Coscienza di classe e consenso oggi
IL 14 DICEMBRE CINQUE
MESI DOPO.
Un’intervista politica.
Giulio Trapanese
Sono passati circa cinque mesi dal
movimento degli studenti di quest’autunno. Un movimento ampio, vario,
che ha presentato momenti di discontinuità nelle forme di organizzazione
e di lotta rispetto al suo recente passato e, in generale, rispetto alla
storia degli ultimi vent’anni, dal movimento della Pantera in poi. Un
movimento, quello di quest’anno, che si è trovato ad agire quasi in
sincronia con movimenti analoghi che in quei mesi si sono avuti tra gli
studenti di altri paesi europei, quanto, secondo taluni, ad essere stato
anche un riferimento per alcuni dei movimenti del Maghreb, specie in
Tunisia. Forse che, quindi, il 14 dicembre, che sembra lontano a noi
italiani senza memoria, non è già così superato nella coscienza di altri
popoli e in quello che è potuto significare.
Ne abbiamo parlato separatamente con
Eleonora e con Frantz e Angela, rispettivamente del collettivo
Palayana e del
Cau (Collettivo Autorganizzato
Universitario), entrambi collettivi studenteschi attivi a Napoli.
Eleonora, 1 Maggio, Chiaiano
Sul significato adesso, a cinque mesi,
dalla rottura del 14 Dicembre, tu lo vedi come uno spartiacque
effettivo, rispetto al quale adesso noi viviamo in un dopo, oppure,
comunque, con la sconfitta del passaggio della riforma e la mancata
caduta del governo, un evento che non rimarrà nella coscienza?
ELEONORA: Sul 14 Dicembre, io credo che
sia un evento su cui si sono spese migliaia di analisi e parole nel
momento in cui è avvenuto, parliamo dell’arco che va dal 14 Dicembre a
Natale e poi, immediatamente dopo, i primi di Gennaio. Gli interventi in
quella data si dividevano in due filoni fondamentali: il primo caricava
quell’evento e quella giornata e diceva che quella giornata costituiva
uno spartiacque definitivo di un movimento ammalato di moderatismo, come
quello dell’onda, e che apriva una stagione del movimento, ormai non
solo più studentesco, ma del movimento diventato ormai quello della
generazione precaria. L’altro filone è un filone che, portato avanti
dagli organi più strutturati, sosteneva che il 14 Dicembre è un evento
che ha una sua importanza come giornata singolare, ma esso è stato
dirompente, per via d’una storia di sedimentazione politica che va dal
2008 al 2010 e che ha permesso che il 14 Dicembre 2010 succedesse tutto
questo. Non è solo una spontaneità eccedente che vien fuori dalla rabbia
per la disperazione della crisi - sicuramente anche questo - ma
soprattutto questo che si fa forte dei semi di tutto quello che..
Tu pensi, che a cinque mesi, valga
ancora questo binomio?
ELEONORA: Io penso che a cinque mesi
questo binomio non valga più. Credo che ormai la prima ipotesi sia
caduta un po’ da sola nell’oblio, nel senso che si è annullata da sola.
Penso, invece, abbia ancora una qualche forma di validità la seconda
ipotesi. Non va dimenticato, io credo, che prima del 2008 l’università
erano un luogo di deserto politico, anche se io lo ricordo poco perché
l’ho vissuta poco come universitaria, ero appena al secondo anno nel
2008.
È vero, in effetti, che dal
ELEONORA: Sì, infatti, è successo che il
Quindi il 2008 è, forse, un vero primo
spartiacque?
ELEONORA: Un primo spartiacque
sicuramente è il 2008, si torna a respirare un’aria di discorso politico
dentro i palazzi dell’Università, ma, soprattutto, si mettono in piedi
esperienze di militanza.
E a partire dal
ELEONORA: Dal
C’è anche una sfiducia grande nei
confronti dei partiti.
ELEONORA: Sì assolutamente, quello che è
il presupposto del 2008 e il dato di fatto del 2010. Le esperienze di
autoformazione, che io ho seguito tramite gli strumenti telematici, che
ti permettono di sapere a Pisa, piuttosto che a Bologna, quotidianamente
quali sono i seminari, gli incontri e ti permettono anche di seguirli in
rete. Per due anni di fatto, in tutte le città, si organizzano
settimanalmente seminari di auto formazione gestiti dagli studenti, per
due anni continuamente: io credo sia questo uno dei dati della
continuità…
Quindi il 2008 è stato il primo momento
di mobilitazione grande in cui internet nella società oramai già pesa
molto?
