La città dell'uomo
TAV[1]: CI SONO DUE MANIERE DI TRACCIARE UNA STRADA (…E UNA FERROVIA)
Sergio Ulgiati*
Sono un conquistatore venuto d’oltre oceano e il mio
governo mi ha assegnato in premio dei miei servizi la proprietà di una
vasta contrada. Ancora prima di prendere possesso del mio feudo, ho
deciso, dopo averlo esaminato sulla carta, di tracciarvi una strada.
Così comincia il breve saggio su ragione e democrazia scritto da Alberto
Moravia nel 1946[2].
Prosegue Moravia:
La contrada è divisa fittamente in poderi di varia
estensione, è traversata da un fiume e da numerosi corsi d’acqua minori,
è sparsa di cascinali e altre costruzioni. Qua e là per la contrada
sorgono chiese e cappelle dedicate a divinità locali. Inoltre vi si
trovano numerosi pozzi ai quali la gente va ad attingere acqua, frantoi
per spremere l’olio dalle ulive, mulini per macinarvi il grano, piccole
officine artigiane, un campo sportivo dove la domenica i ragazzi si
esercitano al pallone e altre simili sistemazioni di pubblica utilità.
La contrada è abitata da tempo immemorabile, e non pochi monumenti e
ruderi di grande antichità testimoniano il passaggio di altre civiltà e
altre conquiste.
Il conquistatore vuole lasciare il segno del suo passaggio e intravede nella
realizzazione della strada l’affermazione della modernità, della
razionalità e soprattutto del suo potere.
Perché voglio tracciare la strada? Perché sono un
proprietario nuovo e ho idee nuove. Perché sono convinto che quella
strada sarà di grande utilità agli abitanti e dunque anche a me stesso.
Perché penso che in generale le strade non possono non essere utili
qualunque sia il luogo che attraversano. Per mille motivi e per nessun
motivo. Io voglio tracciare la strada e basta.
Il conquistatore ha due modi davanti a sé: il primo è chiamare i suoi
tecnici e far disegnare il tracciato sulla carta, dritto, razionale,
senza curarsi degli ostacoli, abbattendo cascinali, cappelle, campi
sportivi, spianando colline e prosciugando paludi. Il secondo, invece,
potrebbe rispettare tutti questi segni della vita esistente e adattare
ad essi il tracciato della strada. Perché questo avvenga, bisognerebbe
vivere un po’ di tempo nella contrada, parlare con i suoi abitanti,
capirne ragioni, affetti e cultura. Ma, così facendo, ci vuole troppo
tempo e la strada non si farà mai… anzi forse si capirebbe che non c’è
bisogno di nessuna strada. Allora, si comincino i lavori, a dispetto
dell’opposizione e delle difficoltà. Ma la gente, ingrata, non è
d’accordo, si ribella contro gli operai che vogliono abbattere le loro
case, crea una sommossa quando viene demolita una antica cappella
miracolosa, prende a sassate i tecnici che vengono a ispezionare il
terreno; inoltre, la fretta e la stanchezza causano incidenti e ci sono
dei morti. Il conquistatore si infuria contro la gente e contro i propri
tecnici, convinto che ci sia una perversa volontà di boicottare la sua
opera. Gli ordini diventano più duri e il fine giustifica i mezzi.
Dove è possibile adoperare il denaro, si adoperi il denaro
e si corrompa e si comperi e si venda senza riguardi; dove è necessaria
la violenza fisica, si bastoni, si imprigioni, si torturi, si impicchi
senza scrupoli; dove infine è sufficiente l’inganno, si facciano tutte
le promesse possibili, si seducano gli animi con miraggi di ricchezze
future... Un terzo della popolazione viene corrotto, un terzo
sterminato, un terzo instupidito.
Finalmente la strada è completata, ma la contrada ha cambiato faccia, ed è
ora una landa deserta.
Eppure, sostiene
Moravia, si poteva fare altrimenti: recarsi nella contrada, parlare con
la popolazione, scoprirne bisogni, affetti, credenze. Forse così si
sarebbe scoperto che di questa strada nessuno sentiva la necessità, o
forse semplicemente la strada sarebbe stata realizzata in un modo
diverso, rispettando il territorio, l’ambiente, la cultura locali.
La potenza espressiva dello scritto di Moravia piacerebbe a Roberto Saviano,
Arundhati Roy, Noam Chomsky, strenui sostenitori del potere della parola
letteraria. Ma questa radicalità espressiva non è sfuggita alla gente
della Val di Susa, in lotta da 23 anni contro l’alta velocità
Torino-Lione: non di battaglia localistica si tratta dunque, ai tempi di
Moravia l’alta velocità non esisteva, ma di battaglia per la democrazia
e la qualità della vita, battaglia della gente comune contro i potentati
economici mascherati di modernità. E così, lo scritto di Moravia è
divenuto un pezzo teatrale, letto e declamato in Val di Susa ad opera di
un giovane attore locale, letteratura vivente, diffusa e potenziata
attraverso internet, inviata in Inglese a tutti i membri del Parlamento
Europeo.
