INATTUALI CONSIDERAZIONI SULLO STATO DELLE SCIENZE
Alessandro D’Aloia
intervista Roberto Germano
«giungo ad esperienze così inattuali su di me come figlio del tempo
presente […] operare in esso in guisa
inattuale – vale a
dire contro il tempo e, in questo modo sul tempo e, speriamolo, a favore
di un tempo a venire»
(Considerazioni Inattuali
II:
Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Friedrich
Nietzsche)
Vorrei, approfittando delle tue competenze, porti
alcune domande di senso circa lo stato della scienza oggi a partire da
un episodio che qualche mese fa ha suscitato un po’ di clamore, anche al
di fuori dell’ambiente degli “addetti ai lavori”. Si tratta della
strepitosa notizia, con successiva semi-smentita, relativa ai neutrini
più veloci della luce. Al di là del fatto in sé, sul quale si potrebbe
probabilmente discettare lungamente, la sensazione è che nel più
generale quadro epistemologico dominante troppe cose tendano a darsi per
scontate senza però esserlo.
Eh
sì, per dirla in forma ironica, andrebbe fondato il
CICAN! Cioè il
Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni Normali… Infatti,
nella scienza, per definizione, i problemi aperti sono più di quelli
“risolti”, ossia quelli “risolti” lo sono in maniera parziale o comunque
approssimativa.
Ci fornisci qualche semplice esempio?
Certo! Tutti sanno cos’è un vetro: un liquido ad altissima viscosità.
Questo basta a chiarirne completamente la natura? Ovviamente no. Ad
esempio è un fatto sperimentale che un vetro che è geometricamente
disordinato (come un liquido!), a partire da una certa temperatura in
giù, ha un’entropia inferiore (cioè ha maggiore ordine!!) del
corrispondente cristallo che è invece perfettamente ordinato
geometricamente (Paradosso di Kauzmann).
Un altro esempio un po’ meno “fisico”?
Perché, pur essendo il DNA del bruco uguale a quello della farfalla, in
cui esso si trasforma, essi sono così profondamente diversi, tanto che
un bambino quasi non ci crede quando per la prima volta gli viene
mostrato che si tratta di un organismo che si trasforma in un altro?!
Oppure: come fa una medusa, che è costituita di acqua più pura di quella
del mare in cui è immersa, a mantenersi stabile in esso senza
dissolversi?
Qual è la vera origine del magnetismo?
Come mai si scioglie il sale nell’acqua della pasta, visto che il legame
tra le molecole di Sodio e Cloro che lo compongono ha un’energia che
richiederebbe una temperatura di decine di migliaia di gradi centigradi
per dissociarle?
Intendiamoci, non è che non ci siano tentativi che ritengono di aver già
risposto a tali domande, solo che spesso si tratta appunto soltanto di
tentativi evidentemente non ben riusciti. Per questo la scienza si
evolve.
Anche l’errore ha una sua economia nel processo di
conoscenza. Questo insieme di questioni irrisolte, su argomenti anche
molto vicini all’esperienza quotidiana, come il sale che si scioglie
nell’acqua mentre non potrebbe, e gli altri esempi che fai, rivelano
però una problematicità della realtà fisica che sembra in contraddizione
con la pretesa, da parte del mondo scientifico, di essere invece
riuscito ad incasellare ogni fenomeno al proprio posto in un modello
interpretativo tanto consolidato quanto incapace di farsi comprendere
all’esterno dei circuiti chiusi degli specialisti. Simmetrico, a questa
incomprensibilità della scienza, sembra essere il sensazionalismo
massmediatico che, come nel caso della vicenda dei neutrini, mentre cela
il fatto che nessuno capisce davvero di cosa si stia parlando, in realtà
contribuisce a rafforzare il processo di metafisicizzazione della
conoscenza, funzionale alla sempre maggiore divergenza fra scienza ed
esperienza.