ELEONORA: Sì sicuramente, ma sicuramente
non pesa quanto il 2010. Per esempio l’uso di facebook nel 2010 è molto
più forte, è molto più diffuso del 2008, il movimento del 2010 vive
anche molto dell’immagine che esso si dà su facebook, il 2008 no. Il
2008 si dà solo per strada, si fa nelle piazze, si fa…
Tra l’altro si fa molto nelle lezioni in
piazza, che nel 2010 non ci sono state, per quanto questo anche per
altri motivi.
ELEONORA: Diciamolo con molto realismo:
i numeri del 2008 non sono paragonabili a quelli del 2010. C’era molta
più gente, la gente scesa in piazza nel 2008 era tantissima. Penso che
non abbiamo nessun tipo di difficoltà ad ammettere che a Napoli,
quest’anno, quando siamo scesi tanti in piazza, siamo stati 10 – 15
mila. Nel 2008 abbiamo fatto cortei sicuramente differenti, abbiamo
fatto assemblee di proporzioni inimmaginabili. Nel 2008 riempivamo i
cortili dell’Università, quando quest’anno è difficile che coinvolgevi
più del riempire completamente le aule in cui facevi assemblee. Tutto
questo aiuta a dire che poi il 2010 non ha generato tanto un'opinione
comune che porta la gente in piazza, quanto mette a frutto un sedimento
politico…
Però è interessante anche che se il 2008
non ha avuto, per quanto ci fosse stato due anni prima il Cpe in
Francia, corrispondenze di movimento a livello internazionale, il 2010,
invece, ne ha avute diverse. Il movimento a Londra, la mobilitazione in
Francia, la rivolta in Grecia, anche se più complessa e non solo
giovanile. Insomma, tu pensi che sia stato un elemento reale quello del
condizionamento e della relazione internazionale fra i movimenti?
ELEONORA: Sai cos'è? Io penso, anche a
proposito della questione dell’uso di internet, che rispetto a questo
fenomeno e la sua comunicazione orizzontale o pseudo – orizzontale,
estrapola l’elemento di realtà che c’è nel comune, e nella coincidenza
generale, per cui a Londra, a Roma, a Parigi, e poi nel Maghreb, dopo,
si sviluppa quello che è accaduto è difficile. È difficile cioè oppure
quanto siano stati gli stessi protagonisti di quelle lotte a caricare il
fenomeno fino a farlo diventare reale… Il fatto che a Londra si usassero
i Book Block, che è una pratica bella, che a tutti ha fatto effetto e
che nasce a Roma, venisse ripresa in maniera così diretta nelle piazze
di Londra, in quegli stessi giorni – a Londra il 9 Dicembre - vuol dire
che qui c’è un ruolo, una forza incredibile che ha internet, e che, più
in genere, hanno i media nel trasmettere l’immaginario politico comune.
E il secondo punto è invece più politico, non è certo una coincidenza il
fatto che la crisi economica arrivi nel 2010 con la sua parabola a
colpire…
Vuoi dire che con il 2010 arriviamo a
vedere concretamente gli effetti della crisi?
ELEONORA: Esattamente, ha colpito i
settori che fanno più male e bruciano di più alla quotidianità alla
nostra generazione e che quindi, a quel punto, la rottura netta avviene
a Roma, avviene a Londra, e in maniera più radicale come
Ecco, infatti anche su questo volevo
chiederti. Difficile dire quanto ci sia una connessione temporale, o
quanto anche una linea di suggestione. Tuttavia, ad esempio, un ragazzo
tunisino, un ragazzo egiziano, che vedono attraverso la rappresentazione
dei loro mezzi di comunicazione, un fermento giovanile in Italia, in
Europa, che rimane per loro come una meta da tanti punti di vista, oltre
che evidentemente un modello di sviluppo sociale, non prova ad ispirarsi
ad esse?... ecco sembra che si sia creato comunque una sorta di legame
tra loro e chi prima di loro in Occidente aveva fatto qualcosa, sembra
che qualcosa ci sia stato, almeno una scintilla comune, no?
