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07
Maggio 2012

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Questione meridionale

RITORNI AL SUD

A cura di Giulio Trapanese

 

Mariangela Cerullo ha ventidue anni, originaria del Cilento in Campania, ha vissuto una parte della sua vita a Modena dove i suoi genitori sono emigrati nei primi anni del nuovo secolo. Attualmente studia Lettere moderne a Napoli, scrive e collabora come giornalista a diverse testate locali.

 

Mariangela, quanti anni avevi quando ti sei trasferita dal Cilento e sei andata a vivere a Modena?

 

Avevo più o meno dieci anni, ricordo era il tempo della prima comunione

 

E ti ricordi bene il prima? Ricordi i primi dieci anni che hai vissuto giù?

 

Certo, credo che sia stato il periodo più felice della mia vita

 

Rispetto al sentimento di appartenenza alla tua terra, ti vorrei chiedere se ti sentivi di appartenere a quel luogo già prima di andare via, o è cominciato soltanto dopo, quando te ne sei andata e hai dovuto emigrare.

 

No, l’ho sempre saputo di appartenere al mio paese, Felitto. Da quando sono nata sono cresciuta in un ambiente estremamente popolare…

 

Popolare in che senso?

 

Popolare nel senso di pieno di tradizioni, usi e costumi del mio paese e del mio popolo. Tanto è vero che la prima lingua che io ho imparato non è stata l’italiano, è stato il dialetto. Anche se per me non si tratta di un semplice dialetto; è una lingua vera e propria. Mio padre era fortemente convinto che avrei dovuto imparare prima la lingua del mio popolo e solo successivamente l’italiano, perché l’italiano avrei avuto modo d’impararlo poi a scuola. Se non l’avessi imparato da piccola il dialetto, invece, non l’avrei più imparato. Amo molto la lingua del mio paese, e spesso ricerco termini desueti, che imparo soprattutto da mia nonna materna, che usa un dialetto arcano, che sembra provenire da un’altra epoca.

 

Ma tu che differenze hai avvertito, per quanto allora eri molto piccola, tra la vita che conducevano i tuoi coetanei giù e quelli che hai conosciuto una volta a Modena?

 

Io in verità, fin dal primo momento non ho mai accettato quella condizione lì. Mi sembrava di vivere un incubo e aspettavo che finisse il prima possibile. Ogni mattina, quando mi svegliavo mi sembrava di essere ancora a Felitto. Svegliarsi e non poter vedere i monti Alburni dalla finestra era un’esperienza bruttissima…

 

Ma nelle persone di Modena sentivi qualcosa di diverso, nel modo, ad esempio, in cui vivevano la loro vita?

 

Quello che notavo è che i giovani che vivono nel Nord Italia non hanno neanche il minimo concetto di patria, intesa come terra degli avi, come legame sanguigno che si estende al di là della vita stessa. È come se io, invece, l’avessi avuto insito dentro di me, l’appartenere proprio alla mia terra. Ho sempre pensato che ogni pietra del mio paese fosse una particella del mio corpo. A Felitto mi sentivo integrata con il resto del creato.

 

Tu giustamente parli della tua esperienza, ma credi che questo che mi stai raccontando valga anche per gli altri, per gli altri della tua età che sono ancora a Felitto, o è un punto di vista esclusivamente tuo?

 

No, io credo sia il punto di vista mio e di poche altre persone. Credo sia uno spirito sicuramente minoritario. I miei coetanei sono portati di più ad evadere dalla realtà del paese, perché credono che una volta al di là del ponte – come si dice da noi per indicare ciò che è oltre il confine del paese – nessuno avrebbe più voglia di tornare al proprio paese, nemmeno col pensiero. Per me però non è così, attraversare quel ponte per me è sinonimo di libertà; per loro, invece, rimane sinonimo di prigionia.

 

In che senso, nel senso che per te tornare al paese è sinonimo di libertà?

 

Sì, per me tornare di nuovo nella mia terra, anche poterla solo calpestare per me è tanto. E mi sento libera, anche se la libertà non è che sia un concetto concreto. Io però mi sento così, libera.

