Inchieste
CONVERSAZIONE CALABRA
a cura di Giulio Trapanese
Il testo che segue è il riporto di una
conversazione agostana intorno al tema del ruolo della famiglia, avuta
con Mariano Mazzullo, giovane intellettuale calabrese…
Giulio:
Caro Mariano, non voglio farti un’intervista vera e propria, facciamo
più una conversazione, tanto si tratta di una cosa improvvisata. Ecco,
quello che mi viene da chiederti riguarda la famiglia: secondo te che ne
sarà di questa nei prossimi decenni?
Mariano:
Credo che il destino della famiglia sia quello che è sempre stato, e
cioè quello di fungere da solida base per lo sviluppo della società.
Checché se ne dica, e per quanto comunque motore della vita e della
storia moderna sia l’individualismo, questo individuo rimane comunque un
prodotto del suo contesto familiare, contesto che dunque costituisce il
suo imprinting originario. Mi
sembra che proprio per questo, cioè, a causa del fattore
dell’individualismo, la famiglia oggi stia perdendo sempre di più il
proprio terreno; come se la storia della famiglia, in un certo senso,
stesse annullando la famiglia, e la sua stessa evoluzione la stesse
vanificando.
Giulio:
In che senso, dimmi meglio?
Mariano:
Nel senso che, quello che credo io, è che l’individuo, dopotutto, è un
prodotto della famiglia; però questi, tuttavia, una volta uscito dal suo
“stato di natura familiare”, diventa pienamente consapevole e
responsabile del suo potere di agire, di fare. Proprio per
quest’evoluzione che nei tempi moderni è sempre più sviluppata e sempre
maggiore, la famiglia sta andando incontro allora ad una perdita dei
suoi poteri forti. Per questo, ad esempio, non si dedicano più le forze
collettive a favore della famiglia, e quelle degli individui, che ne
fanno parte, a vantaggio di essa. Ormai ciascuno, infatti, non può che
prendere la propria strada, e ciò che resta della famiglia è la
struttura vuota. Un guscio, quindi, che si può riempire, ad esempio,
nelle feste di Natale e Pasqua, ma non più di questo.
Giulio:
Io mi chiedevo se i ragazzi oggi in Italia divengono diversi dalla
famiglia da cui provengono o tutto sommato rispecchiano ancora, come
trenta o quaranta anni fa, la mentalità che hanno appreso in famiglia.
Io stesso, ad esempio, non saprei dire se questa differenza storica
sussiste.
Mariano:
Mah, non lo so. Se rispecchiano quella mentalità è difficile dirlo,
perché a primo acchito non si può vedere; è difficile perché
bisognerebbe parlare a fondo con le persone per capire se aderiscono
ancora a certi schemi, se si sono realmente sganciati da essi. Alle
volte anche i tipi più intellettuali o le persone più evolute sono
vittime dei loro stessi pregiudizi più antichi. Quindi l’evoluzione
intellettuale non è, infatti, sinonimo d’evoluzione né di affrancamento
dalla famiglia, anzi tante volte non significa molto di per sé uscire
fisicamente o mentalmente dalla famiglia, perché, poi, la schiavitù
morale dalla famiglia si mantiene e si vede da altre cose. Si vede, ad
esempio, quando bisogna prendere decisioni simili a quelle che i nostri
familiari hanno, una volta, preso per noi. Voglio dire, nel momento in
cui noi stessi diventiamo soggetti di una nuova famiglia, è lì che si
capisce il modo in cui siamo stati prodotti della famiglia, e quanto,
invece, siamo riusciti a fare di nostro.
Giulio:
Ma tu cosa manterresti della famiglia, per come l’hai vissuta tu, nella
tua famiglia futura e cosa, magari, invece, cercheresti di non
riprodurre?
Mariano:
Dunque, di quello che ho visto e vissuto nella mia famiglia, manterrei
sicuramente il legame, cioè il cercare comunque di rimanere uniti, di
non andare ciascuno per la propria strada, e di ricordarsi che si è
comunque parte di un qualcosa. Però leverei il fare questo a tutti i
costi, ecco questo non dovrebbe mai cozzare, secondo me, con la libertà
individuale. Il limite dello stare insieme, d’altra parte, è lo
svilupparsi, lo stare da soli. Credo che per stare bene insieme bisogna
stare bene anche da soli, soprattutto aver trovato la propria strada.
Quindi leverei questo, il dover mettere la parola “tutti”
davanti alla parola “Io”. Questo.
