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04
Maggio 2011

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 Coscienza di classe e consenso oggi

IL 14 DICEMBRE CINQUE MESI DOPO.

Un’intervista politica.

Giulio Trapanese

 

Sono passati circa cinque mesi dal movimento degli studenti di quest’autunno. Un movimento ampio, vario, che ha presentato momenti di discontinuità nelle forme di organizzazione e di lotta rispetto al suo recente passato e, in generale, rispetto alla storia degli ultimi vent’anni, dal movimento della Pantera in poi. Un movimento, quello di quest’anno, che si è trovato ad agire quasi in sincronia con movimenti analoghi che in quei mesi si sono avuti tra gli studenti di altri paesi europei, quanto, secondo taluni, ad essere stato anche un riferimento per alcuni dei movimenti del Maghreb, specie in Tunisia. Forse che, quindi, il 14 dicembre, che sembra lontano a noi italiani senza memoria, non è già così superato nella coscienza di altri popoli e in quello che è potuto significare.

Ne abbiamo parlato separatamente con Eleonora e con Frantz e Angela, rispettivamente del collettivo Palayana e del Cau (Collettivo Autorganizzato Universitario), entrambi collettivi studenteschi attivi a Napoli.

 

Eleonora, 1 Maggio, Chiaiano

 

Sul significato adesso, a cinque mesi, dalla rottura del 14 Dicembre, tu lo vedi come uno spartiacque effettivo, rispetto al quale adesso noi viviamo in un dopo, oppure, comunque, con la sconfitta del passaggio della riforma e la mancata caduta del governo, un evento che non rimarrà nella coscienza?

 

ELEONORA: Sul 14 Dicembre, io credo che sia un evento su cui si sono spese migliaia di analisi e parole nel momento in cui è avvenuto, parliamo dell’arco che va dal 14 Dicembre a Natale e poi, immediatamente dopo, i primi di Gennaio. Gli interventi in quella data si dividevano in due filoni fondamentali: il primo caricava quell’evento e quella giornata e diceva che quella giornata costituiva uno spartiacque definitivo di un movimento ammalato di moderatismo, come quello dell’onda, e che apriva una stagione del movimento, ormai non solo più studentesco, ma del movimento diventato ormai quello della generazione precaria. L’altro filone è un filone che, portato avanti dagli organi più strutturati, sosteneva che il 14 Dicembre è un evento che ha una sua importanza come giornata singolare, ma esso è stato dirompente, per via d’una storia di sedimentazione politica che va dal 2008 al 2010 e che ha permesso che il 14 Dicembre 2010 succedesse tutto questo. Non è solo una spontaneità eccedente che vien fuori dalla rabbia per la disperazione della crisi - sicuramente anche questo - ma soprattutto questo che si fa forte dei semi di tutto quello che..

 

Tu pensi, che a cinque mesi, valga ancora questo binomio?

 

ELEONORA: Io penso che a cinque mesi questo binomio non valga più. Credo che ormai la prima ipotesi sia caduta un po’ da sola nell’oblio, nel senso che si è annullata da sola. Penso, invece, abbia ancora una qualche forma di validità la seconda ipotesi. Non va dimenticato, io credo, che prima del 2008 l’università erano un luogo di deserto politico, anche se io lo ricordo poco perché l’ho vissuta poco come universitaria, ero appena al secondo anno nel 2008.

 

È vero, in effetti, che dal 1994 in poi all’università c’è stato veramente poco.

 

ELEONORA: Sì, infatti, è successo che il 2008 ha riportato la politica nelle università - indipendentemente da chi siano le organizzazioni che l’hanno gestita - e che in tutte le città i collettivi che nascono nel 2008 mettono a valore nuove forme di militanza. Di fatto è un dato incontrovertibile che ovunque si è sviluppata l’onda sono rimasti sedimenti di un’esperienza politica diffusa, che va dai collettivi della Sapienza…

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Quindi il 2008 è, forse, un vero primo spartiacque?

 

ELEONORA: Un primo spartiacque sicuramente è il 2008, si torna a respirare un’aria di discorso politico dentro i palazzi dell’Università, ma, soprattutto, si mettono in piedi esperienze di militanza.

 

E a partire dal 2008 in che senso queste esperienze sono diverse dal punto di vista organizzativo?

 

ELEONORA: Dal 2008 in poi, intanto, tutte queste esperienze di militanza, nella stragrande maggioranza dei casi, parlano un alfabeto comune, per esempio si comincia a porsi il problema della generazione, per cui tutto il discorso che si farà nel 2010 non è proprio nuovo, è stato portato da due anni avanti rispetto alla questione della generazione precaria, senza diritti, e questo c’è. C’è sicuramente un uso diffuso dell’esperienza dell’autoformazione, che è fondamentale perché fa arrivare al 2010 con una preparazione assolutamente maggiore rispetto al 2008.

