Transizione
LA COSTITUZIONE
ANTIDOTO CONTRO LA TRANSIZIONE
Guido Cosenza
Sul tema della Costituzione circolano
degli stereotipi, si afferma la intangibilità dei suoi articoli, la
assoluta perfezione del dispositivo normativo, si sostiene che questa è
la migliore delle regolamentazioni statali possibili.
Si tende ad accreditare la tesi che il
complesso degli articoli rappresenti un insieme di precetti generali
atemporali la cui validità sia universale.
Più che esprimere giudizi è opportuno
studiare la struttura del dettato costituzionale, vederne le funzioni e
analizzare ciò che tale strumento ha rappresentato, e che tuttora
rappresenta, a partire dagli anni della sua istituzione.
Innanzitutto va osservato che le
legislazioni che sono state statuite nei vari periodi storici e nei più
differenti paesi hanno ricoperto il ruolo di strumento di difesa e di
preservazione dell’ordine costituito, di barriera contro l’instaurazione
di un diverso modello di sviluppo.
Tutti gli ordinamenti del passato hanno
sancito la compresenza di distinti strati sociali, alcuni privilegiati
rispetto ad altri; il dispositivo giuridico ha sempre assolto alla
funzione di preservare l’esistente, cioè salvaguardare il privilegio
costituito da una distribuzione differenziata dei beni accessibili alla
comunità.
Anche l’attuale fase storica è
caratterizzata da una stratificazione sociale ben tracciata e
diversificata in relazione all’accesso alle risorse presenti sul pianeta
e ai beni prodotti.
In altri termini siamo in presenza di
una compagine con accentuate differenze fra i suoi componenti in merito
alla disponibilità di risorse e fruizione di opportunità esistenziali,
l’aspetto nuovo che condiziona la attuale comunità, è la circostanza che
la dinamica espansiva non è più compatibile con l’integrazione in un
ecosistema il cui equilibrio è già ampiamente compromesso.
In definitiva la comunità umana è
incardinata in un modello di sviluppo che sul versante
economico-produttivo si manifesta in una crescita a ritmo accelerato e
che sul piano sociale si sgrana in una pluralità di settori la cui
distanza reciproca in termini di accessibilità al prodotto sociale va
divergendo.
I due aspetti si integrano
a vicenda, sono indissolubilmente legati, sopprimere l’uno
implica l’eliminazione anche dell’altro.
È naturale chiedersi allora se il nostro
ordinamento istituzionale sia funzionale alla preservazione del presente
status economico-sociale, cioè se sia posto a difesa della odierna
graduazione del privilegio e a salvaguardia di un processo espansivo
delle funzioni produttive e sociali incontenibile, se in ultima istanza
sia responsabile dell’invasione distruttiva del territorio e
dell’alterazione ambientale. Beninteso non nelle proposizioni
programmatiche che da sempre hanno finalità mediatiche, ma nella
operatività reale oggettiva.
È obiettivo del presente articolo
argomentare in favore di una risposta positiva al quesito posto.
La questione non assume più un carattere
puramente etico, non riguarda in via prioritaria il tema della ingiusta
distribuzione del benessere, ma concerne oramai la sopravvivenza di una
comunità. È pertanto della massima importanza capire se questa
Costituzione sia di intralcio a un inevitabile e necessario cambiamento
di ordine sociale, cioè se sia uno strumento predisposto per impedire la
transizione a una diversa fase storica.
Innanzitutto analizziamo l’origine della
spinta espansiva che si riverbera nella stratificazione sociale e
individuiamo il meccanismo di preservazione ed estensione del divario
fra le classi in termini di fruizione del prodotto sociale.
La ricchezza è generata nell’ambito del
processo lavorativo svolto nella fabbrica, lì il capitale incontra il
lavoro e il lavoro si incorpora nelle merci e le valorizza. La parte
predominante del valore creato finisce nelle mani dei detentori e dei
gestori del capitale.