ELEONORA: Guarda, sicuramente c’è un
elemento di richiamo, credo che abbia un ruolo almeno di richiamo. Cioè
in Europa succede quello che succede fuori, in paesi ad altissima
alfabetizzazione del Maghreb, come
Però c’è una somiglianza
nell’organizzazione della protesta, almeno nell’apparenza, quella
chiamata spontanea alla rivolta, il ruolo dei partiti che è presente ma
non determinante, la forma associativa che passa sul virtuale.
ELEONORA: Faccio un esempio che fa
ridere, però è interessante. Uno dei soggetti più coinvolti nelle
rivolte in Tunisia sono stati i disoccupati organizzati, che a Tunisi
hanno un ruolo fortissimo, ed è un’organizzazione che raccoglie attorno
a sé migliaia di militanti che da anni lavorano contro la dittatura di
Ben Ali. Io credo siano pochi i paesi e le città che presentano
organizzazioni come quella dei disoccupati organizzati; alcune cose,
quindi, sì, possiamo dire che sono molto simili, alcune altre…
Io mi riferisco proprio alle questioni
generali, come rispetto al ruolo dei partiti. Per esempio non c’è più il
partito che convoca la piazza, che sembra una cosa che da decenni si sta
consolidando..
ELEONORA: Sì, così non è più… andrebbe
aperta una discussione su partiti e sindacati in quest’anno politico,
ecco forse questo è un discorso più europeo, ma lo dico perché non ho
tutti gli strumenti per parlare del Maghreb. Bisogna rifuggire
dall’utilizzare gli strumenti della nostra retorica per capire quella
situazione lì. Quindi è meglio limitare il discorso all’Europa... anche
perché se osserviamo le prossime elezioni a Tunisi ci sono 58 partiti,
quindi… vallo a capire cosa significa quel tipo di rivolta con 58
partiti. Tutti i tipi di partiti che vanno da qualsiasi estrazione,
qualsiasi storia politica, da esperienze che sono vicine a quelle
europee, ad altre più vicine a quelle del Medio Oriente, insomma, molte
con fondamentalismo islamico, di tutto di più. Sull’Europa, invece, il
ruolo dei sindacati è differente a seconda delle situazioni: andiamo
dall’Italia in cui, di fatto, tante cose quest’anno sono state possibili
grazie alla sinergia che c’è stata dopo tanto tempo fra sindacato dei
metalmeccanici e movimenti sociali, trasformatasi di fatto in una
simbiosi reale, confronto costante, una situazione tale che ci ha fatto
arrivare alla preparazione del 6 Maggio con un’amicizia reale sui
territorio, tanto con i vertici che con gli operai che hanno partecipato
a quest’asse che sì è creato fra i due mondi. Altro ruolo, invece,
interessante è quello dei sindacati in Francia. Quelli hanno avuto un
ruolo fondamentale anche nelle pratiche radicali, come ebbero già
qualche anno fa, l’occupazione degli aeroporti, piuttosto che delle
raffinerie.
Anche con un’altra capacità di far
convergere la spontaneità con l’organizzazione..
ELEONORA: Infatti, ma ancora diverso
quello che è successo in Inghilterra, dove il sindacato studentesco è
stato superato in maniera fortissima e, però, in maniera non definitiva
dalle forme di autorganizzazione degli studenti che, invece, erano nate
nei mesi precedenti, ma dico in modo non definitivo perché comunque il
sindacato studentesco mantiene un ruolo…
Questo è un discorso molto generale
anche rispetto al destino dei partiti e delle strutture organizzate
rispetto invece alla posizione dei movimenti... Io volevo, però,
chiederti altre due cose in particolare. La prima è quale posizione
strategica, se l’ha, ha oggi l’Università nella società capitalistica
che conosciamo, in cui è subordinata oggettivamente, ormai,
completamente alla logica di valorizzazione di certe capacità, di
asservimento di certe potenzialità a fini produttivi… Se oggi come oggi
la puoi considerare ancora come un punto di attrito forte rispetto alla
tenuta del sistema, o se, dopo tutto, nonostante il
ELEONORA: Io penso che se il 2010 porta
dei frutti, c’è quello del capovolgimento della prospettiva teorica
adottata precedentemente. Non si tratta di un capovolgimento completo,
rispetto alla questione del capitalismo cognitivo e alla valorizzazione
di tutti del lavoro cognitivo che proviene dall’Università, ma di un
atteggiamento completamente differente rispetto ai luoghi del sapere.