 

C’è anche una sfiducia grande nei confronti dei partiti.

 

ELEONORA: Sì assolutamente, quello che è il presupposto del 2008 e il dato di fatto del 2010. Le esperienze di autoformazione, che io ho seguito tramite gli strumenti telematici, che ti permettono di sapere a Pisa, piuttosto che a Bologna, quotidianamente quali sono i seminari, gli incontri e ti permettono anche di seguirli in rete. Per due anni di fatto, in tutte le città, si organizzano settimanalmente seminari di auto formazione gestiti dagli studenti, per due anni continuamente: io credo sia questo uno dei dati della continuità…

 

Quindi il 2008 è stato il primo momento di mobilitazione grande in cui internet nella società oramai già pesa molto?

 

ELEONORA: Sì sicuramente, ma sicuramente non pesa quanto il 2010. Per esempio l’uso di facebook nel 2010 è molto più forte, è molto più diffuso del 2008, il movimento del 2010 vive anche molto dell’immagine che esso si dà su facebook, il 2008 no. Il 2008 si dà solo per strada, si fa nelle piazze, si fa…

 

Tra l’altro si fa molto nelle lezioni in piazza, che nel 2010 non ci sono state, per quanto questo anche per altri motivi.

 

ELEONORA: Diciamolo con molto realismo: i numeri del 2008 non sono paragonabili a quelli del 2010. C’era molta più gente, la gente scesa in piazza nel 2008 era tantissima. Penso che non abbiamo nessun tipo di difficoltà ad ammettere che a Napoli, quest’anno, quando siamo scesi tanti in piazza, siamo stati 10 – 15 mila. Nel 2008 abbiamo fatto cortei sicuramente differenti, abbiamo fatto assemblee di proporzioni inimmaginabili. Nel 2008 riempivamo i cortili dell’Università, quando quest’anno è difficile che coinvolgevi più del riempire completamente le aule in cui facevi assemblee. Tutto questo aiuta a dire che poi il 2010 non ha generato tanto un'opinione comune che porta la gente in piazza, quanto mette a frutto un sedimento politico…

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Però è interessante anche che se il 2008 non ha avuto, per quanto ci fosse stato due anni prima il Cpe in Francia, corrispondenze di movimento a livello internazionale, il 2010, invece, ne ha avute diverse. Il movimento a Londra, la mobilitazione in Francia, la rivolta in Grecia, anche se più complessa e non solo giovanile. Insomma, tu pensi che sia stato un elemento reale quello del condizionamento e della relazione internazionale fra i movimenti?

 

ELEONORA: Sai cos'è? Io penso, anche a proposito della questione dell’uso di internet, che rispetto a questo fenomeno e la sua comunicazione orizzontale o pseudo – orizzontale, estrapola l’elemento di realtà che c’è nel comune, e nella coincidenza generale, per cui a Londra, a Roma, a Parigi, e poi nel Maghreb, dopo, si sviluppa quello che è accaduto è difficile. È difficile cioè oppure quanto siano stati gli stessi protagonisti di quelle lotte a caricare il fenomeno fino a farlo diventare reale… Il fatto che a Londra si usassero i Book Block, che è una pratica bella, che a tutti ha fatto effetto e che nasce a Roma, venisse ripresa in maniera così diretta nelle piazze di Londra, in quegli stessi giorni – a Londra il 9 Dicembre - vuol dire che qui c’è un ruolo, una forza incredibile che ha internet, e che, più in genere, hanno i media nel trasmettere l’immaginario politico comune. E il secondo punto è invece più politico, non è certo una coincidenza il fatto che la crisi economica arrivi nel 2010 con la sua parabola a colpire…

 

Vuoi dire che con il 2010 arriviamo a vedere concretamente gli effetti della crisi?

 

ELEONORA: Esattamente, ha colpito i settori che fanno più male e bruciano di più alla quotidianità alla nostra generazione e che quindi, a quel punto, la rottura netta avviene a Roma, avviene a Londra, e in maniera più radicale come la Tunisia..