In
effetti hai colto nel segno quello che è uno dei principali problemi per
cui combatto in prima linea ormai da quasi 20 anni. Per questo fondammo
nel 1997 l’Associazione Culturale Interdisciplinare
Altanur Infatti, il nome
dell’associazione trae origine dal termine arabo al-tannur (il forno),
che nel Medioevo diviene athanor,
il recipiente in cui l’alchimista realizza le trasmutazioni.
Altanur rappresenta,
dunque, il forno in cui ci proponiamo di realizzare le moderne
trasmutazioni: quelle della Cultura. Nei suoi primi 10 anni di vita
avevamo dato luogo già a più di 150 eventi culturali divulgativi, in
special modo a Napoli e dintorni, e senza un solo euro di finanziamento
pubblico! Poi nel decennale (2007), abbiamo cominciato ad organizzare
ogni anno un singolo evento più grande che si dipana nel corso dell’anno
in più luoghi, e con una triade di concetti che fanno da
fil rouge, e che cambiano di anno in anno: Le Connessioni Inattese[1].
Nel
2011 i tre concetti proposti sono stati “la Frontiera, l'Ignoto,
l'Eresia”, nel 2010 “l’Uomo, il Tempo, la Natura”, nel 2009 “la Vita, la
Forma, la Relazione”, nel 2008 “la Storia, la Scienza, la Propaganda” e
nel 2007 “il Mito, il Sogno, la Realtà”. Il nome “Le Connessioni
Inattese” trae spunto da un pensiero di Jules Henri Poincaré
–
matematico e filosofo della scienza (1854-1921)
– nella sua opera
epistemologica “Science et méthode” (1908) che noi troviamo
particolarmente aderente ai nostri obiettivi:
Via via che la scienza si sviluppa, diventa sempre più difficile averne una
visione complessiva; si cerca allora di dividerla in tanti pezzi e di
accontentarsi di un pezzo solo; in una parola ci si specializza.
Continuare in questa direzione sarebbe di grave ostacolo ai progressi
della scienza. Lo abbiamo detto: sono le connessioni inattese fra
diversi domini scientifici che rendono possibili tali progressi
Poincaré lo affermava con forza già più di 100 anni fa!
Questo spezzettamento del sapere oltre che ostacolare
le “connessioni inattese” sembra piuttosto votato ad indurre
“connessioni obbligate”, nel senso che pare proprio non ammettere
connessioni “non conformi”, ad esempio, a quello che si può considerare
come il modello affermato, e perciò dominante, di spiegazione della
realtà. Prendiamo l’esempio della nota teoria del Big Bang. Qualche
tempo fa, ho letto il bel libro di Eric J. Lerner
Il Big Bang non c’è mai stato,
in cui a partire da un’altra interpretazione del
redshift, alternativa a quella
prevalente, che la vede come la prova dell’espansione dell’universo,
veniva smontata punto per punto l’intera teoria, che pare essere alla
base di tutta una serie di concetti creati ad hoc, come ad esempio la
materia oscura, per far tornare complessi calcoli energetici che
altrimenti non tornerebbero per niente, e per giustificare una visione
dell’universo che implica come necessità l’esistenza di una sua
origine puntuale (nello spazio e nel tempo) e dunque di una genesi
sostanzialmente metafisica (divina). Ora al di là della questione in sé,
il merito di quel libro è proprio quello di insistere sul metodo
scientifico e di denunciare con forza che all’interno della scienza si
sta affermando un modo di procedere che di scientifico ha ben poco,
facendo discendere le “prove” dalla teoria, invece che teorizzare in
base alle prove.
Il
processo di creazione scientifica ha una fondamentale componente
artistica, e quindi non c’è mai una pura e semplice deduzione, né della
teoria dagli esperimenti, né degli esperimenti dalla teoria. Diciamo che
è tutto meravigliosamente “intricato” e che l’intuizione e la creatività
umana con vari mezzi riescono a far via via un po’ di luce. L’errore
umano
– più tipico dei non-creativi
– è di fare come nella storiella
dell’ubriaco che cerca le chiavi di casa, ma non le trova...
