Lavoro - non lavoro
IL PRECARIATO
Alcuni cenni
(Articolo pubblicato in
Dossier sulla scuola a cura dell’Istituto Italiano studi Filosofici,
Maggio 2010 e riprodotto in questa rivista per concessione dell’autrice)
Maria Sole Fanuzzi
«Hanno fatto forse
qualcosa di più che pagare le spese di una mezza dozzina di commissioni
d’inchiesta, i cui voluminosi rapporti sono condannati a dormine in
perpetuo tra cataste di cartacce negli scaffali del Home Office?»
F. Engels
Studi e indagini
L’ultima Commissione d’inchiesta istituita presso gli organi
del Parlamento italiano ad aver aperto un’indagine conoscitiva sul
fenomeno preso qui ad esame risale alla XV Legislatura (periodo di
riferimento: 2006-2007)[1]. Pertanto, è d’obbligo
premettere che ancor’oggi non esiste nel panorama italiano alcuna stima
sintetica, fornita in sede ufficiale e scientificamente attendibile,
quanto a valutazione qualitativa e quantitativa del precariato, ciò che
crea ostacoli di non poco momento finanche all’autorità competente per
l’espletamento delle funzioni di garanzia nei confronti della categoria
lavorativa cosiddetta «precaria».
Dalle audizioni stenografate nella
Indagine citata in nota n. 1 si rileva, anzi, una vera e propria
incapacità informativa nel raccogliere gli elementi precipui e necessari
alle valutazioni quanto meno di statistica da parte delle Pubbliche
Amministrazioni, in quanto
A fronte di ciò, si rende, dunque, necessario,
nell’esposizione che seguirà, procedere innanzitutto per via negativa ed
analogica.
«in primo luogo [...]
una ridotta o assente copertura previdenziale;
(la) mancanza di ammortizzatori sociali per
Quel che preme, tuttavia, qui sottolineare è appena fatto
intendere dallo stesso Biggeri nel prosieguo della sua relazione, di cui
è riportato di seguito un significativo stralcio:
«[…] Se le forme di
lavoro flessibile rappresentano solamente una prima tappa dell’ingresso
di nuovi soggetti (giovani, o meno) nel mercato del lavoro, che
successivamente sono destinati ad essere stabilizzati, si rimane
nell’ambito degli obiettivi posti dalle politiche del lavoro. Non sono
quindi da considerare precarie»[5].
Confronto Italia - Europa
É, infatti, in merito alla considerazione della reale
possibilità di stabilizzazione del lavoratore precario che deve
concentrarsi l’attenzione, soprattutto nell’ottica di tracciare un
profilo di confronto tra
Come rileva lo stesso Biggeri, mentre in Italia
«[…] dall’indagine
condotta dall’Istat sulle forze di lavoro, risulta che l’80 per cento
dei lavoratori titolari di un contratto di lavoro a termine ha affermato
di avere un contratto di lavoro a termine non per propria scelta
volontaria di temporaneità, ma perché hanno trovato solo quel tipo di
offerta»[6],
in quanto
«
si deve, diversamente, notare che
«[...] nel resto dei
paesi dell’Unione europea
Ad esempio,
«[...] in Germania
[...] il lavoro flessibile riguarda circa un terzo dei giovani tra i 20
e i 29 anni, ma solo il 6,5 per cento degli adulti tra 30 e 54 anni. In
questo caso, il lavoro a termine sembra effettivamente essere utilizzato
come via d’accesso al lavoro, che porta a situazioni contrattuali
standard in tempi relativamente brevi»[9].
Normativa di riferimento
All’altezza circa degli anni Settanta del Novecento, infatti,
a livello europeo si è assistito ad una rivalutazione complessiva del
processo di regolamentazione dei fenomeni economici e sociali, tale che,
in nome di un liberismo ottimista quanto contingente nelle sue manovre,
si credé di poter dare avvio senza particolari preoccupazioni ad una
progressiva deregolarizzazione
(deregulation) di tutti gli ambiti della Pubblica Amministrazione –
politica, questa, meglio conosciuta nella nostra penisola col nome di
semplificazione amministrativa (e, all’occorrenza, legislativa)[10].
A questo proposito, nell’audizione del 17 gennaio 2007,
l’allora Commissario straordinario dell’ARAN (Agenzia per
«Specialmente negli
anni Settanta e Ottanta, si vennero però a costituire in vari ambiti
forme di lavoro precario che richiesero da parte del Parlamento e del
legislatore interventi che venivano qualificati come provvedimenti di
sanatoria»[11].