 

Ecco, infatti anche su questo volevo chiederti. Difficile dire quanto ci sia una connessione temporale, o quanto anche una linea di suggestione. Tuttavia, ad esempio, un ragazzo tunisino, un ragazzo egiziano, che vedono attraverso la rappresentazione dei loro mezzi di comunicazione, un fermento giovanile in Italia, in Europa, che rimane per loro come una meta da tanti punti di vista, oltre che evidentemente un modello di sviluppo sociale, non prova ad ispirarsi ad esse?... ecco sembra che si sia creato comunque una sorta di legame tra loro e chi prima di loro in Occidente aveva fatto qualcosa, sembra che qualcosa ci sia stato, almeno una scintilla comune, no?

 

ELEONORA: Guarda, sicuramente c’è un elemento di richiamo, credo che abbia un ruolo almeno di richiamo. Cioè in Europa succede quello che succede fuori, in paesi ad altissima alfabetizzazione del Maghreb, come la Tunisia, e questo dà una dimostrazione di capacità di rivolta, anche di capacità di organizzazione collettiva di quella rivolta così straordinaria. Tuttavia, anche parlando con i compagni che sono stati là, che mi hanno un po’ raccontato gli incontri con tutti i soggetti riconosciuti come autori della rivolta, dal partito fondamentalista islamico, alle donne di Tunisi, tutto quello che si è espresso in quel paese, tutti questi concordano nel dire che noi abbiamo visto il punto finale, il punto di rottura, che è stato il Gennaio – Febbraio di quest’anno, ma che loro stanno lavorando per liberarsi di Ben Ali da due anni. Sono due anni che si susseguono micro esperienze di rottura con la dittatura di Ben Ali. Anche lì gli stessi due anni che, forse, abbiamo vissuto anche noi dal 2008 al 2010. Sicuramente il 2008 - 2010 è un biennio in cui i semi di un certo tipo di insurrezione si sono diffusi in Europa e nel Mediterraneo, però è vero che c’è la specificità della Tunisia.

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Però c’è una somiglianza nell’organizzazione della protesta, almeno nell’apparenza, quella chiamata spontanea alla rivolta, il ruolo dei partiti che è presente ma non determinante, la forma associativa che passa sul virtuale.

 

ELEONORA: Faccio un esempio che fa ridere, però è interessante. Uno dei soggetti più coinvolti nelle rivolte in Tunisia sono stati i disoccupati organizzati, che a Tunisi hanno un ruolo fortissimo, ed è un’organizzazione che raccoglie attorno a sé migliaia di militanti che da anni lavorano contro la dittatura di Ben Ali. Io credo siano pochi i paesi e le città che presentano organizzazioni come quella dei disoccupati organizzati; alcune cose, quindi, sì, possiamo dire che sono molto simili, alcune altre…

 

Io mi riferisco proprio alle questioni generali, come rispetto al ruolo dei partiti. Per esempio non c’è più il partito che convoca la piazza, che sembra una cosa che da decenni si sta consolidando..

 

ELEONORA: Sì, così non è più… andrebbe aperta una discussione su partiti e sindacati in quest’anno politico, ecco forse questo è un discorso più europeo, ma lo dico perché non ho tutti gli strumenti per parlare del Maghreb. Bisogna rifuggire dall’utilizzare gli strumenti della nostra retorica per capire quella situazione lì. Quindi è meglio limitare il discorso all’Europa... anche perché se osserviamo le prossime elezioni a Tunisi ci sono 58 partiti, quindi… vallo a capire cosa significa quel tipo di rivolta con 58 partiti. Tutti i tipi di partiti che vanno da qualsiasi estrazione, qualsiasi storia politica, da esperienze che sono vicine a quelle europee, ad altre più vicine a quelle del Medio Oriente, insomma, molte con fondamentalismo islamico, di tutto di più. Sull’Europa, invece, il ruolo dei sindacati è differente a seconda delle situazioni: andiamo dall’Italia in cui, di fatto, tante cose quest’anno sono state possibili grazie alla sinergia che c’è stata dopo tanto tempo fra sindacato dei metalmeccanici e movimenti sociali, trasformatasi di fatto in una simbiosi reale, confronto costante, una situazione tale che ci ha fatto arrivare alla preparazione del 6 Maggio con un’amicizia reale sui territorio, tanto con i vertici che con gli operai che hanno partecipato a quest’asse che sì è creato fra i due mondi. Altro ruolo, invece, interessante è quello dei sindacati in Francia. Quelli hanno avuto un ruolo fondamentale anche nelle pratiche radicali, come ebbero già qualche anno fa, l’occupazione degli aeroporti, piuttosto che delle raffinerie.

 

Anche con un’altra capacità di far convergere la spontaneità con l’organizzazione..