 

Cambiando un po’ discorso, ti volevo chiedere: quante sono rimaste le persone che vivono a Felitto e che lavoro svolgono nella loro vita?

 

Gli ultimi dati riportano 1337 abitanti, ma sono aggiornati al 2001. Ma anche nella realtà non sono mai stati 1337 per davvero. Molti dei residenti sono tali solo sulla carta, perché il domicilio effettivo ce l’hanno all’estero, ad esempio, in Svizzera o in Brasile, o Argentina. In realtà saremo più o meno 700. E poi ultimamente si è innalzato drasticamente il tasso di mortalità nel paese.

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Per quale ragione?

 

Credo che più del 50 per cento della popolazione stia morendo a causa di tumori. Non so se la situazione riguardi solo il mio paese, ma la situazione è abbastanza drammatica. Si ammalano giovani, vecchi ed anche bambini. Spesso i tumori colpiscono le stesse zone del corpo.

 

Cioè quali?

 

Molte persone sono morte per tumori ai testicoli e allo stomaco.

 

Ci sono delle ipotesi sulle ragioni di questi tumori?

 

Sicuramente, ma non essendo un medico non posso avanzarne troppe…

 

Sì, ma dico rispetto a qualche evento in particolare che possa aver causato questa incidenza particolare…

 

Sicuramente anche Chernobyl, tanto è vero che…

 

Chernobyl?

 

Sì perché mia madre, che è del ’70, si ricorda bene all’epoca di Chernobyl, intorno all’86; per TV dicevano comunque, anche nella nostra zona, di non mangiare i prodotti della terra. Anche mia madre, ad esempio, ha avuto un tumore che non aveva nemmeno 40 anni

 

Ma perché parli di questa correlazione?

 

Perché più o meno a distanza di venti anni tutti si sono ammalati, la maggior parte della popolazione, anche chi non risiedeva più a Felitto ha avuto gli stessi tumori di quelle persone che invece sono rimaste in paese. Secondo me quindi in quell’arco di tempo è successo qualcosa che ha portato all’ammalarsi della gente…

 

Qualcosa che è successo intorno agli anni ottanta …

 

Ne sono convinta perché anche dei ragazzi giovani nati in quegli anni, miei coetanei, amici miei, si sono ritrovati quasi in fin di vita a causa di tumori. Fortunatamente io sono dopo, a metà dell’89. Ad esempio miei amici, nati tra l’85 e l’87 si sono ammalati di terribili tumori. Fortunatamente adesso sono ancora vivi.

 

Ma a questo riguardo non sono state fatte altre ipotesi, legate ad esempio alla tossicità di rifiuti o altro?

 

Sì, ma non posso esprimermi pienamente in questa intervista

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Perché? Ci sono cose che non sono state accertate?

 

Più che altro non è che si possa parlare senza conoscere bene i fatti e quindi bisognerebbe indagare e andare nel profondo.

 

Ad esempio, non ci sono delle aziende da quelle parti?

 

No, a Felitto nulla. C’è qualche azienda agricola, ma aziende a livello familiare. Il 90% della popolazione è occupata nel campo dell’agricoltura e dell’allevamento. Fabbriche non ce ne sono. Strade ce n’è solo una, ed è, mi sembra, la S 68 che collega Felitto all’entroterra cilentano. Le nostre strade, d’altra parte , sono in condizioni pessime.

 

Sì questo lo so. Ma la popolazione in questo momento è abbastanza adulta o anziana, o sono rimasti comunque dei giovani?

 

Giovani non ce ne sono quasi più…

 

Dove vanno a studiare all’università quando continuano gli studi?

 

Solitamente, se non sono emigrati prima con le famiglie, si ritrovano a studiare a Fisciano, oppure a Pisa, in queste cittadine della Toscana. Se non proprio decidono di andarsene al Nord perché, secondo loro, lì avranno vita migliore. D’altra parte nel Cilento c’è una fobia rispetto a Napoli, per cui quasi nessuno viene a Napoli. Ci sono dei luoghi comuni.

 

Quali, ad esempio?

