioni strutturali che si rendono necessarie per ovviare alle incongruenze dell’attuale modello di sviluppo.

Non lo è stato per nessuno degli ordinamenti sociali che si sono succeduti storicamente.

Nel passato le nuove forme sociali emergenti hanno potuto soverchiare le strutture obsolete della società in declino, oramai inadeguate, ponendo in atto le forze e le energie nel frattempo acquisite.

Non così oggi a causa degli enormi mezzi di difesa messi in atto dalla tecnologia sviluppata dalla società del capitale. Viceversa occorre sgretolare il sistema, inidoneo alle incombenze che attualmente si pongono, dal basso, sviluppando nuove forme di aggregazione e differenti tipologie produttive. Ma questa è un altra storia, un tema che abbiamo sviluppato e svilupperemo ulteriormente.

 

LUGLIO 2012

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*Dipartimento di Scienze Fisiche, Università di Napoli Federico. È autore di La Transizione. Analisi del processo di transizione a una società postindustriale ecocompatibile, Feltrinelli, Milano 2008; Il nemico insidioso. Lo squilibrio dell'ecosistema e il fallimento della politica, Manifestolibri, Roma 2010; e con Chiesa Giulietto e Sertorio Luigi, La menzogna nucleare. Perché tornare all'energia atomica sarebbe gravemente rischioso e completamente inutile, Ponte alle Grazie, Milano 2010.