 

ELEONORA: Infatti, ma ancora diverso quello che è successo in Inghilterra, dove il sindacato studentesco è stato superato in maniera fortissima e, però, in maniera non definitiva dalle forme di autorganizzazione degli studenti che, invece, erano nate nei mesi precedenti, ma dico in modo non definitivo perché comunque il sindacato studentesco mantiene un ruolo…

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Questo è un discorso molto generale anche rispetto al destino dei partiti e delle strutture organizzate rispetto invece alla posizione dei movimenti... Io volevo, però, chiederti altre due cose in particolare. La prima è quale posizione strategica, se l’ha, ha oggi l’Università nella società capitalistica che conosciamo, in cui è subordinata oggettivamente, ormai, completamente alla logica di valorizzazione di certe capacità, di asservimento di certe potenzialità a fini produttivi… Se oggi come oggi la puoi considerare ancora come un punto di attrito forte rispetto alla tenuta del sistema, o se, dopo tutto, nonostante il 2010, in realtà l’Università perde una centralità…

 

ELEONORA: Io penso che se il 2010 porta dei frutti, c’è quello del capovolgimento della prospettiva teorica adottata precedentemente. Non si tratta di un capovolgimento completo, rispetto alla questione del capitalismo cognitivo e alla valorizzazione di tutti del lavoro cognitivo che proviene dall’Università, ma di un atteggiamento completamente differente rispetto ai luoghi del sapere. Questo ragionamento, poi, va fatto, ma andrà fatto, appunto, tenendo conto di dove ci troviamo noi e del punto di vista che abbiamo noi. L’atteggiamento del capitalismo a livello europeo nei confronti della formazione, trova sicuramente un teatro un po’ diverso rispetto al ruolo che ha l’atteggiamento del governo italiano ha nei confronti dell’Università. Questo nel senso che se il governo italiano ha un atteggiamento nei confronti dell’Università che mira, fondamentalmente, a riprodurre semplicemente un dissesto finanziario costante, che punta a mettere in ginocchio realmente i luoghi della formazione, chiudendo i rubinetti. Se tutto questo si traduce poi in una politica similare e parallela che viene fatta sulla suola pubblica, cioè se la riforma Gelmini non è tanto una riforma ideologica, ma una riforma a costo zero, frammentata nei contenuti, che di fatto non riesce a trovare applicazione, insomma, se questo è il quadro che il governo italiano esprime, ho difficoltà ad inquadrare la situazione italiana immediatamente sul livello europeo. Posso dire..

 

Rimaniamo anche soltanto in Italia. Tu investiresti nel movimento studentesco in Italia nei prossimi due, tre anni a livello strategico se dovessi fare un ragionamento d’opposizione sociale in generale?

 

ELEONORA: Non è che non investirei adesso. Io credo, però, che il movimento studentesco ha in sé dei limiti fortissimi; se il movimento studentesco non diventa capace di porsi delle domande che vanno al di là del suo ambito, non riuscirà mai ad essere un movimento che muove realmente, che si fa movimento sociale ampio, plurale, che riesce ad incidere nella realtà. Tanta della retorica sviluppata dopo il 14 dicembre, dico retorica perché non ha trovato un riscontro, vive però in un elemento reale rispetto al fatto che, effettivamente, questo movimento di Dicembre, è stato composto da studenti ma non solo, cioè è fatto da gente che si è posta non il problema del proprio essere studente, ma si pone, contemporaneamente, il problema dell’esistenza in quanto tale. È un movimento fatto di lavoratori della conoscenza, soggetti legati al mondo della formazione, che però si pongono il problema dei bisogni materiali, bisogni materiali che riguardano la propria esistenza, questione, quindi della sopravvivenza, questioni che riguardano fattivamente tutta la nostra generazione, questioni che però o il movimento studentesco riesce a porsi, ma in modo complesso e non attaccandosi addosso l’ennesima caterva di luoghi comuni, oppure non riuscirà ad uscire, a fare quel passaggio necessario realmente fuori dall’Università.

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Angela e Frantz, 4 Maggio, Palazzo Giusso

 

Intanto la prima cosa che volevo chiedervi, per cominciare, rispetto al 14 dicembre Voi pensate adesso, a distanza di cinque mesi, se sia rimasto come uno spartiacque o comunque un momento alto che tuttavia è ormai passato, ma che non ha cambiato davvero tanto?