La linea ferroviaria ad alta velocità Lione-Torino ha aperto nel nostro
paese più di una contraddizione, tagliando in maniera trasversale il
mondo politico, l’ambientalismo, la cultura scientifica e anche il mondo
degli affari, tutti divisi circa la necessità e l’utilità dell’opera.
Parlare contro un treno in un paese dominato dalla lobby delle auto e
degli autocarri non è facile. Non è che l’alta velocità sia un affare
solo italiano: se ne parla e si costruisce da anni anche altrove, dal
famoso Tgv francese ai
primi treni veloci in Cina, in California, in altre parti d’Europa. Non
c’è dubbio che si tratti di imprese costose e non c’è dubbio che ci sia
chi spinge verso questa modernità perché intravede affari d’oro in
vista. In Italia ci sono almeno tre fattori in più da prendere in
considerazione: il primo sintetizzato nel fatto che per qualche ragione
un chilometro di ferrovia veloce costa in Italia 4-5 volte di più che
altrove in Europa, come mi è stato fatto notare dalla parlamentare
austriaca Eva Lichtenberger, membro della commissione europea trasporti,
durante un dibattito al parlamento europeo di Strasburgo. Il secondo è
che da noi il partito del cemento controlla saldamente autostrade,
viadotti, ponti, gallerie, ferrovie e riesce a convincere gli
amministratori locali, regionali e nazionali che le grandi opere portano
sviluppo, lavoro, voti e soprattutto soldi. Su quest’ultimo punto
consiglio vivamente la lettura del bellissimo libro
La Colata di autori vari[3].
C’è infine un terzo aspetto nel fatto che da più di 23 anni ormai c’è
una opposizione popolare alla linea Torino-Lione nelle terre
attraversate dal progetto, in particolare nella Val di Susa. Questa
opposizione coinvolge vecchi e giovani (alcuni sono diventati vecchi
strada facendo), gente comune e istituzioni, e attraversa tutte le fasce
sociali, dal contadino all’imprenditore. Almeno la domanda del perché lo
facciano non può essere evitata, ma nessuno glielo chiede; è più facile
scagliare contro di loro la terribile invettiva
ninby! (Not In My Back-Yard,
non nel mio giardino) ed eccoli bollati di egoismo, localismo e odio per
la modernità.
Nel mese di febbraio, insieme ad altri colleghi, ho
promosso una lettera-appello al Presidente del Consiglio, Prof. Mario
Monti, firmata da 360 professori universitari, ricercatori e
professionisti[4].
L’appello chiedeva al Prof. Monti di riconsiderare la decisione (non
presa da lui) di portare avanti il Tav
Torino-Lione, in base a notevoli criticità economiche, energetiche,
ambientali e sociali che ci sembrava di aver chiaramente individuato ed
espresso. Purtroppo, nessuna risposta. Anzi, no. Una risposta c’è stata,
indirettamente. Sul sito del Governo[5]
è comparso un documento di Domande e Risposte in favore del
Tav.
Chiunque può accedere al sito e prenderne visione. I promotori
dell’appello, insieme ad altri colleghi, hanno deciso a questo punto di
rispondere pubblicamente anch’essi, pubblicando le proprie risposte alle
domande del Governo[6]
e inviandole al Governo stesso attraverso il Prefetto di Torino.