E perché non le trova?
Perché le cerca sotto il lampione, visto che tutto intorno è buio… E in
effetti non è affatto una cattiva idea. Ma, il problema è che gli sono
cadute dall’altra parte della strada!! Però lì non c’è luce…
Tornando alla tua domanda specifica, devo riferirti ciò che disse nelle
sale dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, a Napoli nel 2001,
il grande astrofisico osservativo Halton Arp, nell’ambito della prima
edizione del Convegno Internazionale “Scienza & Democrazia”, svoltosi
appunto a Palazzo Serra di Cassano, sede storica dell’Istituto. Halton
Harp esordì con questo pesantissimo atto d’accusa[2]:
Cinquant’anni fa, era difficile evitare di trovarsi a
discutere animatamente se scienza e religione fossero compatibili. Oggi,
questo è un argomento morto. Come scienziato assumevo semplicemente che
la gente era arrivata a capire che la scienza è ciò che funziona e che
la religione era basata su miti e congetture. Ma ora una stupefacente
presa di coscienza ha cominciato a farsi strada in me – la religione ha
prevalso! La scienza è diventata una religione! […]
Il punto […] è che sebbene la religione possa aver preso in
prestito un po’ del gergo della scienza, la scienza, cosa più
importante, ha adottato i metodi della religione. Questo è il peggio che
poteva accadere a entrambe.
Da giovane
studente di Fisica, mi sarei davvero meravigliato di ascoltare tali
parole da un astrofisico così famoso; ma, in effetti, nel 2001, quando
ebbi modo di ascoltarle dalla voce di Halton Arp[3], la mia pur breve esperienza me le fece
apparire, purtroppo, non più così assurde. Avevo, infatti, già avuto
modo di vivere e approfondire la “moderna storia d’inquisizione e
d’alchimia” rappresentata dal dipanarsi della ricerca sperimentale e
teorica
– resa oltremodo difficoltosa dai pregiudizi e dalle
ridicolizzazioni
– della cosiddetta Fusione Fredda, ovvero delle
reazioni nucleari a debole energia che avvengono nella materia
condensata in condizioni non previste dai modelli allora noti in fisica
nucleare.
Come mai Halton Arp è così netto e quasi estremista
nelle sue accuse alla scienza così come si manifesta alla fine del XX
secolo (e, direi, all’inizio del XXI)?
Basta capire cosa
avvenne ad Halton Arp quando iniziò a mostrare ad altri astrofisici
alcune sue osservazioni “anomale” rispetto alla corrente interpretazione
del cosiddetto “red shift” (spostamento verso il rosso) connessa alla
teoria del Big Bang e dell’espansione dell’Universo.
Divenne improvvisamente
e stabilmente un “eretico”, ossia un collega da non invitare più ai
Convegni…
Eppure,
dovrebbe essere vero esattamente il contrario: sono le osservazioni che,
quando non collimano con la teoria in corso, la rendono in qualche modo
“anomala” e quindi pronta ad essere sostituita da una teoria che possa
essere più aderente alla massa di nuove osservazioni effettuate.
Certo! E naturalmente tutti quelli che si occupano di scienza sono
pronti a giurare che è così. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il
mare, e siamo invece arrivati al punto che per non porre in
dubbio la teoria del Big Bang e dell’espansione dell’Universo, si debba
ricorrere – come tu hai giustamente ricordato – ad un 90% di ipotetica
materia dell’Universo, ossia una non meglio definita “materia oscura”
(ben diversa dal mare di energia di punto zero, si badi bene)
sostanzialmente inosservabile…
Anche i colleghi di Galileo si rifiutarono di guardare
nel cannocchiale.
