Esperienza e rappresentazione
BIOPOLITICA E FINE DELLA STORIA
Mariano Mazzullo
Il nesso tra a politica e la Storia è
visibile a tutti, persino nella vita di tutti i giorni lo diamo per
scontato. Se guardando un notiziario in Tv non sentiamo alcuna notizia
sulla politica, abbiamo come l`impressione che non sia successo niente.
Possiamo leggere sul giornale che 10 uomini sono caduti per mano di un
uomo semplicemente impazzito, senza che questo ci dia la minima
impressione del cambiamento. Certo un simile fatto non smette di
suscitarci sdegno e pietà, ma non ci suggerisce alcuna sensazione di
mutamento, evoluzione, storicità. Potremmo assistere ogni giorno, per
secoli e con estrema regolarità, al succedersi di eventi grandiosi,
terribili o impressionanti, senza per questo assistere al benché minimo
mutamento storico. La storicità di un fatto, ciò in virtù del quale esso
costituisce un evento, è legata piuttosto al suo contenuto ideologico o
etico-politico, al valore che rappresenta o a cui si oppone.
Se la mano di quell`uomo che compie un
assassinio viene armata, oltre che della sua follia, da un ideale, fosse
anche un ideale ripugnante, un solo uomo ferito per mano sua sarà stato
ferito per mano della storia. Al contrario del semplice succedersi di
fatti personali, di fronte ad un simile evento, motivato da una ragione
che trascende il movente del singolo, abbiamo l’impressione che si
concentri un cambiamento o la sua possibilità. Forse dacché l`uomo ha
preso coscienza della Storia siamo abituati, sebbene con troppa
facilità, ad identificare un certo periodo con i suoi scenari politici,
ed è forse in virtù di questa abitudine che le ere dell’uomo prive di
politica ci sono meno facilmente comprensibili. Ma se per politica si
intende il sistema organizzato delle forze politiche, la sua fratellanza
con la Storia non è niente di più di un’ipotesi storiografica. Se invece
col termine politica ci riferiamo alla più generale orbita delle
contrapposizioni di valori e credenze, è inevitabile riconoscere che
laddove venga meno questo terreno di “polarizzazioni”, viene
automaticamente meno anche la Storia. Se tutti andassimo d’accordo ci
sarebbe ancora una Storia in fieri? Non credo.
Chiediamoci allora: cos’hanno in comune
il regno del mutamento e quello delle “opposizioni”? Forse Hegel avrebbe
risposto: “la conciliazione”, o meglio: la mediazione degli opposti,
cioè la conservazione di quanto c’è di positivo e di produttivo in ogni
superamento. Ma al di là delle possibili interpretazioni, resta comunque
un dato di fatto che la Storia, sia essa regressiva o progressiva, è
legata al dialogo e all’opposizione tra diversi modi di intendere
l’uomo, anzi sembra proprio che essa si produca laddove si incontrano o
collidono diversi valori.
Poniamo che le cose stiano davvero così
e prendiamone atto. La prima conseguenza che intuitivamente cogliamo è
che la Storia possa avere dei vuoti, delle interruzioni o addirittura
una fine. Questa ipotesi estrema e apparentemente fantasiosa, è in
realtà diretta conseguenza di una lettura della Storia come tensione,
contrapposizione e scontro di valori, tutta rivolta al superamento, una
lettura che con un po’ di riduzionismo possiamo definire “politica”. Se
abbiamo citato Hegel, e altri ancora avremo bisogno di scomodare, non è
per fare un approfondimento di qualche tema forte, ma per leggere meglio
il nostro tempo, guardando di sguincio attraverso gli occhiali di
qualche saggio una situazione particolarmente carente di Storia e di
politica.
Se, a quanto pare, Storia e politica
sono legate a doppio filo, di conseguenza non può esserci Storia che non
veda due opposte visioni del mondo scontrarsi, e così generare idee e
valori che, con le loro consistenti differenze, riempiono i quadranti
degli orologi di un senso storico. Il senso del tempo, o
potremmo anche dire il suo contenuto storico, è perciò la ricerca
di un senso da parte di molteplici sensi, molteplici modi di intendere
la vita e la società umana. Il peso della Storia, dunque, vive solo se
posto al centro di questa bilancia, al centro di un intreccio di rette
divergenti, nel vortice di un movimento di continue differenziazioni e
trasformazioni della realtà, vortice che rappresenta la possibilità e il
baricentro della Storia.
Secondo la famosa massima hegeliana
l’uomo è un animale storico solo finché nega sé stesso, cioè si
oltrepassa, è quell`animale che per essere tale deve costantemente non
riconoscersi tale, come ebbe a dire il grande naturalista svedese
Linneo. Tirando un po` di somme: se la Storia è dialettica, la
dialettica, specie se la vita
activa dell`uomo è il suo argomento, è politica. È dunque la
politica a rappresentare quella continua diversione e fuga dalla morta
materia, dal semplice accidente naturale, verso una costante
trasformazione del presente in un avvenire?
È lampante, anche solo dando un’occhiata
al momento attuale, come investire di una così nobile autorità un
baronato preoccupato solo di mantenere i suoi privilegi, sia solo un
eccesso di teoria. Tuttavia in linea di principio le cose dovrebbero
stare proprio così: la politica dovrebbe cioè scandire la dialettica
storica. Ma dopo una così radicale presa di posizione occorre fare
almeno qualche precisazione.