 

Ad esempio che a Napoli ti scippano, ti rubano, a Napoli ti stuprano. Napoli è vista come la feccia dell’Italia. I genitori non sono molto propensi a mandare i figli a studiare a Napoli. Io cerco vanamente di sfatare questo mito dicendo Napoli è bella, non succede niente, sono solo i loro pregiudizi che vi impediscono di venire a Napoli.

 

Secondo te perché Napoli è bella?

 

Perché mi fa sentire a casa. Io non mi sento a casa da nessuna parte, ma quando sto a Napoli mi sento quasi in pace con l’universo. Sono una persona molto inquieta, e però passeggiando per Napoli, mi sembra di passeggiare per i miei vicoli. E poi non devo per forza avere un certo status sociale per potermi sentire adatta alla città. Mi sento adatta in ogni occasione, a Napoli. Questo non mi capita a Salerno, non mi capita a Vallo della Lucania, non mi capita da nessuna altra parte.

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Perché, ad esempio, Salerno come è? È una società più rigida nelle sue differenze sociali?

 

Salerno è una città molto provinciale, molto più stratificata nelle sue differenze, e soprattutto non c’è quell’abbraccio della città, che sento ogni volta che ad esempio, a Napoli, quando arrivo a Piazza Nicola Amore. Salerno è troppo statica, sembra quasi una cittadina del Nord, se non avesse il mare, penserei fosse Modena.

 

Invece, a proposito di Modena, quanti sono gli emigrati dal Sud a Modena?

 

Tantissimi, però spesso per integrarsi con la società molto rigida dell’Emilia Romagna, tendono ad unificarsi a loro, ad abbandonare la propria lingua d’origine, il dialetto, e ad emulare la parlata modenese. Quello che io non ho mai fatto. Credo lo facciano per sentirsi accettati, e non essere messi da parte

 

Quanto alle stratificazioni sociali, invece, come è la situazione lì a Modena. Si avvertono le differenze?

 

Non si avvertono tanto le differenze. Ovviamente, a scuola, tra i ragazzi c’è sempre chi tiene a farti sapere che indossa mutande da sessanta/settanta euro che tu, invece, non hai. Tutti sono propensi a fare buon viso a cattivo gioco; nelle assemblee d’istituto, a scuola, si dice che bisogna accogliere in modo migliore gli immigrati, si fanno discorsi di giustizia, si scagliano contro le multinazionali, e poi nei fatti sono loro i primi ad indossare vestiti di Dolce e Gabbana, o le Hoogan ai piedi. Gente falsa, insomma.

 

Hai notato differenze rispetto al modo in cui si vive la famiglia nel Cilento rispetto a come si viva invece a Modena?

 

In particolare, rispetto, a Modena, non posso dirti molto perché ho avuto rapporti con pochi modenesi. In ogni modo, quello che ho potuto notare è che il 90% delle famiglie sono famiglie i cui genitori sono separati, e i figli vivono con la madre in assenza del padre. Quando i genitori rimangono insieme comunque il modello della famiglia è completamente differente. Non c’è la visione maschilista della famiglia, come, invece, in Cilento.  I padri a Modena hanno un ruolo diverso: portano anche loro i figli a scuola, si occupano della loro istruzione. Cosa che a me, ad esempio, non è mai capitata, forse anche per assenza di competenze da parte dei miei genitori. Io ho dovuto fare quasi sempre tutto da sola.

 

Perché a Sud dici c’è una visione più maschilista?

 

La donna, ad esempio, si deve occupare del focolaio domestico, anche se già lavora anche fuori. Se vuole istruirsi può istruirsi, ma arrivata a trent’anni, si deve sposare, altrimenti per tutti gli altri è una zitella.

 

A Modena, non è così?

 

No anzi, come diceva un mio professore a Roma, se single è un modo gentile per non dire zitelle, lì sono tante le donne che non hanno problemi a definirsi singles. A nord le donne adulte non sposate che ho conosciuto, sono tutte con le mesches bionde, superfirmate, che si sentono ancora delle ventenni attraenti, e a volte si mettono in competizione con le ventenni stesse. Cose assurde. Io non ho mai frequentato discoteche, però mi dicono che lì le trentenni usano andare in discoteca.