Questo ragionamento, poi, va fatto, ma andrà fatto, appunto, tenendo
conto di dove ci troviamo noi e del punto di vista che abbiamo noi.
L’atteggiamento del capitalismo a livello europeo nei confronti della
formazione, trova sicuramente un teatro un po’ diverso rispetto al ruolo
che ha l’atteggiamento del governo italiano ha nei confronti
dell’Università. Questo nel senso che se il governo italiano ha un
atteggiamento nei confronti dell’Università che mira, fondamentalmente,
a riprodurre semplicemente un dissesto finanziario costante, che punta a
mettere in ginocchio realmente i luoghi della formazione, chiudendo i
rubinetti. Se tutto questo si traduce poi in una politica similare e
parallela che viene fatta sulla suola pubblica, cioè se la riforma
Gelmini non è tanto una riforma ideologica, ma una riforma a costo zero,
frammentata nei contenuti, che di fatto non riesce a trovare
applicazione, insomma, se questo è il quadro che il governo italiano
esprime, ho difficoltà ad inquadrare la situazione italiana
immediatamente sul livello europeo. Posso dire..
Rimaniamo anche soltanto in Italia. Tu
investiresti nel movimento studentesco in Italia nei prossimi due, tre
anni a livello strategico se dovessi fare un ragionamento d’opposizione
sociale in generale?
ELEONORA: Non è che non investirei
adesso. Io credo, però, che il movimento studentesco ha in sé dei limiti
fortissimi; se il movimento studentesco non diventa capace di porsi
delle domande che vanno al di là del suo ambito, non riuscirà mai ad
essere un movimento che muove realmente, che si fa movimento sociale
ampio, plurale, che riesce ad incidere nella realtà. Tanta della
retorica sviluppata dopo il 14 dicembre, dico retorica perché non ha
trovato un riscontro, vive però in un elemento reale rispetto al fatto
che, effettivamente, questo movimento di Dicembre, è stato composto da
studenti ma non solo, cioè è fatto da gente che si è posta non il
problema del proprio essere studente, ma si pone, contemporaneamente, il
problema dell’esistenza in quanto tale. È un movimento fatto di
lavoratori della conoscenza, soggetti legati al mondo della formazione,
che però si pongono il problema dei bisogni materiali, bisogni materiali
che riguardano la propria esistenza, questione, quindi della
sopravvivenza, questioni che riguardano fattivamente tutta la nostra
generazione, questioni che però o il movimento studentesco riesce a
porsi, ma in modo complesso e non attaccandosi addosso l’ennesima
caterva di luoghi comuni, oppure non riuscirà ad uscire, a fare quel
passaggio necessario realmente fuori dall’Università.
Angela e Frantz, 4
Maggio, Palazzo Giusso
Intanto la prima cosa che volevo
chiedervi, per cominciare, rispetto al 14 dicembre Voi pensate adesso, a
distanza di cinque mesi, se sia rimasto come uno spartiacque o comunque
un momento alto che tuttavia è ormai passato, ma che non ha cambiato
davvero tanto?
ANGELA:
Il 14 Dicembre è stato sicuramente un’esperienza importante per
molti perché è nato dalla completa spontaneità dei ragazzi, degli
studenti e dei comitati territoriali che erano in piazza quel giorno e
ha portato anche, da un certo punto di vista, allo stesso livello di
conflitto che avevano raggiunto le mobilitazioni contro le varie riforme
universitarie in Europa. A Londra c’era stato tutto il casino nelle
settimane precedenti con l’assalto del quartier generale dei Tories, in
Spagna, anche, c’era stato un corteo molto conflittuale, con cariche
della polizia, arresti, e così via in altre zone dell’Unione europea e
oltre. Ha rappresentato un momento importante per questi due aspetti, ma
essendo, però, nato dalla completa spontaneità e, diciamo pure dalla
disorganizzazione del momento, visto
che non erano stati preparati tutti quegli scontri che sono avvenuti in
piazza, non hanno avuto poi un riscontro, o una pratica che poi è stata
portata avanti.
Pensi che però quindi il 14 sia stato un
salto in avanti rispetto al passato?