Una seconda fonte di ricchezza è
rappresentata dalle risorse minerarie immagazzinate all’interno della
superficie terrestre soggette ad appropriazione imprevidente. Anche tale
patrimonio è appannaggio di gruppi ristretti che ne fanno un uso
sconsiderato traendone enormi profitti.
Imporre il presente meccanismo di
produzione, difendere la proprietà privata dei mezzi di produzione e
quella della risorse del pianeta equivale a preservare il presente
ordine costituito, svolgere la funzione di baluardo contro la
transizione.
Vogliamo argomentare che tale è proprio
il ruolo espletato dalla odierna vigente Costituzione della Repubblica.
Una questione va subito chiarita per
evitare confusioni nei piani del discorso. Nell’attuale comunità oramai
globalizzata è percepito sempre più chiaramente il
trend degenerativo
dell’apparato gestionale inerente a un organismo sociale divenuto
mastodontico, contrassegnato da un volume di produzione di beni mai
raggiunto nella storia pregressa. Questo enorme accumulo di ricchezza ha
generato corruzione e criminalità e ne ha favorito l’estensione, con
punte spropositate in alcuni paesi fra cui l’Italia. Tale fardello
divenuto insopportabile ha spinto labili fasce sociali rimaste
incontaminate a sollecitare l’imposizione e il rispetto di regole
drastiche, in particolare in Italia si è reclamata l’osservanza rigorosa
degli articoli della Costituzione.
I fenomeni degenerativi della corruzione
e in generale l’estensione di pratiche illegali vanno annoverati fra le
patologie del sistema, nascono, vivono e prosperano all’ombra degli
immensi trasferimenti di ricchezza, li si può limitare, ma non
eliminare. Tuttavia tali anomalie non sono i fattori determinanti delle
incongruenze strutturali della attuale sofisticata architettura
socio-economica. Il carattere espansivo della società attuale alimenta
la corruzione ma la abolizione di attività criminose non conduce alla
soppressione del trend espansivo, causa determinante delle presenti
disfunzioni del sistema; invocare delle regola per contenerle è
certamente opportuno ma non intacca la struttura del privilegio inerente
al presente ordinamento sociale.
La Costituzione rappresenta un
condensato di norme stabilite per regolamentare la vita della comunità,
l’insieme delle disposizioni attuative costituisce una complessa
costruzione giuridica consolidata nel corso della gestione del potere
per preservare un sistema che ha come carattere dominante l’espansione.
Il richiamo alla stretta osservanza
delle istituzioni vigenti e alla introduzione di nuove regole
rappresenta un freno all’arbitrio dominante, ma è pur sempre a tutela di
un ordine costituito che sta progressivamente manifestandosi totalmente
inadeguato.
Il dispositivo degli articoli istitutivi
della Costituzione instaura una impalcatura di regole e prescrizioni a
sostegno della società del capitale, redatta dai cosiddetti padri
costituenti devoti al coevo regime economico espansivo, devozione
condivisa anche da coloro che nel passato avevano militato in movimenti
politici i cui fini si erano posizionati su di una rotta antitetica a
quella del sistema dominante.
Per convincersi del ruolo che la carta
costituzionale esplica è sufficiente l’analisi del primo articolo, esso
qualifica la Costituzione come tutela di una repubblica basata sul
lavoro. Cos’è mai il riferimento alla categoria lavoro se non un
richiamo alla presenza del capitale? La attuale struttura produttiva si
incentra sull’associazione di capitale e lavoro. A sua volta il lavoro
si suddivide in lavoro necessario a riprodurre la forza lavoro e
pluslavoro, cioè quella parte del lavoro che alimenta il plusvalore,
vale a dire il profitto. Il primo articolo della costituzione quindi
sanziona la presenza del profitto, cioè il caposaldo del capitalismo. In
breve la costituzione italiana stabilisce e preserva proprio
quell’ordinamento economico il cui carattere predominante è costituito
da una progressiva inesorabile crescita, e nel contempo salvaguarda la
configurazione in classi della società.