 

ANGELA: Il 14 Dicembre è stato sicuramente un’esperienza importante per molti perché è nato dalla completa spontaneità dei ragazzi, degli studenti e dei comitati territoriali che erano in piazza quel giorno e ha portato anche, da un certo punto di vista, allo stesso livello di conflitto che avevano raggiunto le mobilitazioni contro le varie riforme universitarie in Europa. A Londra c’era stato tutto il casino nelle settimane precedenti con l’assalto del quartier generale dei Tories, in Spagna, anche, c’era stato un corteo molto conflittuale, con cariche della polizia, arresti, e così via in altre zone dell’Unione europea e oltre. Ha rappresentato un momento importante per questi due aspetti, ma essendo, però, nato dalla completa spontaneità e, diciamo pure dalla disorganizzazione del momento,  visto che non erano stati preparati tutti quegli scontri che sono avvenuti in piazza, non hanno avuto poi un riscontro, o una pratica che poi è stata portata avanti.

 

Pensi che però quindi il 14 sia stato un salto in avanti rispetto al passato?

 

ANGELA: Secondo me non è stato un caso che durante la mobilitazione proprio di quest’anno ci sia stato questo momento di grande conflittualità studentesca, cosa che non c’è stata, per esempio nel 2008, perché questo movimento è stato molto più radicale, soprattutto nei contenuti,  rispetto al 2008. E secondo me il 14 dicembre non ha portato a…

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Tu pensi che ci sia quindi una continuità dal 2008 al 2010?

 

ANGELA: Sì, sì, certo. Dal 2008 ad oggi sicuramente c’è stata una continuità, perché dopo l’Onda si sono formati tanti collettivi studenteschi, si sono avvicinate tante persone ai collettivi e alle strutture che esistevano già, ma, secondo me, il 14 Dicembre, siccome gli studenti volevano fortemente quel giorno, ha portato ad un ulteriore avvicinamento degli studenti ad un determinato modo di vedere, determinato modo di ragionare, determinato modo di cambiare il sistema delle cose, non solo della questione dell’Università, ma anche sul mondo del lavoro, noi, qui a Napoli, del sistema dei rifiuti, etc. etc.

 

Secondo te qual è la situazione, cosa è rimasto nelle coscienze degli studenti di tutto questo autunno?

 

ANGELA: Secondo me il movimento degli studenti di quest’anno è riuscito a fare un passo avanti rispetto al 2008. Essendo un po’ più specifico, un po’ più forte, duro nei contenuti, anche nelle parole d’ordine che venivano utilizzate, non erano più Siamo tutti studenti, ma erano parole d’ordine come Studenti e lavoratori, o anche semplicemente Abbattiamo  il governo Berlusconi, ma era una sorta di allargamento unendo la lotta studentesca a quella dei lavoratori, disoccupati, lotte sociali che si trovano in Italia. Per molti studenti, anche se ora non partecipano più alla politica dell’Università, o da qualsiasi altra parte, questo movimento studentesco ha segnato, però un passo importante della loro vita, anche perché non sono più indifferenti davanti a certe situazioni..., per esempio sulla questione antifascista, si vede che qualcuno è un po’ più sensibile, probabilmente per i discorsi che s’erano fatti nei mesi della mobilitazione.

 

Ma una differenza tra il movimento del 2008 e del 2010 è anche l’organizzazione che si è avuta su internet di certi eventi del movimento e della comunicazione di certi eventi? Perché con questa intervista cerchiamo di capire anche questo, cioè, pensiamo pure al solo fenomeno facebook, è cambiato il ritmo della politica o no?

 

ANGELA: In particolare rispetto a facebook, perché per i siti dal 2008 al 2010 non è cambiato quasi niente, facebook, invece, per alcune cose è stato abbastanza utile a far girare notizie veloci, contattare persone che non scendono all’università tutti i giorni, perché magari lavorano o stanno a casa, organizzare un’assemblea pubblica la mattina per il giorno stesso o solo anche fare un’iniziativa, una festa, un pranzo sociale, mandare un volantino, etc. Sicuramente ha aiutato, però il momento fondamentale lo giocano sempre i volantinaggi tra gli studenti, le chiacchierate a tu per tu, gli strumenti tradizionali, insomma..

 

Rispetto invece, a quello che mi dicevi anche tu prima, vale a dire il rapporto con l’Europa, Spagna, Francia, tu pensi ci sia stato un momento collettivo d’interesse e risveglio in Europa, oppure si è trattato di eventi separati, troppo diversi?

 

ANGELA: Secondo me non sono situazioni completamente separate, perché quando l’attacco è unico, ed è lo stesso, insomma la matrice è la stessa, in tutti paesi dell’Unione europea, e anche al di fuori, anche la risposta, magari sarà per caso, magari non è organizzata veramente fattivamente insieme, però, poi, la risposta che viene data, è la stessa. Può essere più conflittuale, meno conflittuale, ci sono partiti, c’è l’autorganizzazione, però insomma…

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Tornando, invece, all’Italia, pensi ci siano stati limiti e quali rispetto al Dicembre e al movimento in genere di quest’anno, una volta poi che si è vista passare la riforma?