Certo!! E nel
1600 padre Clavio (il gesuita Cristoforo Klau)
– professore di
matematica al Collegio Romano
– per poter continuare a sostenere la
perfezione sferica della Luna, contrapponendosi alle osservazioni
sperimentali di Galileo, arrivò a sostenere che
Cioè due più due può fare quanto ci pare, invece che
quattro, aggiungendo unità “invisibili” (materia oscura) a piacimento…
Ma come mai nessuno osa mettere in dubbio la corrente interpretazione
del red shift?
Il
discorso è complesso, ed io non sono un astrofisico, però può essere utile
ricordare qui, che a differenza di ciò che affermano frettolosamente
certi libri di divulgazione, lo stesso astronomo Edwin Hubble non era
affatto così convinto che le sue osservazioni del “red shift” fossero un
“effetto Doppler” della luce e che significassero che l’Universo si
stava espandendo, anzi, diceva:
se gli
spostamenti verso il rosso non sono un effetto Doppler, queste anomalie
spariscono e la regione osservata appare come una piccola, omogenea, ma
insignificante porzione dell’universo esteso indefinitamente sia nello
spazio che nel tempo.[4]
Dunque l’angoscia dell’insignificanza cosmica (o
statistica) dell’uomo e la ricerca, soprattutto, di una rappresentazione
consolatoria, ci fanno vedere quel che vogliamo vedere piuttosto che
guardare quello che in effetti si vede (paura di guardare nel buio come
l’ubriacone che ha perso le chiavi), al punto che l’indagine scientifica
accetta di diventare dogmatica. Se questo è il paradigma vincente non
posso che apprezzare ancor più la tensione antidogmatica e la vigorosa
polemica sul metodo scientifico che ho ritrovato nei tuoi libri sulla
fusione fredda e sull’acqua, oltre al merito degli argomenti trattati,
che ho avuto modo di leggere e trovato davvero imprescindibili.
Ti
ringrazio. Si tratta di due saggi divulgativi, ma ricchi di bibliografia
specialistica, che ho scritto col cuore, anche se a sera tarda e nei
week end, a causa degli impegni lavorativi quotidiani. Ciò ti fa capire
la necessità che sentivo nello scriverli, anche se poi mi hanno dato un
divertimento unico nel farlo…
Devo dire che l’editore Bibliopolis, nella persona di Francesco Del
Franco, ha avuto un coraggio unico nel pubblicarli, considerato quanto
fossero incredibilmente controversi tali argomenti al momento della loro
pubblicazione (cioè, rispettivamente, 12 e 6 anni fa); ormai, invece, si
pubblica con meno ostracismi, e premi Nobel, come Luc Montagnier, stanno
seguendo tali filoni di ricerca con risultati eclatanti.
Come diceva il grande William James:
When a thing was new people said, “It is not true.” Later, when its truth
became obvious, people said, “Anyway, it is not important,” and when its
importance could not be denied, people said, “Anyway, it is not new.”
MARZO 2012
*CEO
di PROMETE Srl, CNR Spin off Company
Bibliografia
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Fusione Fredda. Moderna storia d’Inquisizione e d’Alchimia,
Bibliopolis, Napoli 2000, 2003
- R. Germano,
Aqua.
L’acqua elettromagnetica e le sue mirabolanti avventure, Bibliopolis, Napoli 2006
[2]
Halton Arp, Che ne è della
Scienza?, in Scienza e
Democrazia, a cura di Marco Mamone Capria, Liguori, Napoli
2003.
[3]
Halton Arp, Quasars,
Redshifts and Controversies, Interstellar Media (1987);
H.Arp, Seeing Red: Redshifts, Cosmology and Academic Science, Apeiron
(1998).
[4]
«[…] if redshifts are not Doppler effect,
these anomalies disappear and the region observed appears as a
small, homogeneous, but insignificant portion of a universe
extended indefinitely both in space and time».
E.Hubble,