Dapprima
«
In seguito, l’accesso alle Pubbliche Amministrazioni per il
lavoro flessibile fu, in gran parte, escluso, tanto che nella legge del
14 febbraio 2003, n. 30[13],
conosciuta come «legge Biagi» (vedi nota n. 10), all’articolo 3
(Delega al Governo in materia di
riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale) si può
leggere:
«Il Governo è delegato
ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali [...] uno o più decreti legislativi, con esclusione dei rapporti
di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, recanti norme
per promuovere il ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale,
quale tipologia contrattuale idonea a favorire l’incremento del tasso di
occupazione e, in particolare, del tasso di partecipazione delle donne,
dei giovani e dei lavoratori con età superiore ai 55 anni, al mercato
del lavoro, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi
[...]»[14].
L’osservazione del ruolo che il lavoro flessibile ha avuto
nella pubblica amministrazione riconduce a considerazioni ulteriori, in
particolare sul rapporto tra lavoro flessibile e blocco del
turnover. Come dichiara, tra
molte altre voci concordi, il Presidente della XI Commissione – Lavoro
pubblico e privato, Gianni Pagliarini,
«spesso le forme di
lavoro atipiche sono state utilizzate per raggirare il blocco delle
assunzioni, del
turnover»[15].
L’osservazione di ciò induce a non poter prestare più oltre
fede alle molte e molto spesso fraseologiche dichiarazioni di principio,
le quali vorrebbero far intendere simili complicati meccanismi di
alternanza alle «maestranze» come fine strumento per
«un sistema efficace e
coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza al
mercato del lavoro e a migliorare le capacità di inserimento
professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di una prima
occupazione, con particolare riguardo alle donne e ai giovani»[16],
poiché è chiaro ormai, e giova citare a questo punto ancora
il Presidente Pagliarini, che
«i 10 occupati di
trenta anni fa oggi
(risultano)
20, solo perché in realtà si stanno dividendo esattamente le ore dei 10
occupati di trenta anni fa. Ho il sospetto che le cose stiano
effettivamente così – continua il Presidente –, altrimenti non si
spiegherebbe perché in questo paese si avverte un problema salariale
enorme e il livello delle retribuzioni è basso (se anziché 36 o 40 ore
si lavora 15, 18 o 20 ore, è evidente che c’è anche un problema di
salario e di retribuzione)»[17].
Interpretazione che viene confermata da un precedente
storico-giuridico di importanza rilevante e che emerge nell’Indagine
durante l’audizione del 17 gennaio 2007, quando Massimo Massella Ducci
Teri (Commissario straordinario dell’ARAN), completando
«L’altra norma
fondamentale già presente nel decreto legislativo n. 29, che non è stata
modificata ed è stata addirittura ritenuta fondata dalla Corte di
giustizia delle Comunità europee con due recenti sentenze del 2006,
prevede comunque il divieto della trasformazione del rapporto di lavoro
da tempo determinato a tempo indeterminato»[18].
E a nulla o pochissimo è valsa
«il personale
interessato alla stabilizzazione debba essere in possesso dei seguenti
requisiti: essere in servizio a tempo determinato da almeno tre anni,
anche non continuativi, ed essere stato assunto mediante selezione
concorsuale o altre modalità previste dalla legge. Qualora le unità in
attesa di stabilizzazione fossero state assunte a tempo determinato
tramite selezioni diverse da quella concorsuale, si rende necessario
l’espletamento di apposite prove selettive»[19],
poiché essa tendeva inevitabilmente, per le caratteristiche
richieste agli «interessati», a rivolgersi ad un numero estremamente
esiguo di soggetti, come poi, in effetti, è stato denunciato a mezzo
stampa da numerose inchieste giornalistiche (vedi soprattutto articoli
de L’Unità).
Conseguenza ultima è stato il perdurare di una situazione
ambigua in cui una percentuale elevatissima di lavoratori, calcolata in
modo molto approssimativo, nel corso dell’Indagine, in vari milioni, si
è ritrovata costretta ad operare.
Lavoro precario e lavoro sommerso
Tuttavia,
Si può, anzi, affermare, in prima istanza, che il rapporto
tra lavoro precario e lavoro sommerso è di parentela: alcune quote di
lavoro precario possono, cioè, essere intese propriamente come lavoro
sommerso, non visibile, ossia, nella sua completezza giuridica, sociale,
economica.
«Sommersa» è, infatti, qualsiasi tipologia di impiego
lavorativo non assistito da tutela, o meglio, i cui soggetti agenti non
sono titolari di fatto dei diritti di garanzia e di tutela né dei
diritti previdenziali previsti, innanzitutto, in sede costituzionale: e
simile – per gran parte della categoria precaria – è tale descrizione[21].