Giulio:
Il problema, secondo me, è come, però, il circolo possa tornare su
stesso. Come, cioè, attraverso l’individuazione, si può giungere,
successivamente, ad un’unità familiare. Perché a me sembra che la
ricerca ossessiva dell’individuazione può diventare anche la causa della
disintegrazione, di cui parli anche tu.
Mariano:
Certamente, ad esempio, Heidegger in
Essere e Tempo scriveva, anche
se adesso non ricordo bene i termini che usa, della differenza fra
essere insieme e trovarsi insieme. Questo essere insieme non è, infatti,
una semplice somma di Io divisi, ma un legame collettivo che nasce,
indipendentemente, appunto, dalle singole parti. Non è
un’individuazione, né una sorta di puzzle, o schema che si compone, nel
quale ognuno ha la sua casella come fosse una tabella della tavola
periodica la quale combinandosi dà di volta in volta il risultato
sperato. Infatti, è così all’interno della famiglia, che oggi funziona.
Quello che terrei, invece, come ti ho detto, è proprio questo legame
collettivo, che è diverso secondo me dall’assommare le cose…
Giulio:
ha a che fare con il valore?
Mariano:
Sì, ha a che fare con il valore, valore non tanto di unità, quanto,
invece, di appartenenza..
Giulio:
ma a che fare anche con dei valori particolari?
Mariano:
Certo.
Giulio:
Dunque prima credi ci fossero delle àncore maggiori rispetto al luogo,
rispetto al contesto?
Mariano:
Sì, per esempio la radice. La radice collettiva, il posto in cui si
sviluppa questa pianta che è la famiglia. Adesso, invece, il luogo è
considerato indifferente. Ad esempio, parlando con un amico l’altra
volta, egli mi diceva che casa sua corrisponde a tutti i luoghi in cui
egli si sente a casa propria. Mah, secondo me questo non è vero per
niente. Casa tua è quel luogo che non può essere corrispondente a tutti
quei luoghi dove ti senti a casa, ma quello che si differenzia da tutti
questi luoghi proprio per qualcosa di preciso e particolare. Quello che
diceva questa persona, lo poteva dire soltanto perché spogliava di
valore il luogo da cui veniva, cioè non lo considerava come la patria di
un perché, di qualcosa che gli appartiene e, quindi, di suo, personale,
e che non può appartenere ad un altro luogo. Per lui è semplicemente,
invece, un luogo dove si trova bene, per cui se fosse qui, o se fosse
lì, la sua famiglia resterebbe tale e quale, la stessa. Io credo,
invece, proprio di no. La famiglia è ancorata, infatti, profondamente al
posto in cui si è andata sviluppando, quindi anche ai valori del luogo,
agli schemi condivisi, ai luoghi comuni, giusti o sbagliati che siano.
Giulio:
Ti volevo chiedere un’altra cosa. Ma questa idea del legame di cui
parli, fa parte, semplicemente, del passato o può fare parte del futuro?
Mariano:
Questa idea credo debba far parte del presente, perché credo che, in
qualche modo, ciò che sto dicendo sia parte integrante della natura.
Vale a dire, la natura in sé è determinata da valori, perché questi non
sono solo un prodotto culturale o una sovrastruttura. Il fatto che la
famiglia sia morale garantisce, in un certo senso, il successo della
specie umana. Ma non si tratta solo della specie umana.
Anche, infatti, la sussistenza
organica delle altre specie è fondata sulla “natura”, cioè vale a dire
sul fatto che ciascun individuo abbia ricevuto un’impronta di valori.
Nel mondo animale, questo può significare tante cose diverse: ad
esempio, l’apprendimento delle tecniche con cui muoversi nell’ambiente,
i territori da prediligere, gli individui da adottare nel proprio clan,
e cioè da ammettere all’interno dei propri vincoli sociali. Così,
infatti, si riproducono le specie in natura, dai leoni ai moscerini.
Ora, sicuramente ci sono delle differenze, tra gli uomini e gli animali,
e non è questo che voglio mettere in discussione Tuttavia credo che “la
natura” rispecchi le due anime della famiglia: l’individualismo e il
valore collettivo, cioè alcuni valori condivisi da tutti gli individui
che ne fanno parte e ne fanno la forza. Proprio nel modo in cui queste
due cose vengono declinate e messe insieme, d’altra parte, consiste la
specificità di una famiglia.