Prima abbiamo definito en passant la
dialettica come sintesi del molteplice e del contrapposto, in realtà
nella Storia (come in ogni altro processo), riducendo tutto il discorso
ai suoi minimi termini logici, dialettica vuol dire scambio degli
opposti, capovolgimento delle posizioni. Hegel chiamò questa peculiarità
dialettica (della Storia) “riconoscimento” di sé nell`altro. Si tratta
perciò di un meccanismo che oppone di continuo, e in posti continuamente
invertiti - altrimenti non ci sarebbe alcun movimento ma solo uno
“spostamento” delle medesime posizioni – l’io e l’altro, identità e
alterità. Hegel per primo, ma ancor più e meglio di lui alcuni filosofi
e psicologici, come Bataille per esempio, hanno evidenziato come il
processo dialettico si realizzi, sì, in una relazione con l`altro uomo,
in un mondo e in una società, ma affinché sia davvero dialettico deve
sempre prodursi anche all’interno del singolo uomo. Un gioco di
mantenimento ed equilibrio, di scambio e riassestamento tra a sua
propria identità e l`alterità che gli appartiene. In questo quadro
possiamo concludere che la Storia è, sì, un mutamento esteriore, ma che
ha bensì come condizione una dialettica interiore, un costante
ristabilimento e riaffermazione dell’umanità dell’uomo. L’alterità
infatti non è che un in-umanità, è cioè parte dell’uomo, ma non gli
aderisce come un attributo, piuttosto convive con esso come parte
totalmente estranea e tuttavia implicata nella sua essenza. Nel caso
dell’uomo perciò la Storia, e dunque la dialettica, consiste nel
confronto con quella estraneità essenziale che è la parte animale di sé,
non nel reprimerla o rabbonirla - come vorrebbe un banale
progressismo/storicismo - ma nello scambio ed equilibrio con essa,
lasciandogli cioè lo spazio vitale che gli spetta. Michel Foucault, che a
lungo ha indagato le forme e i meccanismi del potere, afferma che è
nell’intensificazione del valore simbolico del corpo, del suo valore
tanto empirico quanto culturale che si incentiva una forma di
soggezione, di cui il soggetto è il principale artefice. Senza
dilungarci tropo sulle sottigliezze delle conclusioni di Foucault,
diciamo che egli conia il termine “biopolitica” per definire la gestione
del potere inaugurata nel ‘600 con la creazione dello Sto amministrativo
e dei suoi apparati burocratici; diciamo inoltre che la biopolitica è un
dispositivo di potere basato su meccanismi di soggezione psicologica il
cui principale focus consiste nel rapporto col corpo e in particolare
con la sessualità dell`individuo. Sorvolando sulle basi
storico-culturali che portano Foucault a sostenere questa teoria, egli
in sostanza vuole dirci che il potere nell’epoca attuale si basa su una
specie di interruzione, nel soggetto, della sua dialettica mente-corpo,
del suo quieto dualismo uomo-animale, un’estetizzazione del corpo, che
passa anche attraverso la banalizzazione e la volgarizzazione, ma che in
generale mantiene e irrigidisce un solo aspetto di quella dialettica che
fa dell’uomo un essere storico, che fa del mondo il luogo della Storia.
Ma veniamo al punto. L`ipotesi di una
fine della Storia, letta in questa chiave antropologica, non è poi così
fantascientifica e millenarista, Hegel per primo ne aveva riconosciuto
l’eventualità, molti altri la svilupparono accuratamente. Tra questi
innanzitutto Alexandre Kojeve, il quale vede chiaramente la fine della Storia
nella fine dell’umanità dell’uomo, nella sua sopravvivenza come essere
puramente biologico, privo cioè dello Spirito di auto-trasformazione.
Bataille, che criticò aspramente quest’idea intellettualista e
umanistica di Storia, ammetteva che se di fine si deve parlare, lo si
può fare solo in merito ad un’interruzione della dialettica interna
all’uomo prima che nel campo delle opposizioni sociali, ma si ribellava
all’idea kojeviana per cui un’umanità senza spirito ma ancora in
possesso di una parte della sua essenza, come il riso, il sesso, il
gioco, quella che il razionalismo hegelo-kojeviano liquida brevemente
come residuo biologico, dovesse rappresentare una forma di non-storia.
Bataille vede invece la fine della Storia nella diffusione di un’etica
borghese in cui il lavoro non trasforma né produce, ma semplicemente
garantisce la sussistenza, un’etica che fa il gioco del padrone nel
valore del consumo e del non-contatto con l`oggetto del lavoro,
bloccando così quella dialettica primitiva tra il servo e il padrone, in
cui Hegel aveva scorto l’origine della Storia, tutta fondata sul potere
trasformativo del lavoro. Il corpo, la concretezza della vita animale,
la parte meno spirituale dell’umanità, è perciò al centro dei meccanismi
di un potere indiretto, che non si vede e non si celebra mai, potere
politico e dialettico nelle cui mani si concentra la fluidità della
Storia, il suo svolgimento o la sua interruzione. È chiaro che nel
nostro mondo il corpo ha assunto il primato all’interno dell’essenza
dialettica dell’uomo, ma come possiamo focalizzare meglio alla luce di
quanto abbiamo visto, ciò non avviene solo per una preponderanza
passeggera, ma perché il nuovo esercizio del potere si incarna su di
esso, sulla sua esagerazione, causando quello stand-bye della Storia che
stiamo tutt’ora vivendo. I due fenomeni apparentemente incompatibili,
ossia l’assenza di Storia e il primato del corpo, sono in realtà
prodotti di uno stesso modello culturale del potere, una crisi tra il
corpo libero, baluardo di libertà ed intimità, e il potere politico.
Forse la corruzione morale della
politica, lo smercio e il ludibrio televisivo di prostitute, il primato
del sesso all’interno del primato della politica, è solo un gioco di
matriosche del biopotere.
FEBBRAIO 2012