 

ANGELA: Il limite del dopo 14 Dicembre è stato quello di non riuscire a centralizzare tutte le forze che s’erano messe in campo in quel giorno e anche in tutte le settimane precedenti, perché il 14 non rappresenta né l’inizio né la fine, è soltanto un momento di un percorso che s’era portato avanti, in particolare a Napoli, da Ottobre. Il limite vero è stato non canalizzare tutte le forze in un solo momento unico nazionale, per portare la lotta avanti, anche in ambiti diversi, ma in maniera più organizzata, anche, appunto, a livello nazionale.

 

A te non sembra che rispetto a vent’anni fa, o forse anche dieci, l’università abbia un ruolo meno centrale, che di suo riesca anche a condizionare meno la politica italiana, come se, nel tipo di società in cui viviamo, di fatto, sia una pedina meno importante, anche proprio dal punto di vista dei potenti?

 

ANGELA: Secondo me l’Università proprio come istituzione, chiamiamola così, non ha mai avuto un ruolo così importante, importante è il ruolo logistico di un’Università, ad esempio, occupata in situazioni di movimento studentesco, anche solo per un momento di confronto e discussione, oltre che per organizzare determinati momenti.

 

Stai intendendo, quindi, la questione dal punto di vista dell’organizzazione…

 

ANGELA: Sì, esatto. Il problema di oggi, forse, più che altro, è che solo gli studenti si sono mossi, mentre i lavoratori, non essendoci più determinati partiti e i sindacati sono ultimamente diventati quello che sono diventati, anche se non lo sono mai stati 'sta grande cosa. Probabilmente negli anni ’60 era un po’ diverso… cambiano le condizioni, cambia poi anche il movimento, ma è normale.

 

FRANTZ: Su quest’aspetto qui dell’Università, in effetti, secondo me è vero. Il ruolo nell'Università italiana all’interno della società, italiana in particolare, è cambiato. L’Università aveva una centralità poiché veniva vista dalle classi subalterne come spazio da conquistare, perché l’idea (progressista) era che interessava ai lavoratori nell’avanzata dei diritti e gli interessava perché ci avrebbero potuto mandare i propri figli. Così come, invece, da pezzi della borghesia italiana, era visto come un luogo di sviluppo che avrebbe potuto portare l’Italia finalmente all’altezza degli altri paesi della comunità europea. Quest’ideologia che riusciva a trovare un luogo di compromesso, diciamo così, nell’idea di quest’allargamento dell’Università, è entrato in crisi nel momento in cui i lavoratori o componenti importanti delle classi subalterne sono giunte a vedere nell’Università qualcosa come un ricettacolo di perditempo. Chiaramente, essendoci dietro una perdita, diciamo, di ideologia complessiva, questi non la considerano qualcosa che li riguardi, anzi ha preso piede quella retorica di destra che dice che la cultura è una questione di fighetti di sinistra, se non proprio di frocetti, quindi, non li riguarda. Là dentro ci sono solo perditempo che consumano i pochi soldi pubblici rimasti, secondo quell’ideologia culturale che è nemica dello Stato, etc., per cui l’Università, sostanzialmente, è considerata come un luogo poco interessante…

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Tu pensi che questo sia un fenomeno particolarmente italiano o tipico della nuova forma di capitalismo finanziario di oggi?

 

FRANTZ: Secondo me la questione è tipicamente italiana e specificamente nazionale in quanto, diciamo, in Italia ha sfondato, da un certo punto di vista, questo tipo di retorica e in un qualche modo una certa controrivoluzione è stata più forte, perché è andata anche a spaccare quel compromesso che era comunque un compromesso conveniente per la borghesia. Oggi giorno finisce col prevalere il punto di vista d’una piccola borghesia e una piccola e media imprenditoria, le quali non hanno bisogno di grandissimi investimenti dal punto di vista della ricerca. Tu questo, infatti, lo vedi su tutto il contesto capitalistico, il nostro paese agisce in un modo particolare, a differenza degli altri paesi europei, in cui l’Università ha ammesso una partecipazione privata. Da noi è il privato che cerca di sfruttare la struttura pubblica, non che sia positivo, in ogni caso; però vedi la differenza... In Italia ci si è arroccati con una borghesia molto più retriva, che sostanzialmente ha preso il comando dal ’90 in poi, che ha utilizzato Berlusconi e la Lega come alfieri politici di questi discorsi, per cui l’Università è stata slegata anche da quel tipo di logica produttiva liberale che la poteva… Per cui, secondo me, lo vedi pure, in questo senso sì, nell’affratellamento tra i movimenti europei e quello italiano, per esempio i movimenti inglesi, la questione del 14 Dicembre…