Giulio:
A parte la tua esperienza, come ti sembra che sia messo questo modello
“forte” di famiglia?
Mariano:
Male, messo male, te l’ho detto. Possiamo prendere la frase di quel mio
amico come la metafora della nostra situazione storica. Ormai si
immagina solo una famiglia virtuale, in astratto, una famiglia che si
può anche vedere solo su Skype.
Giulio:
Quindi anche una famiglia lontana…
Mariano:
Sì una famiglia che puoi contattare quando vuoi, in qualsiasi parte del
mondo tu sia, che non è più collegata a tante cose. Per esempio, ti
dico, questa casa in cui vivo, l’estate, alla Tonnara di Palmi, è quasi
un ovile della mia famiglia, un sinonimo stesso della mia famiglia, cosa
che non potrei fare se pensassi ad un’altra casa, qualunque. Perché? Non
perché semplicemente è un luogo in cui abbiamo trascorso del tempo, ma
perché è proprio la tavolozza, il pezzetto di legno o di cera in cui
abbiamo scritto delle cose, che restano scritte lì. Come per esempio
l’altezza, che veniva segnata con delle tacche sul muro, quelli sono dei
segni indelebili. Così sono anche i valori della famiglia.
Giulio:
Forse la famiglia assume importanza anche rispetto al passaggio del
tempo. La famiglia, infatti, costituisce un nucleo che, al contempo,
rimane e si trasforma nel tempo, e così diventa la misura del suo
passaggio. Mentre, invece, quando cambi continuamente i contesti, le
famiglie, virtuali o meno, e sei, cioè, astratto da un mondo, diventi
soltanto tu la misura del tuo tempo. Invece una casa, o una famiglia
sono elementi oggettivi. Si cresce, infatti, guardando crescere gli
altri.
Mariano:
Fondamentale – ti ripeto - non è il luogo in particolare ma il fatto che
questo luogo ci sia. Vale a dire, cioè il fatto che quando qualcuno
pensa alla propria casa, pensi anche alla sua famiglia e viceversa. Poi,
indipendentemente da questo, secondo me, è importante che qualcuno e
ognuno all’interno della famiglia faccia qualcosa. Secondo me è
importantissimo. Nel momento in cui c’è qualcuno che non assume un
ruolo, ma semplicemente sopravvive in essa, allora la famiglia stessa
non cresce. Dal momento che la crescita collettiva è un prodotto della
crescita individuale e che ci sono queste due anime, il valore
collettivo e l’individualismo, allora la famiglia stessa, nel caso in
cui il singolo non porta la propria esperienza all’interno della
famiglia, non si sviluppa.
Giulio:
Quindi è come se il problema si ponesse quando uno si sgancia dalla
famiglia, cioè quando crede di poter fare per sé, di essere più forte da
solo, nel momento in cui si separa dalla famiglia.
Mariano:
Credo di sì.
Giulio:
Cioè quando non si ha una posizione all’interno del contesto, si finirà,
probabilmente con il demolire il contesto…
Mariano:
Certo, perché non si è più chiamati a confrontarsi su tante cose, che
restano, di conseguenza in ombra. E per questo la famiglia non è più
capace di affrontarle con criterio e la giusta dose di serietà, o anche
di attenzione, soprattutto, perché tante cose finiscono con il passare
in maniera indifferente e sotto banco e nessuno se ne accorge più. Per
questo il livello della sagacia all’interno della famiglia, di
intelligenza collettiva, è fondamentale. Perché la famiglia, in fin dei
conti, è come un’equipe. Ognuno dovrà svolgere un ruolo di comprensione
reciproca, e ciascuno comprendere delle cose che l’altro non vede di sé.
In questo modo ognuno, al tempo stesso, contribuirà alla comprensione di
tutti. Se questo non avviene, allora la famiglia diventa semplicemente
un branco, un branco in cui gli elementi diversi non stanno bene
insieme, convivono soltanto per la sussistenza.
Giulio:
Ma secondo te quindi, anche la debolezza individuale di oggi dipende
molto dalla debolezza della famiglia?
Mariano:
Sì, secondo me sì.
Giulio:
Le persone che hanno alle spalle famiglie deboli, frammentate o che
hanno subito, insomma, degli scossoni…
Mariano:
O anche che non credono alla famiglia.
Giulio:
Non credono più nel contesto, quindi sono anche più deboli?
Mariano:
Sì, se non credono più nel legame indissolubile e comunque fondamentale
(che si può anche sciogliere, però è un punto di partenza). Il legame
oggi è visto, infatti, semplicemente come un punto di arrivo, ormai.