È vero che l’articolata struttura di
potere consente una qualche mobilità, nel senso che è contemplato il
passaggio di classe dei rispettivi componenti, tuttavia l’operazione è
ardua, realizzabile con elevati costi sociali, quindi sporadicamente
conseguita, è comunque inattuabile la soppressione delle
stratificazioni, anzi si osserva che l’ordinamento difeso produce il
fenomeno dell’accrescimento della distanza fra strati sociali distinti,
in congiunzione con l’estensione delle classi subalterne.
Esistono vari piani di intervento nel
sociale, una scelta conduce a sostenere i protagonisti di una battaglia
condotta all’interno dell’odierno quadro politico tesa a limitare
effetti degenerativi che inducono il peggioramento della qualità della
vita e della condizione economica di larghi strati della popolazione.
Tale opera, del tutto apprezzabile e opportuna, è ininfluente su di un
programma di partecipazione al progetto di trasformazione strutturale
che abbiamo verificato essere non procrastinabile per l’organismo
sociale.
Acclarato che il dettato costituzionale
codifica un ordinamento sociale divenuto inadeguato al grado di sviluppo
raggiunto dal sistema, ribadito che occorra una profonda trasformazione,
ci preme rilevare che una società che abbia felicemente attraversato la
transizione dovrà recepire nei principi programmatici la prescrizione
che il prodotto sociale vada ripartito egualmente fra tutti i suoi
componenti. Tale affermazione implica tante cose prima fra tutte
l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In tale contesto il
lavoro diventerebbe un servizio sociale, molto limitato data la presenza
delle macchine. Una norma pregiudiziale dovrebbe risultare di
impedimento all’accumulazione privata di beni – origine prima della
spinta irrefrenabile all’espansione. La soppressione della spinta
all’accrescimento e l’ostruzione a tutte le forme di discriminazione
socio-economica e di sopraffazione sono gli obiettivi principali
dell’azione di trasformazione.
Le contraddizioni funzionali che si
manifestano nell’apparato produttivo e che hanno una ricaduta in ambito
sociale le troviamo impresse in forma traslata anche nel quadro
normativo espresso dalla carta costituzionale.
Non volendo affrontare una ridondante
disamina puntuale del testo è esaustivamente indicativo il confronto
dell’articolo 1 con l’articolo 9 che statuisce la salvaguardia del
paesaggio e la difesa del territorio.
L’articolo 1 sancisce e tutela la
presenza del capitale secondo quanto abbiamo discusso in precedenza.
Ebbene guardiamo all’operato del complesso apparato economico nei
riguardi del paesaggio e del territorio a partire dalla rivoluzione
industriale.
Il capitale è indifferente a valori
estetici e ha una visione economica a brevissimo respiro, saccheggia e
dilapida nella misura in cui ottiene un profitto immediato.
Un indicatore esemplare fra i tanti è
costituito dal continuo deterioramento artistico e funzionale delle
città avvenuto in regime di ascesa del sistema capitalista.
Non c’è città che non abbia a lamentare
la progressiva perdita di valori artistici, di attrattive paesaggistiche
e di luoghi storici.
New York ha visto colmati i canali di
Manhattan e distrutti innumerevoli edifici del suo passato recente.
Parigi fu deturpata dagli sventramenti
di Haussmann e da ultimo ha subito l’espianto del suo cuore, les Halles,
in favore di un orrendo centro commerciale.
A Roma all’epoca della costruzione dei
quartieri umbertini si è fatto scempio di meravigliosi giardini con
lottizzazione selvaggia.
Bangkok ha perso i suoi incantevoli
canali.
I navigli milanesi furono colmati.
E Napoli dopo essere stata violentata
nel centro storico dalle demolizioni dell’operazione “Risanamento” ha
visto sversare tutto il materiale di risulta su uno degli archi costieri
più decantati del mondo allo scopo di farne il supporto di una immane
speculazione edilizia, ben prima delle devastazioni dell’amministrazione
Lauro.
L’elenco potrebbe continuare ad libitum
perché non c’è luogo del pianeta che non sia stato affetto dal
devastante trend invasivo di un mostruoso automa in crescita
incontrollata.