ANGELA: Secondo me non è stato un caso
che durante la mobilitazione proprio di quest’anno ci sia stato questo
momento di grande conflittualità studentesca, cosa che non c’è stata,
per esempio nel 2008, perché questo movimento è stato molto più
radicale, soprattutto nei contenuti, rispetto
al 2008. E secondo me il 14 dicembre non ha portato a…
Tu pensi che ci sia quindi una
continuità dal
ANGELA: Sì, sì, certo. Dal 2008 ad oggi
sicuramente c’è stata una continuità, perché dopo
l’Onda si sono formati tanti
collettivi studenteschi, si sono avvicinate tante persone ai collettivi
e alle strutture che esistevano già, ma, secondo me, il 14 Dicembre,
siccome gli studenti volevano fortemente quel giorno, ha portato ad un
ulteriore avvicinamento degli studenti ad un determinato modo di vedere,
determinato modo di ragionare, determinato modo di cambiare il sistema
delle cose, non solo della questione dell’Università, ma anche sul mondo
del lavoro, noi, qui a Napoli, del sistema dei rifiuti, etc. etc.
Secondo te qual è la situazione, cosa è
rimasto nelle coscienze degli studenti di tutto questo autunno?
ANGELA: Secondo me il movimento degli
studenti di quest’anno è riuscito a fare un passo avanti rispetto al
2008. Essendo un po’ più specifico, un po’ più forte, duro nei
contenuti, anche nelle parole d’ordine che venivano utilizzate, non
erano più Siamo tutti studenti,
ma erano parole d’ordine come
Studenti e lavoratori, o anche semplicemente
Abbattiamo
il governo Berlusconi, ma era
una sorta di allargamento unendo la lotta studentesca a quella dei
lavoratori, disoccupati, lotte sociali che si trovano in Italia. Per
molti studenti, anche se ora non partecipano più alla politica
dell’Università, o da qualsiasi altra parte, questo movimento
studentesco ha segnato, però un passo importante della loro vita, anche
perché non sono più indifferenti davanti a certe situazioni..., per
esempio sulla questione antifascista, si vede che qualcuno è un po’ più
sensibile, probabilmente per i discorsi che s’erano fatti nei mesi della
mobilitazione.
Ma una differenza tra il movimento del
2008 e del 2010 è anche l’organizzazione che si è avuta su internet di
certi eventi del movimento e della comunicazione di certi eventi? Perché
con questa intervista cerchiamo di capire anche questo, cioè, pensiamo
pure al solo fenomeno facebook, è cambiato il ritmo della politica o no?
ANGELA: In particolare rispetto a
facebook, perché per i siti dal 2008 al 2010 non è cambiato quasi
niente, facebook, invece, per alcune cose è stato abbastanza utile a far
girare notizie veloci, contattare persone che non scendono
all’università tutti i giorni, perché magari lavorano o stanno a casa,
organizzare un’assemblea pubblica la mattina per il giorno stesso o solo
anche fare un’iniziativa, una festa, un pranzo sociale, mandare un
volantino, etc. Sicuramente ha aiutato, però il momento fondamentale lo
giocano sempre i volantinaggi tra gli studenti, le chiacchierate a tu
per tu, gli strumenti tradizionali, insomma..
Rispetto invece, a quello che mi dicevi
anche tu prima, vale a dire il rapporto con l’Europa, Spagna, Francia,
tu pensi ci sia stato un momento collettivo d’interesse e risveglio in
Europa, oppure si è trattato di eventi separati, troppo diversi?
ANGELA: Secondo me non sono situazioni
completamente separate, perché quando l’attacco è unico, ed è lo stesso,
insomma la matrice è la stessa, in tutti paesi dell’Unione europea, e
anche al di fuori, anche la risposta, magari sarà per caso, magari non è
organizzata veramente fattivamente insieme, però, poi, la risposta che
viene data, è la stessa. Può essere più conflittuale, meno conflittuale,
ci sono partiti, c’è l’autorganizzazione, però insomma…
Tornando, invece, all’Italia, pensi ci
siano stati limiti e quali rispetto al Dicembre e al movimento in genere
di quest’anno, una volta poi che si è vista passare la riforma?