Tant’è che si dice spesso «ma come
ti fai a sposare se non sai prima con chi ti vai a mettere, se non puoi
sapere se resisterà la vostra coppia nelle avversità del futuro…»,
ma questo, casomai, è un punto di arrivo, non un punto di partenza.
Quello che succederà, invece, sarà la conseguenza del percorso che si è
intrapreso, il risultato di una speranza, di un ottimismo positivo. Se,
invece, a monte dei legami fondamentali della società – perché poi, in
effetti, la società si fonda anche sul fare i figli, sul formarli, e sul
metterli al mondo con dei valori solidi – mancano questi valori, il
risultato saranno individui “mezzi e mezzi”, composti a parte, spesso
parti assai differenti e tenute insieme solo “perché glielo dice mamma e
papà”. Va a finire, insomma, che tanta gente gira per strada e non sa
nemmeno chi è, è un po’ di questo, e un po’ di quello, senza essere
qualche cosa di definitivo.
Giulio:
Secondo me, tra l’altro, questo fenomeno in Italia è più diffuso perché
da noi mancano altri tipi di strutture. Voglio dire, cioè, in Italia, la
crisi della famiglia è ancora più devastante, perché colpisce quelli che
erano alcuni assi tradizionali della vita. Altrove ci sono ancora nella
società contenitori più favorevoli, che possano affiancarsi alla
famiglia. Invece qui la famiglia è debole anche perché viene
sovrainvestita, e, dalla sua, non riesce a tenere. È sovrainvestita
perché la società non permette che i figli possano uscire realmente di
casa, non garantisce un lavoro, un salario, non investe sulla vita
pubblica nelle città etc.. in questo modo, quindi, continuando gli
individui ad investire troppo nella famiglia, ed essendo la famiglia
fragile di suo, finisce con il collassare. Ecco credo questo possa
essere un modo di…
Mariano:
Sì, io penso che la famiglia, sia effettivamente importante come stiamo
dicendo; però credo anche, che forse, allo stesso tempo, non dobbiamo
dimenticare come sia arrivata l’ora che la famiglia, all’interno della
società, si metta da parte. Intendo dire che è un processo quasi
fisiologico, quello per cui la famiglia, ad un certo punto della nostra
storia, arrivi oggi a non avere più tanto potere. Nel senso: era anche
arrivata l’ora che la famiglia tracollasse, si svuotasse completamente
di importanza, perché oramai già determinate esperienze storiche l’hanno
portata al punto di non valere più niente. Cioè, proprio perché
sovrainvestita, come dicevi tu prima, alla fine si è verificato un
crollo, e adesso si trova a dover fare per due. Sì, ecco, probabilmente
è così. Deve fare per due, perché mancano le garanzie sociali, e tutte
le assicurazioni rispetto all’esistenza di un futuro per i giovani; e al
contempo manca anche il baluardo della famiglia come
extrema ratio, e come nucleo
fondamentale, perché oramai a quello, in quanto valore perduto, nessuno
crede più davvero e, quindi, ognuno va per i cavoli suoi. Ecco, quindi,
che credo sia l’insieme di questi due elementi all’origine di una certa
disintegrazione di oggi.
Giulio:
Tu che pensi del fatto che i paesi più sviluppati economicamente,
presentano un tipo di famiglia ristretta, con pochi figli e con un
numero crescente di separazioni. Come se cioè trovassimo un
individualismo maggiore proprio lì dove lo sviluppo è stato maggiore. E
invece, dove ci sono difficoltà di lavoro, e miseria, a volte la
famiglia è rimasta ancora importante. Ad esempio, anche i ragazzi che
vengono dai paesi nord africani qui in Italia, mantengono forte ancora
il valore della famiglia. Molto spesso rischiano la vita per arrivare
qui, guadagnare dei soldi e mantenere a distanza la loro famiglia.
Qualcosa, cioè, che noi, in un altro contesto, non immaginiamo più che
sia realmente possibile.