Rispetto, invece, alla questione del 14 dicembre sono saltate una serie di mediazioni dalla parte studentesca e dei partiti, per cui, saltando questa serie di mediazioni, si rendono più plausibili e possibili dei momenti di rottura. Il problema però è: che ce ne facciamo del momento dello scontro? E quindi qui torniamo al problema dell’organizzazione… per cui quello che diceva Angela è vero, infatti dopo il 14 Dicembre, non c’è stato il momento della centralizzazione. Per cui riesci pure a creare dei momenti di rottura di massa, ma è difficile che riesci a trasformare le cose, se non ci lavori politicamente, con un discorso tutto politico, non di rabbia, se non lavori a centralizzare. Rispetto al 14 Dicembre e sul dopo, direi che la manifestazione del 22 Dicembre a Roma, secondo me, è stata effettivamente un passo indietro, perché è stata la normalizzazione di quello che era stato il 14 dicembre, attraverso la visita a Napolitano, attraverso la rappresentazione, dei media, che diceva: vedete questi lottano per la cultura. Invece, l’elemento di novità di questo movimento rispetto al 2008, è stato non una lotta giuridica, come la lotta per la cultura, ma la lotta con cui decidere i rapporti di forza complessivi in questo paese, perché s’era capito che tutta la situazione… Il 14 Dicembre è, infatti, legato al fatto che la gente voleva arrivare a Montecitorio, cioè voleva arrivare nel punto più alto in cui, in quel momento, si giocava la partita, dove cioè si sta decidendo della fiducia al governo. Cioè ha mirato all’elemento politico. Secondo me questo è lo spunto più interessante di questo movimento. Chiaramente ne esce sbaragliato perché non avendo un’organizzazione politica - di qualsiasi tipo dico - viene facilmente assorbita da quelle forze riformiste, Pd, etc.

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Voi pensate ci sia stato comunque un legame ideale o di imitazione tra questo movimento studentesco europeo e il movimento in Maghreb? Per quanto i due movimenti non siano comparabili, credete però abbia contato per i ragazzi del Maghreb aver visto un movimento in Europa più radicale, che si è scontrato con le istituzioni del potere e che ha messo in discussione comunque il non avere un futuro in quanto generazione? Secondo voi c’è stata un’onda lunga, anche nelle forme di organizzazione e radicalizzazione nuove? C’è qualcosa in consonanza fra i due movimenti?

 

FRANTZ: In verità, io credo di no. Poi se uno vuole vedere della semplice coincidenza temporale, rischiamo di rimanere sul piano di descrizione fenomenologica, così come se vogliamo dire, per esempio, che anche loro usano facebook, pure loro sono giovani… In verità ci sono delle specifiche caratteristiche di quei paesi che le rendono in parte o radicalmente diverse da noi. Per sviluppare, comunque, il discorso in modo produttivo possiamo però trovare dei punti di contatto. Uno è che questi fenomeni sono il risultato dell’onda lunga della conseguenza della crisi, in Italia come da loro. In Italia la crisi ha sbaragliato un determinato assetto di tipo governativo che si basava su una serie di partiti di sinistra che, in qualche modo, potessero contenere. Saltate quelle mediazioni, chiaramente si va… In un paese che già di mediazioni ne aveva poche, come la Tunisia, essendo sotto un regime autoritario, puoi effettivamente aspettarti un fenomeno di questo tipo. Poi, secondo me, l’altro aspetto comune, e nel caso della Tunisia, lo vedi proprio bene, è la questione, pure lì tutta politica, della sproporzione fra quello che, diciamo, tu ti aspetti, le tue aspettative di vita – il livello in cui sei scolarizzato, quello che ti lascia intravedere il mondo capitalista, e, invece, poi…

 

Anche perché ormai si vede un mondo di comunicazioni oggettivamente aperto alla conoscenza di quello che succede altrove…

 

FRANTZ: Esatto, quindi tu vivi con una serie di aspettative mentre la crisi e l’incapacità di gestire in questa fase i processi di accumulazione del capitale invece conducono ad un sostanziale gioco al ribasso, un ridimensionamento delle tue aspettative, per cui poi esplode la rabbia. Tutto il contrario di quello che succede in Cina adesso, cioè in un paese che si sviluppa, come l’Italia degli anni ’60, dove tu vedevi un progressivo estendersi dei livelli di vita, insieme ai livelli di scolarizzazione… mentre, invece, adesso che succede? Che i livelli di scolarizzazione continuano ad essere, in qualche modo, alti, quello che viene invece ad essere attaccato sono i livelli di vita. Per cui qui, come lì, il fattore d’una forza politica dovrebbe raccogliere questa sproporzione fra quello che ti aspetti e la miseria che ti è consegnata.