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Beh, le trentenni sono ancora giovani …

 

Sì, però… Ah, ecco un’altra cosa che ricordo bene del Nord Italia. Un mio ex compagno di classe si stupiva ogni volta del fatto che io sapessi cucinare, pulire, fare i dolci. Non voleva venire a casa mia perché credeva che noi del Sud fossimo sporchi, che le nostre case fossero disordinate. Ad esempio credeva che avessimo spazzatura che trasbordava fuori dal balcone. Appena entrato rimase stupito dell’ordine che trovò. Soprattutto poi mi chiese se io cucinassi, perché sua madre, non sapendo cucinare, gli faceva mangiare ogni sera la Pizza ristorante o i quattro Salti in padella. Io rimasi sconvolta. D’altra parte, invece, quando andai a pranzo da un’amica, sua madre ci propose una pizza che prese bell’e fatta dal congelatore. Io rimasi allibita ricordando mia madre, che quando decide di fare la pizza si alza la mattina presto, impasta il lievito madre, e aspetta che cresce. Una volta cresciuto, la fa rigonfiare e poi la mette dopo molte ore nel forno. Quindi per me vedere tutto in cucina, e quindi nella vita, tutto già pronto e preparato, senza bisogno di lavoro e preparazione, mi lasciò sconvolta.

 

Invece, per quella che è stata la tua esperienza, qual è la situazione della religione nel Cilento, o, se preferisci, in particolare, a Felitto?

 

A Felitto la religione è molto sentita, anche se, in verità, abbiamo un prete che è una persona… insomma un po’ particolare.

 

C’è una sola parrocchia?

 

Noi dividiamo il prete con un altro paese, per quanto abbiamo il più alto numero di chiese del Cilento. Abbiamo chiese, cappelle, ed altri luoghi di culto. Il santuario della Madonna di Costantinopoli, tra questi, è il più importante, anche se io sono in particolare legato a quello di San Vito Martire.

 

Perché dicevi è molto sentita?

 

In verità spesso è sentita da quelli che Nietzsche chiamava i tacchini di Dio. Queste persone se ne disinteressano tutto l’anno e poi si fanno vedere solo in occasione dei giorni più importanti e delle processioni. Nella processione di San Vito che è di dodici kilometri si fanno vedere, ma non dall’inizio. Figurati, s’avviano con molta calma e s’inseriscono all’altezza del Bar Italia quando ormai c’è poca strada da fare.

 

Ma queste di cui parli sono solo le persone più giovani, o anche quelle più adulte?

 

Tutti, anzi i giovani alcuni partecipano alla processione. Seguire le celebrazioni religiose per loro è come essere fedeli al proprio popolo. I giovani sulla trentina questo lo sentono. Tanto è vero che alla processione di San Vito, dove in effetti non viene quasi nessuno, ci ritroviamo sempre pochi di noi, parlo di me, Cremino, Matto, Petuoio, e o facciamo il veglione a San Vito. Ma la mattina alle 6.30 facciamo la processione e portiamo il santo e i pali fino al paese. Ed è un modo per sentirsi più vicini alle proprie origini, perpetuare una tradizione che credo senza di noi sarebbe morta. Gli anziani ci tengono, però, ormai, non riescono più a sostenere tutti questi kilometri in processione. Mi ricordo che da piccola la processione era piena di gente, adesso, in verità, siamo pochissimi.

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Ma invece a Modena credi ci sia un rapporto diverso con la religione?

 

Molto diverso, la religione viene vissuta dai giovani solo in occasione della comunione e della cresima.

 

È una società meno religiosa, meno legata a questi culti. Quindi è una società più laica?

 

È una società in cui tanti si dicono atei, senza alcun problema o alcuna vergogna. Infatti, a questo riguardo c’è anche una perdita  assurda di valori. E purtroppo…

 

Perché associ subito i valori a fede religiosa?