ANGELA: Il limite del dopo 14 Dicembre è
stato quello di non riuscire a centralizzare tutte le forze che s’erano
messe in campo in quel giorno e anche in tutte le settimane precedenti,
perché il 14 non rappresenta né l’inizio né la fine, è soltanto un
momento di un percorso che s’era portato avanti, in particolare a
Napoli, da Ottobre. Il limite vero è stato non canalizzare tutte le
forze in un solo momento unico nazionale, per portare la lotta avanti,
anche in ambiti diversi, ma in maniera più organizzata, anche, appunto,
a livello nazionale.
A te non sembra che rispetto a vent’anni
fa, o forse anche dieci, l’università abbia un ruolo meno centrale, che
di suo riesca anche a condizionare meno la politica italiana, come se,
nel tipo di società in cui viviamo, di fatto, sia una pedina meno
importante, anche proprio dal punto di vista dei potenti?
ANGELA: Secondo me l’Università proprio
come istituzione, chiamiamola così, non ha mai avuto un ruolo così
importante, importante è il ruolo logistico di un’Università, ad
esempio, occupata in situazioni di movimento studentesco, anche solo per
un momento di confronto e discussione, oltre che per organizzare
determinati momenti.
Stai intendendo, quindi, la questione
dal punto di vista dell’organizzazione…
ANGELA: Sì, esatto. Il problema di oggi,
forse, più che altro, è che solo gli studenti si sono mossi, mentre i
lavoratori, non essendoci più determinati partiti e i sindacati sono
ultimamente diventati quello che sono diventati, anche se non lo sono
mai stati 'sta grande cosa. Probabilmente negli anni ’60 era un po’
diverso… cambiano le condizioni, cambia poi anche il movimento, ma è
normale.
FRANTZ: Su quest’aspetto qui
dell’Università, in effetti, secondo me è vero. Il ruolo nell'Università
italiana all’interno della società, italiana in particolare, è cambiato.
L’Università aveva una centralità poiché veniva vista dalle classi
subalterne come spazio da conquistare, perché l’idea (progressista) era
che interessava ai lavoratori nell’avanzata dei diritti e gli
interessava perché ci avrebbero potuto mandare i propri figli. Così
come, invece, da pezzi della borghesia italiana, era visto come un luogo
di sviluppo che avrebbe potuto portare l’Italia finalmente all’altezza
degli altri paesi della comunità europea. Quest’ideologia che riusciva a
trovare un luogo di compromesso, diciamo così, nell’idea di
quest’allargamento dell’Università, è entrato in crisi nel momento in
cui i lavoratori o componenti importanti delle classi subalterne sono
giunte a vedere nell’Università qualcosa come un ricettacolo di
perditempo. Chiaramente, essendoci dietro una perdita, diciamo, di
ideologia complessiva, questi non la considerano qualcosa che li
riguardi, anzi ha preso piede quella retorica di destra che dice che la
cultura è una questione di fighetti di sinistra, se non proprio di
frocetti, quindi, non li riguarda. Là dentro ci sono solo perditempo
che consumano i pochi soldi pubblici rimasti, secondo quell’ideologia
culturale che è nemica dello Stato, etc., per cui l’Università,
sostanzialmente, è considerata come un luogo poco interessante…
Tu pensi che questo sia un fenomeno
particolarmente italiano o tipico della nuova forma di capitalismo
finanziario di oggi?