Mariano
Secondo me la ragione di tutto questo è che, come dicevo prima,
l’individuo si sviluppa a partire dalla famiglia. Se la famiglia è
sottosviluppata, da un punto di vista economico, come anche da quello
dei valori, è naturale che l’individuo tenda ad accrescerla. Ma, nel
momento in cui, invece, la famiglia è ben sviluppata, cioè ormai si è
usciti da quello “stato di natura”
legato alla mera sopravvivenza, ciascuno concentra le proprie attenzioni
su altro. E, in realtà, quello che sembra essere un di più di valore,
nei paesi meno sviluppati economicamente, probabilmente, è un valore in
meno che hanno, proprio perché sostengono la famiglia soltanto da un
punto di vista materiale. Cioè vedono la famiglia soltanto come un
insieme di persone che devono sopravvivere, e quindi anche loro
contribuiscono, fanno la loro parte, ovviamente, per il sostentamento
collettivo. Questo di per sé non è sinonimo di vincolo familiare,
casomai, invece, è sinonimo di arretratezza economica. Mentre
l’individualismo dei paesi più sviluppati economicamente, rappresenta,
forse, un destino altrettanto naturale della famiglia. Chissà, questo,
in verità non te lo saprei dire. Però quello che è certo è il benessere
economico comporta divisioni, e questo in tante cose, non solo nella
famiglia. Nel lavoro, nel futuro, nei propri progetti. Stare bene di
permette di sognare, di fare tante cose, però ti priva anche della
capacità di riconoscere le cose essenziali, di sognare con poche
illusioni e vagheggiamenti. Ti priva di concretezza.
Giulio:
D’altra parte, credo, essere ricco ti porta a investire di meno sulla
semplice relazione umana, perché tu hai desiderio di fare tante
esperienze, viaggiare, avere tante cose. Però sulla relazione in quanto
tale non investi più di tanto..
Mariano:
Pensa al caso della nobiltà seicentesca della Francia, tutto lo sfarzo
di Versailles. Ecco quella nobiltà è la nobiltà più ignorante che sia
mai esistita sulla terra. Non avevano la benché minima concezione di
galateo, d igiene, né figuriamoci di cultura erudita, perché non si
impegnavano assolutamente a ricercare qualche cosa che avrebbero potuto
avere comunque. Questa, tra l’altro, potrebbe essere la metafora dotta
di Ebay, di Internet, del
mercato globale. Cioè il potere avere, quello che vuoi, in un clik, di
priva della capacità di sognarlo, di desiderarlo con fantasia, con
l’immaginazione…
Giulio:
D’altra parte, in ultima analisi, questo priva di senso la cosa,
se una cosa non l’aspetti, infatti, e non ci speri…
Mariano:
Sì, infatti, credo che l’ottenimento di qualcosa è soltanto l’ultimo
passo di una catena di desideri e di volontà, che ti spingono a fare
quel qualcosa. Anzi, addirittura Aristotele – fammi fare questa
citazione erudita – nel De anima,
sosteneva che l’attrazione per l’oggetto del desiderio anche in un
contesto non morale, ma puramente naturale (anche quindi il desiderio di
un pezzo di pane o d’un bicchiere d’acqua) è già un ancestrale e
connaturato sintomo della morale, che è intrinseco alla natura. Il fatto
che noi sentiamo una catena di desideri, quindi, che ci portano poi ad
agire, fa dire ad Aristotele, che nella natura sia già presente un
presupposto morale..
Giulio:
Spiegami meglio.
Mariano:
Cioè se hai fame e sei di fronte ad un pezzo di pane, così come le
azioni che si compiono per soddisfare un bisogno e di cui si sente di
avere necessità, sono vere e proprie azioni morali per Aristotele, cioè
hanno in se stesse una programmazione morale. Perché non è semplicemente
un fatto meccanico: noi, infatti, ci cibiamo di qualcosa, solo dopo che
l’abbiamo desiderato, ed elaborato attraverso il desiderio e la volontà.
Questo è il presupposto morale di ogni azione. Cioè c’è una
deliberazione…
Giulio:
Sì, adesso, capisco meglio quello che vuoi dire..
Mariano:
Ormai, invece, il click del mouse è fondamentalmente la deliberazione
virtuale, cioè ti priva della capacità di scegliere e di deliberare
sulle cose, specialmente quando queste sembrano equivalenti per la tua
felicità. Ma il click ti impedisce, nei fatti, di compiere quest’azione
con il pensiero, perché si sostituisce a te, e tu clickkando credi di
sapere già quello che vuoi, ma senza però averlo desiderato…
Giulio:
Va bene, caro Mariano. Dire, allora, che la prossima conversazione potrà
essere sulla virtualità…
Mariano:
No, la prossima sarà l’intervista che io
farò a te sul senso della politica oggi.
AGOSTO 2011