 

Perché a volte, è brutto da dirlo – io non sono la più grande delle religiose – però per la mia scala di valori che mi ha imposto la religione cattolica, io credo di aver evitato di fare molte sciocchezze. Avevo una sorta di senso di peccato insito in me, e questo mi ha tenuto a freno. Sembrerà assurdo, però il senso di peccato a volte ti salva dal fare errori madornali nella tua vita da cui potresti pentirti poi. Io a volte sono esagerata, avendo una visione peccaminosa un po’ di tutto.

 

Ma lo invidi o no questo modo di vivere al Nord, questa maggiore libertà rispetto agli scrupoli morali?

 

No, non lo invidio perché io non riesco ad essere come loro; spesso avrei voluto essere come loro, perché credevo che sarei stata più felice. Ma in effetti non ci riesco.

 

Avresti voluto essere come loro nel senso che li trovi più liberi?

 

Sì sono più liberi, ma in fin dei conti sono più infelici. La loro è una felicità apparente, perché non hanno nulla che riempie le loro vite. Sembrerà assurdo, però io credo che l’essere legati ad una patria, intesa come concetto astratto, spesso ci impedisce di finire nel baratro. Per esempio io dovunque andrò so che ho una casa dove tornare, un paese che per quanto mi sarà estraneo, sarà sempre il mio. Quando, ad esempio, sono stata ultimamente, di nuovo, in Emilia, ho avuto modo di constatare il dato per cui nell’ultimo anno nella sola città di Modena si sono suicidati 29 giovani. Ecco non voglio ora fare di tutta l’erba un fascio, però se questi giovani avessero avuto qualcosa altro a cui attaccarsi oltre l’effimero, probabilmente sarebbero rimasti vivi. Avrebbero avuto delle speranze. Tante volte anche io, infatti, mi sono trovata sul baratro della disperazione, ma sono riuscita a risalire pensando che avevo una casa dove tornare, avevo il mio paese, che in ogni caso rimaneva lì.

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Ma quanto credi che la situazione che mi descrivi sia legata anche alla fine di certi valori tradizionali, cioè, ad esempio, il fatto che lì a Modena si siano più velocemente estinti alcuni valori come quelli della religione o della famiglia, e che, una volta terminati, sia rimasto un certo vuoto che si cerca oggi di colmare con altre cose (che possono essere la droga, o anche solo lo svago, il divertimento)?

 

In realtà droga e alcool sono diffusissimi anche in Cilento, e credo il 90% dei giovani ne faccia uso.

 

Secondo te questo che senso ha, perché accade?

 

Nel Cilento accade perché credono di non avere alternative per divertirsi, quindi l’unico modo, secondo loro, per stare bene.

 

Un modo anche per superare la solitudine?

 

Io, in verità, non mi sento mai sola.

 

E gli altri?

 

In realtà credo che con l’avvento con i mezzi di comunicazione, la televisione, internet, etc, le persone si sentano molto molto più sole rispetto a prima. Forse guardando le altre società, e il mondo al di fuori, e instaurando dei confronti, la gente dei nostri paesi si sente ancora più sola degli altri. Però non hanno capito che i loro valori li porrebbero in un contatto più naturale con il mondo, darebbero loro almeno la possibilità d’un contatto panico con la natura. Ma loro questo non l’avvertono più come un valore, una possibilità. Lo avvertono più come un disagio. Si vergognano di quello che sono.

 

Dunque c’è una differenza fra prima e dopo anche nel paese?

 

Sì, sì io vedo i giovani, i “nativi digitali”, come direbbe qualcuno, che somigliano ai ragazzi di tutto il resto del mondo. C’è una grande omologazione di pensiero, di vestiario, tanto è vero che io mi sono stupita negli ultimi anni sentire i giovani non parlare neanche più una parola di dialetto. Eppure mica sono a Salerno, dove se parlano in dialetto non li capiscono! Quindi ci troviamo un rapporto generazionale un po’ buffo, gli anziani che non parlano neanche una parola di italiano e i giovani che.. pensa che a mia nonna, che è del ’43, un giorno chiesi per scherzo: Nonna ma tu sai chi è Jim Morrison? Ero infatti fissata con Jim Morrison. Lei mi rispose in dialetto: Io nell’anne sessanta ievo a coiere le frasche inta a terrra, me camminavo n’coppa a lo ciucciareddu… Insomma c’è stato negli ultimi anni uno stravolgimento di tutto quello che c’era.