Sviluppo del capitalismo e salvaguardia
del paesaggio e del territorio sono imprese che si contrappongono a
vicenda, sono incompatibili, l’uno sopraffà l’altro. Volerli sostenere
entrambi è illusorio o meglio è un delittuoso inganno.
La storia dell’ascesa del capitalismo è
costellata di tentativi di porre un freno al saccheggio e al
deterioramento dell’ambiente. Un susseguirsi di sforzi per bloccare la
devastazione e il degrado. Una successione di normative imposte e
disattese poi nuovamente prescritte in forma attenuata e ancora violate.
Ingannevole, qualcuno sostiene comica, è
la pretesa del legislatore di promuovere con la carta costituzionale
l’uguaglianza fra i cittadini. I cittadini hanno distinte collocazioni
nel quadro sociale, distinti accessi al prodotto generato dalla società
nel suo insieme, distinte opportunità, il richiamo istituzionale
all’uguale trattamento di disuguali equivale a voler congelare le
posizioni all’interno di una gerarchia consolidata.
Tuttavia non è il problema etico che è
in gioco in questa fase storica, tale tema non è mai stato determinante
nell’originare e dirigere le trasformazioni sociali, la questione
cruciale è che l’attuale sistema dimostratosi inadeguato esige un
cambiamento di rotta in relazione al modello di sviluppo e la
Costituzione rappresenta un ostacolo sul cammino della trasformazione.
Ci si potrebbe stupire di questa
affermazione, si potrebbe obiettare che siamo in regime democratico e
che la nostra Costituzione consente il libero svolgimento di qualsiasi
elaborazione di pensiero e di qualsivoglia azione in favore delle
proprie convinzioni purché esercitata “democraticamente”.
È questo l’ultimo tema che vorrei
affrontare, argomenterò che quanto appena affermato è falso, che
viceversa la cosiddetta “democrazia” ha perso totalmente il carattere
originario espresso dall’etimo coniato all’epoca delle città stato
greche.
Nel periodo intercorso fra la nascita
con la rivoluzione industriale del presente ordinamento economico e il
suo affermarsi a livello globale si è andato strutturando un articolato
e raffinato ordito normativo, e dei colossali strumenti di repressione,
in grado di preservare l’esistente, in caso di necessità con la
violenza, a garanzia di un sistema votato all’espansione indefinita.
La carta costituzionale è parte di
questo costrutto di norme a salvaguardia del sistema, analizziamone il
dispositivo.
Gli strumenti demandati a modificare le
regole del gioco e a consentire quindi la trasformazione del modello di
sviluppo, operazione che abbiamo dichiarato essere improcrastinabile,
sono due camere di rappresentanti eletti a suffragio universale. È
sancito nel dettato costituzionale che chiunque abbia determinate
caratteristiche su cui non è il caso di entrare, ma che comunque non
hanno carattere discriminatorio, può partecipare in forma attiva o
passiva alla competizione elettorale.
Qui sta l’inganno, nella attuale società
divenuta altamente complessa, articolata e costituita da una ingente
massa di individui è pressoché impossibile stabilire un’interazione con
un numero di cittadini sufficiente al raggiungimento del quorum di voti
necessario ad ottenere l’elezione.
Occorre avere accesso a strumenti che
assicurino al candidato una ampia visibilità. Gli strumenti prevalenti
sono a carattere mediatico: stampa radio, televisione e diffusione di
manifesti e volantini. Si tratta di tutte operazioni ad alto costo che
riducono drasticamente la tipologia dei possibili partecipanti a
competizioni elettorali.
Inoltre i membri dei parlamenti hanno
raggiunto un tale status vantaggioso in termini economici e di servizi
usufruiti per cui la loro attività prevalente è indirizzata a perpetuare
nel tempo la permanenza nel luogo del privilegio.