FRANTZ: Secondo me la questione è
tipicamente italiana e specificamente nazionale in quanto, diciamo, in
Italia ha sfondato, da un certo punto di vista, questo tipo di retorica
e in un qualche modo una certa controrivoluzione è stata più forte,
perché è andata anche a spaccare quel compromesso che era comunque un
compromesso conveniente per la borghesia. Oggi giorno finisce col
prevalere il punto di vista d’una piccola borghesia e una piccola e
media imprenditoria, le quali non hanno bisogno di grandissimi
investimenti dal punto di vista della ricerca. Tu questo, infatti, lo
vedi su tutto il contesto capitalistico, il nostro paese agisce in un
modo particolare, a differenza degli altri paesi europei, in cui
l’Università ha ammesso una partecipazione privata. Da noi è il privato
che cerca di sfruttare la struttura pubblica, non che sia positivo, in
ogni caso; però vedi la differenza... In Italia ci si è arroccati con
una borghesia molto più retriva, che sostanzialmente ha preso il comando
dal ’90 in poi, che ha utilizzato Berlusconi e
Rispetto, invece, alla questione del 14
dicembre sono saltate una serie di mediazioni dalla parte studentesca e
dei partiti, per cui, saltando questa serie di mediazioni, si rendono
più plausibili e possibili dei momenti di rottura. Il problema però è:
che ce ne facciamo del momento dello scontro? E quindi qui torniamo al
problema dell’organizzazione… per cui quello che diceva Angela è vero,
infatti dopo il 14 Dicembre, non c’è stato il momento della
centralizzazione. Per cui riesci pure a creare dei momenti di rottura di
massa, ma è difficile che riesci a trasformare le cose, se non ci lavori
politicamente, con un discorso tutto politico, non di rabbia, se non
lavori a centralizzare. Rispetto al 14 Dicembre e sul dopo, direi che la
manifestazione del 22 Dicembre a Roma, secondo me, è stata
effettivamente un passo indietro, perché è stata la normalizzazione di
quello che era stato il 14 dicembre, attraverso la visita a Napolitano,
attraverso la rappresentazione, dei media, che diceva: vedete questi
lottano per la cultura. Invece, l’elemento di novità di questo movimento
rispetto al 2008, è stato non una lotta giuridica, come la lotta per la
cultura, ma la lotta con cui decidere i rapporti di forza complessivi in
questo paese, perché s’era capito che tutta la situazione… Il 14
Dicembre è, infatti, legato al fatto che la gente voleva arrivare a
Montecitorio, cioè voleva arrivare nel punto più alto in cui, in quel
momento, si giocava la partita, dove cioè si sta decidendo della fiducia
al governo. Cioè ha mirato all’elemento politico. Secondo me questo è lo
spunto più interessante di questo movimento. Chiaramente ne esce
sbaragliato perché non avendo un’organizzazione politica - di qualsiasi
tipo dico - viene facilmente assorbita da quelle forze riformiste, Pd,
etc.
Voi pensate ci sia stato comunque un
legame ideale o di imitazione tra questo movimento studentesco europeo e
il movimento in Maghreb? Per quanto i due movimenti non siano
comparabili, credete però abbia contato per i ragazzi del Maghreb aver
visto un movimento in Europa più radicale, che si è scontrato con le
istituzioni del potere e che ha messo in discussione comunque il non
avere un futuro in quanto generazione? Secondo voi c’è stata un’onda
lunga, anche nelle forme di organizzazione e radicalizzazione nuove? C’è
qualcosa in consonanza fra i due movimenti?
FRANTZ: In verità, io credo di no. Poi
se uno vuole vedere della semplice coincidenza temporale, rischiamo di
rimanere sul piano di descrizione fenomenologica, così come se vogliamo
dire, per esempio, che anche loro usano facebook, pure loro sono
giovani… In verità ci sono delle specifiche caratteristiche di quei
paesi che le rendono in parte o radicalmente diverse da noi. Per
sviluppare, comunque, il discorso in modo produttivo possiamo però
trovare dei punti di contatto. Uno è che questi fenomeni sono il
risultato dell’onda lunga della conseguenza della crisi, in Italia come
da loro. In Italia la crisi ha sbaragliato un determinato assetto di
tipo governativo che si basava su una serie di partiti di sinistra che,
in qualche modo, potessero contenere. Saltate quelle mediazioni,
chiaramente si va… In un paese che già di mediazioni ne aveva poche,
come
Anche perché ormai si vede un mondo di
comunicazioni oggettivamente aperto alla conoscenza di quello che
succede altrove…
FRANTZ: Esatto, quindi tu vivi con una
serie di aspettative mentre la crisi e l’incapacità di gestire in questa
fase i processi di accumulazione del capitale invece conducono ad un
sostanziale gioco al ribasso, un ridimensionamento delle tue
aspettative, per cui poi esplode la rabbia. Tutto il contrario di quello
che succede in Cina adesso, cioè in un paese che si sviluppa, come
l’Italia degli anni ’60, dove tu vedevi un progressivo estendersi dei
livelli di vita, insieme ai livelli di scolarizzazione… mentre, invece,
adesso che succede? Che i livelli di scolarizzazione continuano ad
essere, in qualche modo, alti, quello che viene invece ad essere
attaccato sono i livelli di vita. Per cui qui, come lì, il fattore d’una
forza politica dovrebbe raccogliere questa sproporzione fra quello che
ti aspetti e la miseria che ti è consegnata.