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Sì e questo anche per via delle nuove possibilità delle comunicazioni, più facili, più veloci…

 

Questo è un distacco generazionale ampio perché gli anziani vengono totalmente ignorati. Ai ragazzi non interessa più stare a contatto con loro.

 

Non interessa più parlare con loro?

 

No, ai ragazzi per lo più non interessa. A me sì, io ho un rapporto ancora molto stretto con mia nonna paterna e con i due materni, per me tutti loro sono fonte di ispirazione. Ma gli altri ormai se ne sono distanziati, perché non si capiscono, hanno scale di valori totalmente opposte fra di loro.

 

Intendi anche schemi mentali diversi?

 

Sì, nel senso, le nonne del Cilento sono sempre le stesse. La loro vita è ancora legata ai ritmi contadini, così come sono sempre gli stessi i consigli che danno alle giovani.

 

Credi che ci sia tra i giovani e gli anziani uno scarto anche rispetto al modo in cui intendono il matrimonio e la sessualità?

 

Certo, c’è un libertinismo fra i giovani molto accentuato anche nel Cilento. In verità anche tra gli adulti si sta diffondendo. Ci sono delle storie al mio paese che sono peggio di Beautiful, non credere.

 

Quindi però si avverte uno scarto fra come si viveva trenta, quaranta anni fa ed adesso?

 

Ma certo, prima…

 

...c’erano dei tabù maggiori, delle norme e dei vincoli più netti?

 

Parlare del sesso, ad esempio, rappresenta almeno per me tutt’oggi un tabù, ma più in generale il sesso è vissuto con molta libertà. Io personalmente non riesco a viverlo così, perché come dicevo anche prima, in me c’è ancora un forte vincolo morale, legato ad un senso di peccato. Per cui spesso evito proprio certe situazioni onde evitare di sentirmene poi in colpa. Sono fatta così.

 

Invece, i più adulti come vedono il comportamento dei giovani di oggi?

 

Come direbbe mio nonno, li reputano scrianzati, senza creanza, vergogna. Perché non rispettano più agli anziani. Io, ad esempio, sono ancora portata a dare del lei o del voi agli anziani che incontro, ma non solo agli anziani, anche alle persone semplicemente un po’ più grandi di me. Ormai ci sono dei ragazzini totalmente scostumati che si rivolgono agli anziani riempiendoli di bestemmie e parolacce.

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E cinquanta anni fa niente di tutto questo sarebbe potuto accadere?

 

No, non credo proprio. Io parlo molto con mio nonno, e mio nonno mi ha sempre detto che loro non si sarebbero mai permessi di contraddire qualsiasi altra persona più grande di loro. C’èra un diverso rispetto per l’altro, e, in particolare, per una persona anziana. L’anziano, alla fine, era la memoria storica della paese; in una pese in cui il 90% era analfabeta, immagina tu quanta influenza dovesse avere la tradizione orale!

 

E quindi tu pensi che questo nuovo modo di comportarsi sia dannoso, negativo?

 

Certo che lo penso, sarò retrograda ma credo questo…

 

Non è positivo che però sono venute meno delle gerarchie, ad esempio?

 

Ma non è vero che siano venute meno le gerarchie. Facciamo tanto i moderni, ma i maschi cilentani rimangono i soliti ottusi e i soliti maschilisti.

 

Tu dici, quindi, che le strutture reali sono rimaste comunque quelle di sempre, però all’esterno si esprime una mancanza di rispetto per le forme.

 

Sì, direi così, c’è una sorta di perpetuo feudalesimo. C’è il rispetto per le autorità paesane, rispetto estremo per il sindaco, il medico, l’avvocato. È come se ancora oggi i contadini subissero quel legame…

 

Un legame di sudditanza?