I partiti si sono strutturati come
organismi in cui albergare in attesa di accedere alle posizioni
parlamentari e in generale agli organi di governo anche locali, essi si
sono conformati in guisa di strumenti atti a canalizzare i fondi
necessari alla partecipazione alle competizioni elettorali. Se pure tali
organismi in origine avevano rappresentato il luogo in cui dibattere
idee, confrontare opinioni e consolidare o debellare linee
programmatiche, la pratica di governo e sottogoverno , la tecnica della
raccolta dei fondi li hanno trasformati in organismi di cooptazione nel
privilegio e ne hanno diffuso la sfiducia nel paese.
Gli eletti, promossi nella cerchia a cui
è stato attribuito il nome di casta, finiscono per divenire i più
strenui difensori di un regime che consente loro di usufruire degli
ambiti benefici cui non può accedere la stragrande maggioranza dei
cittadini.
Questo è lo stupendo strumento di
governo ideato dai fautori-beneficiari del presente assetto.
C’è di più, l’istituzione di governo è
anche un mezzo efficientissimo di cooptazione e di sterilizzazione delle
opposizioni al presente modello di sviluppo in quanto l’ingenuo
contestatore che vi entra subisce il fascino della dovizia di risorse e
la seduzione dell’appartenenza al mondo del privilegio per cui viene
rapidamente reclutato a membro della casta.
Lo strumento di governo ideato è una
barriera difensiva invalicabile a protezione di un ordine strutturale al
momento divenuto il maggior nemico della comunità. La sua gestazione ha
avuto un lungo periodo di incubazione. Si inizia dai primi ordinamenti
elaborati al tempo della affermazione come classe emergente della
borghesia all’epoca delle monarchie costituzionali. L’accesso agli
organi decisionali era stato predisposto come elettivo, ma
l’espletazione del diritto di voto era regolato per censo,
l’appartenenza a una classe privilegiata era la miglior garanzia per la
sopravvivenza dello stato presente. In altri termini a quel tempo non
esisteva alcun meccanismo per manipolare l’opinione della massa dei
cittadini della comunità, quindi l’unica via per preservare il sistema
consisteva nel regolamentare l’accesso agli organi decisionali.
Mano a mano che gli strumenti di orientamento degli elettori venivano
elaborati si allargava la platea degli aventi diritto fino ad ammettervi
da ultimo le donne e a incardinare nella costituzione i congegni idonei
alla salvaguardia dell’assetto istituzionale presente.
In conclusione la Costituzione
rappresenta lo strumento di difesa del sistema di barriere poste a
salvaguardia del presente ordine costituito, costituisce uno dei più
efficienti ostacoli alla transizione di fase storica in quanto occultato
e dissimulato sotto le sembianze accattivanti della tutela dei deboli e
dei derelitti.
Non è con gli strumenti predisposti dai
fautori del presente ordinamento sociale che è possibile operare le
trasformazioni strutturali che si rendono necessarie per ovviare alle
incongruenze dell’attuale modello di sviluppo.
Non lo è stato per nessuno degli
ordinamenti sociali che si sono succeduti storicamente.
Nel passato le nuove forme sociali
emergenti hanno potuto soverchiare le strutture obsolete della società
in declino, oramai inadeguate, ponendo in atto le forze e le energie nel
frattempo acquisite.
Non così oggi a causa degli enormi mezzi
di difesa messi in atto dalla tecnologia sviluppata dalla società del
capitale. Viceversa occorre sgretolare il sistema, inidoneo alle
incombenze che attualmente si pongono, dal basso, sviluppando nuove
forme di aggregazione e differenti tipologie produttive. Ma questa è un
altra storia, un tema che abbiamo sviluppato e svilupperemo
ulteriormente.
LUGLIO 2012
*Dipartimento di Scienze Fisiche, Università di Napoli Federico. È autore
di La Transizione. Analisi del processo di transizione a una
società postindustriale ecocompatibile, Feltrinelli, Milano
2008; Il nemico insidioso. Lo squilibrio dell'ecosistema e il
fallimento della politica, Manifestolibri, Roma 2010; e con
Chiesa Giulietto e Sertorio Luigi, La menzogna nucleare.
Perché tornare all'energia atomica sarebbe gravemente rischioso e
completamente inutile, Ponte alle Grazie, Milano 2010.