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07
Maggio 2012

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La città dell'uomo

TAV[1]: CI SONO DUE MANIERE DI TRACCIARE UNA STRADA (…E UNA FERROVIA)

Sergio Ulgiati*

 

Sono un conquistatore venuto d’oltre oceano e il mio governo mi ha assegnato in premio dei miei servizi la proprietà di una vasta contrada. Ancora prima di prendere possesso del mio feudo, ho deciso, dopo averlo esaminato sulla carta, di tracciarvi una strada.

 

Così comincia il breve saggio su ragione e democrazia scritto da Alberto Moravia nel 1946[2]. Prosegue Moravia:

 

La contrada è divisa fittamente in poderi di varia estensione, è traversata da un fiume e da numerosi corsi d’acqua minori, è sparsa di cascinali e altre costruzioni. Qua e là per la contrada sorgono chiese e cappelle dedicate a divinità locali. Inoltre vi si trovano numerosi pozzi ai quali la gente va ad attingere acqua, frantoi per spremere l’olio dalle ulive, mulini per macinarvi il grano, piccole officine artigiane, un campo sportivo dove la domenica i ragazzi si esercitano al pallone e altre simili sistemazioni di pubblica utilità. La contrada è abitata da tempo immemorabile, e non pochi monumenti e ruderi di grande antichità testimoniano il passaggio di altre civiltà e altre conquiste.

 

Il conquistatore vuole lasciare il segno del suo passaggio e intravede nella realizzazione della strada l’affermazione della modernità, della razionalità e soprattutto del suo potere.

 

Perché voglio tracciare la strada? Perché sono un proprietario nuovo e ho idee nuove. Perché sono convinto che quella strada sarà di grande utilità agli abitanti e dunque anche a me stesso. Perché penso che in generale le strade non possono non essere utili qualunque sia il luogo che attraversano. Per mille motivi e per nessun motivo. Io voglio tracciare la strada e basta.

 

Il conquistatore ha due modi davanti a sé: il primo è chiamare i suoi tecnici e far disegnare il tracciato sulla carta, dritto, razionale, senza curarsi degli ostacoli, abbattendo cascinali, cappelle, campi sportivi, spianando colline e prosciugando paludi. Il secondo, invece, potrebbe rispettare tutti questi segni della vita esistente e adattare ad essi il tracciato della strada. Perché questo avvenga, bisognerebbe vivere un po’ di tempo nella contrada, parlare con i suoi abitanti, capirne ragioni, affetti e cultura. Ma, così facendo, ci vuole troppo tempo e la strada non si farà mai… anzi forse si capirebbe che non c’è bisogno di nessuna strada. Allora, si comincino i lavori, a dispetto dell’opposizione e delle difficoltà. Ma la gente, ingrata, non è d’accordo, si ribella contro gli operai che vogliono abbattere le loro case, crea una sommossa quando viene demolita una antica cappella miracolosa, prende a sassate i tecnici che vengono a ispezionare il terreno; inoltre, la fretta e la stanchezza causano incidenti e ci sono dei morti. Il conquistatore si infuria contro la gente e contro i propri tecnici, convinto che ci sia una perversa volontà di boicottare la sua opera. Gli ordini diventano più duri e il fine giustifica i mezzi.

 

Dove è possibile adoperare il denaro, si adoperi il denaro e si corrompa e si comperi e si venda senza riguardi; dove è necessaria la violenza fisica, si bastoni, si imprigioni, si torturi, si impicchi senza scrupoli; dove infine è sufficiente l’inganno, si facciano tutte le promesse possibili, si seducano gli animi con miraggi di ricchezze future... Un terzo della popolazione viene corrotto, un terzo sterminato, un terzo instupidito.

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Finalmente la strada è completata, ma la contrada ha cambiato faccia, ed è ora una landa deserta. Eppure, sostiene Moravia, si poteva fare altrimenti: recarsi nella contrada, parlare con la popolazione, scoprirne bisogni, affetti, credenze. Forse così si sarebbe scoperto che di questa strada nessuno sentiva la necessità, o forse semplicemente la strada sarebbe stata realizzata in un modo diverso, rispettando il territorio, l’ambiente, la cultura locali.

La potenza espressiva dello scritto di Moravia piacerebbe a Roberto Saviano, Arundhati Roy, Noam Chomsky, strenui sostenitori del potere della parola letteraria. Ma questa radicalità espressiva non è sfuggita alla gente della Val di Susa, in lotta da 23 anni contro l’alta velocità Torino-Lione: non di battaglia localistica si tratta dunque, ai tempi di Moravia l’alta velocità non esisteva, ma di battaglia per la democrazia e la qualità della vita, battaglia della gente comune contro i potentati economici mascherati di modernità. E così, lo scritto di Moravia è divenuto un pezzo teatrale, letto e declamato in Val di Susa ad opera di un giovane attore locale, letteratura vivente, diffusa e potenziata attraverso internet, inviata in Inglese a tutti i membri del Parlamento Europeo.