Diciamo che, in ogni caso, più della
prospettiva di conquistare qualcosa di particolare, è la frustrazione
rispetto alle possibilità che intravedi ma che senti impossibile
raggiungere confinato in una continua dimensione precaria..
FRANTZ: Sì, secondo me la frustrazione è
legata ad una condizione di povertà materiale, ma, dall'altro lato, è
legata allo stimolo continuo che avviene nella nostra società, rispetto
ai desideri, alle possibilità, viaggi, miraggi, mentre poi rimane il
dato di un laureato che deve fare la bancarella della frutta. Alla fine
questo è stato in Tunisia, per quanto dietro c’è stato anche tutto un
lavoro di organizzazioni. Se un laureato arriva a fare questo, significa
che quest’uomo è chiaramente uno in cui la motivazione politica esplode.
La stessa cosa, in qualche modo, anche in Italia. Non esistono, però,
forze politiche in questo momento che raccolgono la sfida di dire:
pensiamo effettivamente al futuro in maniera radicalmente diversa.
Mentre invece quello che dicono tutti è che si tratta per un’intera
generazione di ridefinire le proprie prospettive di vita: “non aspettate
di avere quello che hanno avuto i vostri genitori…”.
Per concludere, direi, che oggi più di
prima la sproporzione grande è fra il piano della possibilità di vita,
di conoscere e fare esperienza, da un lato, e dall’altro però la realtà
che ancora ti inchioda alla tua specifica e precaria condizione. Da un
lato un capitalismo che riesce soprattutto con lo sviluppo della
tecnologia a farsi accettare e far crescere le aspettative di vita,
dall’altro lato il fatto che tutto ciò avviene sulla base di un
immiserimento della maggioranza della popolazione…
FRANTZ: Quello che però colpisce è che
questa crescita delle possibilità corrisponde però proprio ad un
impoverimento del pensiero dal punto di vista delle possibilità di ciò
che puoi sperare. Mentre da un lato ti dicono: puoi sempre più
viaggiare, puoi comunicare con persone d’un altro pianeta; poi è come se
sul piano reale si sfracellassero tutte queste proiezioni immaginarie,
dal punto di vista, cioè, di quello che uno concretamente è in grado di
fare per il futuro. Noi arriviamo ad immaginare di comunicare con la
telepatia, ma non arriviamo ad immaginare una cosa molto più banale,
gestire, ad esempio, in modo collettivo e democratico l’economia di
questo paese.
Proprio in questo numero (il numero 04)
pubblicheremo su Città Future un editoriale sul Maghreb. Noi crediamo
che è evidente che l’ideale di vita verso cui guardano i giovani del
Maghreb nel ribellarsi è quello occidentale, da cui sono nei fatti
estromessi, in ogni caso essi per le loro rivoluzioni sperano di
sviluppare la loro società in un modo che si avvicini di più a quelle
occidentali. Sembra che il capitalismo come sistema, con tutto ciò che
questo significa rispetto ai modelli di vita, a come debba poter essere
la vita e ai modi, quindi, da parte degli individui di percepirsi, abbia
ancora il dominio delle rappresentazioni nei confronti delle rivolte che
accadono in giro per il mondo. Questa a riprova che, evidentemente, la
rappresentazione alternativa non riesce ancora ad essere chiara o
efficace…
FRANTZ: Sicuramente questo è legato al
discorso che dall’89 il capitalismo è diventato una sorta di ideologia e
pensiero unico, e ha permesso una crescita quantitativa ma che, invece,
insomma, qualitativamente siamo sempre lì, stesse forme di relazione e
modi di pensiero. Detto questo, io non sono così convinto che la
prospettiva di sviluppo sia così simile all’Occidente. Lì, diciamo, che
comunque all’interno di un’economia capitalista si pensa di poter
innestare una propria tradizione culturale e i propri specifici valori
che in qualche modo utilizzino questa economia capitalista per dare alla
società un connotato d’altro tipo. Tu però puoi vedere, di fatto, la
rivolta nel Maghreb non solo lotta come allargamento dei diritti, ma,
purtroppo, anche il tentativo di superare l’ingessatura delle loro
economie in una direzione di modernizzazione e di sviluppo
capitalistico. Per cui, paradossalmente, ti trovi una parte di quei
rivoluzionari che sono in verità molto poco rivoluzionari e
assolutamente consoni ai dettami di quel capitalismo lì…
MAGGIO 2010