Chiunque sia interessato e molto paziente può rendersi conto
personalmente della differenza tra i due documenti. In sintesi: c’è già
una linea ferroviaria Torino-Lione, utilizzata per merci e passeggeri
molto al di sotto delle sue potenzialità; il traffico merci sulla
direttrice Italia-Francia sta diminuendo in maniera costante ogni anno,
anche molti autocarri viaggiano semivuoti; la costruzione di questa
linea veloce richiederà circa 8.5 miliardi di euro, se si deciderà di
limitarsi alla galleria di 57 km e poi tornare sulla linea storica,
oppure 24 miliardi di euro se si deciderà di completare l’intero
progetto, come logica ferroviaria vorrebbe; i costi energetici ed
ambientali della costruzione e dell’operatività sono di gran lunga più
elevati dei costi della linea esistente e anche dei costi del trasporto
nel sistema autostradale (che già sono elevati); l’impatto dello scavo
sarebbe enorme, sia per quanto riguarda il ciclo idrogeologico, che
verrebbe profondamente alterato, sia per quanto riguarda il materiale di
scavo
contaminato dai lubrificanti utilizzati e reso solubile dalla
frantumazione (17 milioni di tonnellate, da riutilizzare o smaltire in
luoghi ancora da identificare). Tra questi, 190.000 tonnellate di
materiale di scavo contenenti frazioni significative di uranio e
amianto. E infine, non si tratterebbe nemmeno di alta velocità, perché,
essendo il tracciato quasi interamente in galleria, la velocità massima
di esercizio sarà di 220 km/h, con tratti a 160 e 120 km/h, come risulta
dalla Valutazione Impatto Ambientale presentata dalle Ferrovie Italiane
per questa singola tratta. Per effetto di transiti di treni passeggeri e
merci, l’effettiva capacità della nuova linea ferroviaria Torino-Lione
sarebbe praticamente identica a quella della linea storica, che è
ampiamente sottoutilizzata nonostante il suo ammodernamento terminato un
anno fa, per il quale sono stati investiti da Italia e Francia circa 400
di milioni di euro,
per consentire il
trasporto di carri merci di dimensioni elevate. Questa linea ad alta
velocità non ci è stata imposta dall’Unione Europea, che infatti non ha
ancora deciso nemmeno se finanziarla in minima parte:
la Decisione n. 884/2004 della Commissione
Europea (ce) relativa ai
progetti Ten-T (Trans-European
Transport Network) stabilisce infatti che per
quanto riguarda il progetto prioritario n. 6 delle
Ten-T
(ossia la linea Lione-Trieste/Koper-Lubiana-Budapest-frontiera ucraina)
si investa su un asse ferroviario ordinario, diversamente da quanto
invece esplicitamente indicato nella stessa Decisione per gli assi
ferroviari prioritari ad alta velocità: asse n. 2
Parigi-Bruxelles-Amsterdam, Parigi - Londra; asse n. 3 dell’Europa
sud-occidentale (sulla direttrice Lisbona, Madrid, Bordeaux, Tours);
asse n. 4 est (sulla direttrice Parigi, Lussemburgo, Mannheim, Betuwe).
Molto altro si potrebbe aggiungere, ma toglierei al lettore il piacere
di fare le proprie scoperte confrontando i due documenti.
Vorrei invece tornare a discorsi più generali,
sul senso e sui fini, rispondendo ad alcune domande a mio parere
fondamentali.
La prima domanda riguarda la velocità. Quanto
è importante essere veloci? La maggiore velocità realmente migliora la
nostra vita? Per essere collegati all’Europa e alla sua economia è
necessario andare più veloci? Ci aiuta in questa riflessione il filosofo
Ivan Illich[7]:
Quando la velocità dei
propri veicoli passa una certa soglia, la gente diviene prigioniera
della spirale quotidiana che si chiude nel momento in cui va a dormire
[…]. In una società in cui il tempo è denaro, l’equità e la rapidità di
locomozione tendono a variare in proporzione inversa l’una all’altra
[…]. Nel momento in cui l’energia richiesta dall’utente supera una certa
soglia, il tempo per qualcuno assume un valore sempre maggiore mentre si
svaluta il tempo della maggioranza degli altri.
L’alta velocità collega poche località
“importanti”, ignorando completamente tutte le altre, ossia quelle che
interessano la vita della maggior parte della popolazione. Un numero
molto limitato di utenti beneficia di linee comode, pulite, puntuali e
veloci, pagate con le tasse di un elevato numero di cittadini che non
potranno mai permettersi di utilizzarle. E mentre il viaggiatore
Tav
usufruisce di sale d’aspetto dedicate, con servizio ristoro e internet
gratuiti, al viaggiatore pendolare resta l’uso di treni fatiscenti,
puliti raramente, sovraffollati e spesso in ritardo. Entrare in Europa,
frase quanto mai abusata di questi tempi, vuole davvero dire pochi treni
più veloci per una minoranza, oppure treni puliti, puntuali,
confortevoli e gestiti nel rispetto dei diritti dei viaggiatori? Quanti
di noi hanno assistito a scene incredibili di disagio da parte di
turisti stranieri travolti dalla disorganizzazione, dalla mancanza di
informazioni, dai ritardi o semplicemente maltrattati per non aver
timbrato il biglietto prima di salire a bordo?
Una seconda domanda riguarda i costi. Ha senso
spendere così tanto per costruire uno strumento utilizzato da una esigua
minoranza? Anche nella ipotesi minima di 8.5 miliardi di euro per 57 km
di galleria, emerge che un centimetro di
Tav
costerebbe circa 1.500 euro, ossia più dello stipendio netto mensile di
un ricercatore universitario o di un medico ospedaliero nei primi anni
della loro carriera, e molto di più di una borsa di dottorato di ricerca
(1.000 euro al mese) per un giovane laureato. Si entra in Europa con 57
km in più di galleria oppure finanziando adeguatamente la ricerca
scientifica, economica ed applicata, come fanno altri paesi europei?