La linea ferroviaria ad alta velocità Lione-Torino ha aperto nel nostro paese più di una contraddizione, tagliando in maniera trasversale il mondo politico, l’ambientalismo, la cultura scientifica e anche il mondo degli affari, tutti divisi circa la necessità e l’utilità dell’opera. Parlare contro un treno in un paese dominato dalla lobby delle auto e degli autocarri non è facile. Non è che l’alta velocità sia un affare solo italiano: se ne parla e si costruisce da anni anche altrove, dal famoso Tgv francese ai primi treni veloci in Cina, in California, in altre parti d’Europa. Non c’è dubbio che si tratti di imprese costose e non c’è dubbio che ci sia chi spinge verso questa modernità perché intravede affari d’oro in vista. In Italia ci sono almeno tre fattori in più da prendere in considerazione: il primo sintetizzato nel fatto che per qualche ragione un chilometro di ferrovia veloce costa in Italia 4-5 volte di più che altrove in Europa, come mi è stato fatto notare dalla parlamentare austriaca Eva Lichtenberger, membro della commissione europea trasporti, durante un dibattito al parlamento europeo di Strasburgo. Il secondo è che da noi il partito del cemento controlla saldamente autostrade, viadotti, ponti, gallerie, ferrovie e riesce a convincere gli amministratori locali, regionali e nazionali che le grandi opere portano sviluppo, lavoro, voti e soprattutto soldi. Su quest’ultimo punto consiglio vivamente la lettura del bellissimo libro La Colata di autori vari[3]. C’è infine un terzo aspetto nel fatto che da più di 23 anni ormai c’è una opposizione popolare alla linea Torino-Lione nelle terre attraversate dal progetto, in particolare nella Val di Susa. Questa opposizione coinvolge vecchi e giovani (alcuni sono diventati vecchi strada facendo), gente comune e istituzioni, e attraversa tutte le fasce sociali, dal contadino all’imprenditore. Almeno la domanda del perché lo facciano non può essere evitata, ma nessuno glielo chiede; è più facile scagliare contro di loro la terribile invettiva ninby! (Not In My Back-Yard, non nel mio giardino) ed eccoli bollati di egoismo, localismo e odio per la modernità.

Nel mese di febbraio, insieme ad altri colleghi, ho promosso una lettera-appello al Presidente del Consiglio, Prof. Mario Monti, firmata da 360 professori universitari, ricercatori e professionisti[4]. L’appello chiedeva al Prof. Monti di riconsiderare la decisione (non presa da lui) di portare avanti il Tav Torino-Lione, in base a notevoli criticità economiche, energetiche, ambientali e sociali che ci sembrava di aver chiaramente individuato ed espresso. Purtroppo, nessuna risposta. Anzi, no. Una risposta c’è stata, indirettamente. Sul sito del Governo[5] è comparso un documento di Domande e Risposte in favore del Tav. Chiunque può accedere al sito e prenderne visione. I promotori dell’appello, insieme ad altri colleghi, hanno deciso a questo punto di rispondere pubblicamente anch’essi, pubblicando le proprie risposte alle domande del Governo[6] e inviandole al Governo stesso attraverso il Prefetto di Torino. Chiunque sia interessato e molto paziente può rendersi conto personalmente della differenza tra i due documenti. In sintesi: c’è già una linea ferroviaria Torino-Lione, utilizzata per merci e passeggeri molto al di sotto delle sue potenzialità; il traffico merci sulla direttrice Italia-Francia sta diminuendo in maniera costante ogni anno, anche molti autocarri viaggiano semivuoti; la costruzione di questa linea veloce richiederà circa 8.5 miliardi di euro, se si deciderà di limitarsi alla galleria di 57 km e poi tornare sulla linea storica, oppure 24 miliardi di euro se si deciderà di completare l’intero progetto, come logica ferroviaria vorrebbe; i costi energetici ed ambientali della costruzione e dell’operatività sono di gran lunga più elevati dei costi della linea esistente e anche dei costi del trasporto nel sistema autostradale (che già sono elevati); l’impatto dello scavo sarebbe enorme, sia per quanto riguarda il ciclo idrogeologico, che verrebbe profondamente alterato, sia per quanto riguarda il materiale di scavo contaminato dai lubrificanti utilizzati e reso solubile dalla frantumazione (17 milioni di tonnellate, da riutilizzare o smaltire in luoghi ancora da identificare). Tra questi, 190.000 tonnellate di materiale di scavo contenenti frazioni significative di uranio e amianto. E infine, non si tratterebbe nemmeno di alta velocità, perché, essendo il tracciato quasi interamente in galleria, la velocità massima di esercizio sarà di 220 km/h, con tratti a 160 e 120 km/h, come risulta dalla Valutazione Impatto Ambientale presentata dalle Ferrovie Italiane per questa singola tratta. Per effetto di transiti di treni passeggeri e merci, l’effettiva capacità della nuova linea ferroviaria Torino-Lione sarebbe praticamente identica a quella della linea storica, che è ampiamente sottoutilizzata nonostante il suo ammodernamento terminato un anno fa, per il quale sono stati investiti da Italia e Francia circa 400 di milioni di euro, per consentire il trasporto di carri merci di dimensioni elevate. Questa linea ad alta velocità non ci è stata imposta dall’Unione Europea, che infatti non ha ancora deciso nemmeno se finanziarla in minima parte: la Decisione n. 884/2004 della Commissione Europea (ce) relativa ai progetti Ten-T (Trans-European Transport Network) stabilisce infatti che per quanto riguarda il progetto prioritario n. 6 delle Ten-T (ossia la linea Lione-Trieste/Koper-Lubiana-Budapest-frontiera ucraina) si investa su un asse ferroviario ordinario, diversamente da quanto invece esplicitamente indicato nella stessa Decisione per gli assi ferroviari prioritari ad alta velocità: asse n. 2 Parigi-Bruxelles-Amsterdam, Parigi - Londra; asse n. 3 dell’Europa sud-occidentale (sulla direttrice Lisbona, Madrid, Bordeaux, Tours); asse n. 4 est (sulla direttrice Parigi, Lussemburgo, Mannheim, Betuwe). Molto altro si potrebbe aggiungere, ma toglierei al lettore il piacere di fare le proprie scoperte confrontando i due documenti.