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Diciamo che, in ogni caso, più della prospettiva di conquistare qualcosa di particolare, è la frustrazione rispetto alle possibilità che intravedi ma che senti impossibile raggiungere confinato in una continua dimensione precaria..

 

FRANTZ: Sì, secondo me la frustrazione è legata ad una condizione di povertà materiale, ma, dall'altro lato, è legata allo stimolo continuo che avviene nella nostra società, rispetto ai desideri, alle possibilità, viaggi, miraggi, mentre poi rimane il dato di un laureato che deve fare la bancarella della frutta. Alla fine questo è stato in Tunisia, per quanto dietro c’è stato anche tutto un lavoro di organizzazioni. Se un laureato arriva a fare questo, significa che quest’uomo è chiaramente uno in cui la motivazione politica esplode. La stessa cosa, in qualche modo, anche in Italia. Non esistono, però, forze politiche in questo momento che raccolgono la sfida di dire: pensiamo effettivamente al futuro in maniera radicalmente diversa. Mentre invece quello che dicono tutti è che si tratta per un’intera generazione di ridefinire le proprie prospettive di vita: “non aspettate di avere quello che hanno avuto i vostri genitori…”.

 

Per concludere, direi, che oggi più di prima la sproporzione grande è fra il piano della possibilità di vita, di conoscere e fare esperienza, da un lato, e dall’altro però la realtà che ancora ti inchioda alla tua specifica e precaria condizione. Da un lato un capitalismo che riesce soprattutto con lo sviluppo della tecnologia a farsi accettare e far crescere le aspettative di vita, dall’altro lato il fatto che tutto ciò avviene sulla base di un immiserimento della maggioranza della popolazione…

 

FRANTZ: Quello che però colpisce è che questa crescita delle possibilità corrisponde però proprio ad un impoverimento del pensiero dal punto di vista delle possibilità di ciò che puoi sperare. Mentre da un lato ti dicono: puoi sempre più viaggiare, puoi comunicare con persone d’un altro pianeta; poi è come se sul piano reale si sfracellassero tutte queste proiezioni immaginarie, dal punto di vista, cioè, di quello che uno concretamente è in grado di fare per il futuro. Noi arriviamo ad immaginare di comunicare con la telepatia, ma non arriviamo ad immaginare una cosa molto più banale, gestire, ad esempio, in modo collettivo e democratico l’economia di questo paese.

 

Proprio in questo numero (il numero 04) pubblicheremo su Città Future un editoriale sul Maghreb. Noi crediamo che è evidente che l’ideale di vita verso cui guardano i giovani del Maghreb nel ribellarsi è quello occidentale, da cui sono nei fatti estromessi, in ogni caso essi per le loro rivoluzioni sperano di sviluppare la loro società in un modo che si avvicini di più a quelle occidentali. Sembra che il capitalismo come sistema, con tutto ciò che questo significa rispetto ai modelli di vita, a come debba poter essere la vita e ai modi, quindi, da parte degli individui di percepirsi, abbia ancora il dominio delle rappresentazioni nei confronti delle rivolte che accadono in giro per il mondo. Questa a riprova che, evidentemente, la rappresentazione alternativa non riesce ancora ad essere chiara o efficace…

 

FRANTZ: Sicuramente questo è legato al discorso che dall’89 il capitalismo è diventato una sorta di ideologia e pensiero unico, e ha permesso una crescita quantitativa ma che, invece, insomma, qualitativamente siamo sempre lì, stesse forme di relazione e modi di pensiero. Detto questo, io non sono così convinto che la prospettiva di sviluppo sia così simile all’Occidente. Lì, diciamo, che comunque all’interno di un’economia capitalista si pensa di poter innestare una propria tradizione culturale e i propri specifici valori che in qualche modo utilizzino questa economia capitalista per dare alla società un connotato d’altro tipo. Tu però puoi vedere, di fatto, la rivolta nel Maghreb non solo lotta come allargamento dei diritti, ma, purtroppo, anche il tentativo di superare l’ingessatura delle loro economie in una direzione di modernizzazione e di sviluppo capitalistico. Per cui, paradossalmente, ti trovi una parte di quei rivoluzionari che sono in verità molto poco rivoluzionari e assolutamente consoni ai dettami di quel capitalismo lì…

 

MAGGIO 2010

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