Una terza domanda riguarda infine il processo
decisionale: chi ha deciso cosa? E come? Quando si tratta di opere che
coinvolgono la vita dei cittadini o di una specifica comunità,
come viene garantita la qualità dell’informazione scientifica su cui si
basano decisioni che possono avere importanti ricadute? La ricerca di
sostenibilità non si applica unicamente al patrimonio naturale che
lasciamo in eredità alle generazioni future, ma anche alle conquiste
economiche e alle istituzioni sociali della nostra società, per il
benessere dei cittadini, l’espressione democratica della loro volontà e
la risoluzione pacifica dei conflitti.
Invece, il pluridecennale processo decisionale che ha
condotto alla presente situazione ha semplicemente calato dall’alto il
progetto della nuova linea ferroviaria Torino-Lione senza che venissero
adeguatamente esposte e discusse le ragioni che potessero giustificare
la validità e razionalità della scelta.
Il Governo Italiano, dopo aver assunto nel Tavolo Politico
convocato a Palazzo Chigi l’impegno nel 2005 di derubricare l’opera
dalle procedure derivanti dalla legge Obiettivo così da garantire una
corretta informazione e partecipazione degli enti e delle popolazioni
locali, nel 2009 è tornato sui suoi passi ed ha nuovamente imposto
sull’opera la cosiddetta legge Obiettivo (L. 443/2001), estromettendo
dai procedimenti tutti gli enti locali, ad eccezione della sola Regione
Piemonte. Quindi nessun Comune interessato può intervenire in modo
sostanziale ed efficace nell’iter formale di definizione, valutazione e
approvazione dei progetti. In questo contesto, l’applicazione di misure
di sorveglianza di tipo militare dei cantieri
della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, in risposta all’oggettivo stato di ventennale
disagio manifestato dalla popolazione locale, è una anomalia
incomprensibile da rimuovere al più presto.
Un’ultima domanda riguarda le conseguenze
di questi grandi investimenti. La spesa per opere inutili danneggia
tutta l’economia della nazione. Gli investimenti per grandi opere non
giustificate da un’effettiva domanda, lungi dal creare occupazione e
crescita, sottraggono capitali e risorse all’innovazione tecnologica,
alla competitività delle piccole e medie imprese che sostengono il
tessuto economico nazionale, alla creazione di nuove opportunità
lavorative e alla diminuzione del carico fiscale. La domanda «siete
favorevoli al
Tav?» spesso rivolta ai
cittadini è mal posta e subdola. Chiunque, senza avere le dovute
informazioni, risponderebbe che è meglio arrivare a destinazione in
tempi brevi piuttosto che sottostare a ritardi e disagi infiniti. La
domanda dovrebbe più specificamente essere: preferite che si investano
25 miliardi di euro per il Tav Torino-Lione oppure per 71 mila nuovi posti di lavoro nella
ricerca e nella sanità (e altri settori) per dieci anni, o per edifici
scolastici migliori, ospedali dignitosi, o una rete ferroviaria più
confortevole e sicura? A questa domanda, la velocità del
Tav perderebbe molto della sua attrattiva.
In presenza di tutte queste problematiche e
domande senza risposta si rimane sgomenti. Non si tratta di battaglie
localistiche, ma di un processo di salvaguardia della vita e
dell’economia dell’intera nazione. Grandi opere inutili, simili al
Tav Torino-Lione, sono individuabili ovunque nel paese, e
l’elenco sarebbe lungo, facilitate dalla Legge Obiettivo e dagli
appetiti del partito del cemento. Un giorno saremo grati alla
popolazione della Val di Susa per aver raccolto e portato avanti queste
istanze a nome e per conto dell’intera popolazione italiana.
*Dipartimento di
Scienze per l’Ambiente, Università Parthenope di Napoli
APRILE 2012
[1]
Tav: Treno Alta
Velocità
[2]
Alberto Moravia, Ci sono due
maniere di tracciare una strada, saggio presente in:
L’uomo come fine,
1946.
Ristampa
Tascabili Bompiani n. 209, Milano 1963.
[3]
Ferruccio Sansa,
Andrea Garibaldi,
Antonio Massari,
Marco Preve,
Giuseppe Salvaggiulo,
La Colata.
Il partito del cemento che sta cancellando l'Italia e il
suo futuro. Edizioni Chiarelettere, Milano 2010.
[4]
Il documento, come pure gli altri citati nel seguito, sono disponibili sul
sito:
http://areeweb.polito.it/eventi/TAVSalute/, dedicato al Convegno
Tav Torino-Lione:
quali opportunità e criticità?
Politecnico di Torino, 26 Aprile 2012.
[5] Si veda nota precedente
[6]
Si veda nota precedente
[7]
Ivan Illich, Energia, velocità e
giustizia sociale. Le Monde, 5 giugno 1973. Feltrinelli
1974.