Vorrei invece tornare a discorsi più generali, sul senso e sui fini, rispondendo ad alcune domande a mio parere fondamentali.

La prima domanda riguarda la velocità. Quanto è importante essere veloci? La maggiore velocità realmente migliora la nostra vita? Per essere collegati all’Europa e alla sua economia è necessario andare più veloci? Ci aiuta in questa riflessione il filosofo Ivan Illich[7]:

 

Quando la velocità dei propri veicoli passa una certa soglia, la gente diviene prigioniera della spirale quotidiana che si chiude nel momento in cui va a dormire […]. In una società in cui il tempo è denaro, l’equità e la rapidità di locomozione tendono a variare in proporzione inversa l’una all’altra […]. Nel momento in cui l’energia richiesta dall’utente supera una certa soglia, il tempo per qualcuno assume un valore sempre maggiore mentre si svaluta il tempo della maggioranza degli altri.

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L’alta velocità collega poche località “importanti”, ignorando completamente tutte le altre, ossia quelle che interessano la vita della maggior parte della popolazione. Un numero molto limitato di utenti beneficia di linee comode, pulite, puntuali e veloci, pagate con le tasse di un elevato numero di cittadini che non potranno mai permettersi di utilizzarle. E mentre il viaggiatore Tav usufruisce di sale d’aspetto dedicate, con servizio ristoro e internet gratuiti, al viaggiatore pendolare resta l’uso di treni fatiscenti, puliti raramente, sovraffollati e spesso in ritardo. Entrare in Europa, frase quanto mai abusata di questi tempi, vuole davvero dire pochi treni più veloci per una minoranza, oppure treni puliti, puntuali, confortevoli e gestiti nel rispetto dei diritti dei viaggiatori? Quanti di noi hanno assistito a scene incredibili di disagio da parte di turisti stranieri travolti dalla disorganizzazione, dalla mancanza di informazioni, dai ritardi o semplicemente maltrattati per non aver timbrato il biglietto prima di salire a bordo?

Una seconda domanda riguarda i costi. Ha senso spendere così tanto per costruire uno strumento utilizzato da una esigua minoranza? Anche nella ipotesi minima di 8.5 miliardi di euro per 57 km di galleria, emerge che un centimetro di Tav costerebbe circa 1.500 euro, ossia più dello stipendio netto mensile di un ricercatore universitario o di un medico ospedaliero nei primi anni della loro carriera, e molto di più di una borsa di dottorato di ricerca (1.000 euro al mese) per un giovane laureato. Si entra in Europa con 57 km in più di galleria oppure finanziando adeguatamente la ricerca scientifica, economica ed applicata, come fanno altri paesi europei?