 

Sì un legame di sudditanza rispetto a chi ha istruzione, a differenza loro. Sarebbero capaci di farsi mettere i piedi in testa pur sapendo che si stanno approfittando di loro. Io i miei più grandi scontri li ho avuti, infatti, con mio zio. Ebbi, infatti, in quell’occasione una polemica giornalistica con Cirielli, che è il presidente della provincia di Salerno, poiché contrastai la sua proposta di creare una nuova regione, la Silenia Terranova, che andava contro anche la Costituzione (dal momento che era stato già modificato allora il comma 2 dell’articolo 132). Quando mio zio seppe che scrissi questi articoli, mi disse che avrei dovuto farmi i fatti miei perché avevo di fronte una persona laureata e che aveva una carica politica più alta della mia; poi, d’altra parte, mi sarebbe sempre stato utile un appoggio in futuro. Avrei dovuto pensare piuttosto a salvaguardare la mia famiglia. D’altra parte, quando, a 19 anni, mi candidai al consiglio comunale del mio paese, lo stesso mio zio mi venne a dire : «Io ti chiudo dentro casa e non ti faccio andare a firmare la lista civica», solo per la paura che potessero venirgli meno i favori che scaturivano dal dare lui il proprio voto a questo o a quello. Tali privilegi e favori promessi dai nostri amministratori locali, in verità, poi non sono altro che diritti di ogni cittadini, come avere l’acqua in casa o un lampione in più nella campagna. Mia nonna, per esempio, ancora ha delle uova sempre pronte  in casa a dare a chi d’importante si trovi a passare, un professore, o un medico, ad esempio…

 

Quindi c’è ancora una certa autorità della cultura?

 

Sì ancora c’è. Anche se personalmente, all’interno della mia famiglia, mi sono sempre rivoltata contro queste pratiche.

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Un’ultima domanda: abbiamo parlato molto dei tuoi paesi, del tuo paese di origine, al quale ti senti appartenente, e quello che, invece, hai conosciuto, Modena. Ma al di là di queste micro appartenenze, come vivi il tuo rapporto con l’Italia in quanto tale, cioè con la nazione che li comprende entrambi questi paesi. Tu ti senti di appartenere all’Italia, senti che tutto quello che accade in Italia in fondo riguarda anche te, o no?

 

Se devo dire di me, personalmente non mi sento molto italiana.

 

Perché? Spiegami meglio.

 

Perché finché l’Italia non riconoscerà i torti che sono stati fatti durante l’Unità d’Italia alla mia popolazione, io non potrò sentirmi pienamente italiana. Perché Napolitano, che, durante le celebrazioni per il cento cinquantenario, non ha speso una parola per i morti del nostro Risorgimento, per tutti i briganti, morti sulle montagne per difendere la loro terra, non rende affatto giustizia alla storia. Né ha speso una frase sul fatto che i piemontesi avessero dei veri e propri lager, come quello a Fenestrelle, di cui ormai lo sappiamo tutti. Perché i nostri morti devono contare meno degli altri?

 

Dici che ancora ci sono delle zone oscure in quella storia?

 

Senz’altro, ma io non sono un’antiunitarista, sono un’antirisorgimentalista. Il risorgimento andava fatto, ma non certo nel modo in cui alla fine è andata. La storia oggi ancora è troppo filo piemontese, a centocinquanta anni di distanza. Vengono riconosciuti come eroi personaggi che eroi non lo sono stati; ad esempio, un personaggio come Ciardini…

 

Tu l’hai visto il recente film di Martone, Noi credevamo?

 

Sì, ma non mi è piaciuto, parla troppo di questo spirito risorgimentale dei tre fratelli protagonisti…

 

Però il film esprime anche una critica rispetto al modo in cui andò quel processo...

 

Sì esprime anche una critica e me ne sono accorta quando in una scena finale un protagonista abbandona il parlamento in segno di protesta, e quella è, in effetti, l’unica parte che mi è piaciuta. In realtà, ad esempio, io condivido molto lo spirito di un Mazzini, però il problema è che l’Italia non andava fatta con la piemontizzazione del resto della nazione…

 

MARZO 2012

 

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