Una terza domanda riguarda infine il processo decisionale: chi ha deciso cosa? E come? Quando si tratta di opere che coinvolgono la vita dei cittadini o di una specifica comunità, come viene garantita la qualità dell’informazione scientifica su cui si basano decisioni che possono avere importanti ricadute? La ricerca di sostenibilità non si applica unicamente al patrimonio naturale che lasciamo in eredità alle generazioni future, ma anche alle conquiste economiche e alle istituzioni sociali della nostra società, per il benessere dei cittadini, l’espressione democratica della loro volontà e la risoluzione pacifica dei conflitti. Invece, il pluridecennale processo decisionale che ha condotto alla presente situazione ha semplicemente calato dall’alto il progetto della nuova linea ferroviaria Torino-Lione senza che venissero adeguatamente esposte e discusse le ragioni che potessero giustificare la validità e razionalità della scelta. Il Governo Italiano, dopo aver assunto nel Tavolo Politico convocato a Palazzo Chigi l’impegno nel 2005 di derubricare l’opera dalle procedure derivanti dalla legge Obiettivo così da garantire una corretta informazione e partecipazione degli enti e delle popolazioni locali, nel 2009 è tornato sui suoi passi ed ha nuovamente imposto sull’opera la cosiddetta legge Obiettivo (L. 443/2001), estromettendo dai procedimenti tutti gli enti locali, ad eccezione della sola Regione Piemonte. Quindi nessun Comune interessato può intervenire in modo sostanziale ed efficace nell’iter formale di definizione, valutazione e approvazione dei progetti. In questo contesto, l’applicazione di misure di sorveglianza di tipo militare dei cantieri della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, in risposta all’oggettivo stato di ventennale disagio manifestato dalla popolazione locale, è una anomalia incomprensibile da rimuovere al più presto.

Un’ultima domanda riguarda le conseguenze di questi grandi investimenti. La spesa per opere inutili danneggia tutta l’economia della nazione. Gli investimenti per grandi opere non giustificate da un’effettiva domanda, lungi dal creare occupazione e crescita, sottraggono capitali e risorse all’innovazione tecnologica, alla competitività delle piccole e medie imprese che sostengono il tessuto economico nazionale, alla creazione di nuove opportunità lavorative e alla diminuzione del carico fiscale. La domanda «siete favorevoli al Tav?» spesso rivolta ai cittadini è mal posta e subdola. Chiunque, senza avere le dovute informazioni, risponderebbe che è meglio arrivare a destinazione in tempi brevi piuttosto che sottostare a ritardi e disagi infiniti. La domanda dovrebbe più specificamente essere: preferite che si investano 25 miliardi di euro per il Tav Torino-Lione oppure per 71 mila nuovi posti di lavoro nella ricerca e nella sanità (e altri settori) per dieci anni, o per edifici scolastici migliori, ospedali dignitosi, o una rete ferroviaria più confortevole e sicura? A questa domanda, la velocità del Tav perderebbe molto della sua attrattiva.

In presenza di tutte queste problematiche e domande senza risposta si rimane sgomenti. Non si tratta di battaglie localistiche, ma di un processo di salvaguardia della vita e dell’economia dell’intera nazione. Grandi opere inutili, simili al Tav Torino-Lione, sono individuabili ovunque nel paese, e l’elenco sarebbe lungo, facilitate dalla Legge Obiettivo e dagli appetiti del partito del cemento. Un giorno saremo grati alla popolazione della Val di Susa per aver raccolto e portato avanti queste istanze a nome e per conto dell’intera popolazione italiana.

 

*Dipartimento di Scienze per l’Ambiente, Università Parthenope di Napoli

 

APRILE 2012

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[1] Tav: Treno Alta Velocità

[2] Alberto Moravia, Ci sono due maniere di tracciare una strada, saggio presente in: L’uomo come fine, 1946. Ristampa Tascabili Bompiani n. 209, Milano 1963.

[3] Ferruccio Sansa, Andrea Garibaldi, Antonio Massari, Marco Preve, Giuseppe Salvaggiulo, La Colata. Il partito del cemento che sta cancellando l'Italia e il suo futuro. Edizioni Chiarelettere, Milano 2010.

[4] Il documento, come pure gli altri citati nel seguito, sono disponibili sul sito: http://areeweb.polito.it/eventi/TAVSalute/, dedicato al Convegno Tav Torino-Lione: quali opportunità e criticità? Politecnico di Torino, 26 Aprile 2012.

[5] Si veda nota precedente.

[6] Si veda nota precedente.

[7] Ivan Illich, Energia, velocità e giustizia sociale. Le Monde, 5 giugno 1973. Feltrinelli 1974.