E ciò in conseguenza del fatto che, come è stato anticipato
sin dall’inizio,
A livello risolutivo, dunque, è importante prendere in
considerazione le politiche di controllo sul lavoro.
Tra i precedenti storici, presi in esame nell’Indagine,
interessante è il riferimento all’art. 1, comma 1198 della legge del 27
dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007)[22],
menzionato dal prof. Alberto Burgio durante
«Una questione che mi
permetto di sollevare riguarda l’ormai famosa parte del comma 1198 del
maxi-emendamento all’articolo 16 (se non sbaglio) della finanziaria, che
prevede un anno di sospensione di tutte le attività ispettive (ivi
comprese quelle che concernono
E immediatamente dopo il prof. Burgio sottolinea quanto viene
riportato:
«Inevitabilmente questa
disposizione […] rischia di essere interpretata come un avallo o
addirittura come un’esortazione, per non dire un’istigazione, a violare
quelle norme, giacché si prevede che, anche in caso di violazione, per
un anno nessuno sarà chiamato a svolgere i controlli e a comminare
sanzioni. Credo che sarebbe opportuno cancellare quanto prima quella
norma per trasmettere un segnale positivo al paese»[24].
In Parlamento non seguirono il consiglio ed oggi il comma
1198 è ancora al suo posto.
Né si è cambiato rotta col cambio di Legislatura. Il
Documento di programmazione
dell’attività di vigilanza per l’anno 2009[25],
stilato nel febbraio dell’anno scorso dal Ministero del Lavoro, della
Salute e delle Politiche Sociali – Direzione generale per l’Attività
Ispettiva, sotto
«Rispetto al numero
delle aziende da ispezionare programmate nel 2008 il cambiamento «di
rotta» dell’azione di vigilanza (che) comporterà
Neppure si creda, tuttavia, che quanto stabilito nel
paragrafo Coordinamento con Enti
previdenziali[27]
possa rappresentare un valido strumento di risoluzione dei tanti
problemi connessi al fenomeno del precariato, in quanto gli Enti
previdenziali, se anche riuscissero – in futuro, poiché ad oggi nulla è
ancora migliorato – a fornire aiuti preziosi nella gestione dei
lavoratori flessibili, poco o nulla potranno fare per i precari, che,
non essendo destinatari di politiche di previdenza sociale, non sono
iscritti negli albi degli Enti previdenziali, che, quindi, non ne hanno,
se non in modo approssimativo e indiretto, alcuna contezza precisa.
Tutto ciò in un contesto europeo che continua a vedere nel
processo di deregulation il
rimedio principale alle patologie del mercato unico, confondendo
visibilmente
A buon diritto, dunque, il presidente della Commissione XI,
Pagliarini, commentava:
«Altra cosa è invece
FEBBRAIO 2010
[1]
Cfr. Indagine conoscitiva
sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
commissione XI – lavoro pubblico e privato (2006-2007)
fonte internet:
[2]
Cfr. Indagine conoscitiva
sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – lavoro pubblico e privato, seduta del 7
novembre 2006, audizione di Luigi Biggeri (Presidente Istat):
«Le opinioni e le valutazioni sull’impatto, cioè sull’efficacia,
l’entità e
[3]
Riguardo alla classificazione del lavoro «flessibile», cfr.
Indagine conoscitiva sulle cause e le dimensioni del precariato
nel mondo del lavoro, Commissione XI – lavoro pubblico e
privato, seduta del 7 novembre 2006, audizione di Luigi Biggeri
(Presidente Istat): «È
quindi opportuno distinguere almeno fra «flessibilità oraria» e
«flessibilità contrattuale» (in tal caso si parla di «lavoro
temporaneo»: al riguardo, vedi sotto),
tenendo separate le due cose, in quanto solo
[4]
Cfr. Indagine conoscitiva
sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – lavoro pubblico e privato, seduta del 7
novembre 2006, audizione di Luigi Biggeri (Presidente istat), p.
5.
[5]
ibidem.
[6]
Ibidem.
[7]
Ibidem.
[8]
Ibidem.
[9]
Cfr.
Indagine conoscitiva sulle
cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – Lavoro pubblico e privato, seduta del 7
novembre 2006, audizione di Luigi Biggeri (Presidente Istat), p.
7.
[10]
Cfr. Indagine conoscitiva
sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – Lavoro pubblico e privato, seduta del 7
novembre 2006, audizione di Luigi Biggeri (Presidente Istat):
«[…] il fenomeno ha incominciato a manifestarsi [...], anche perché si è
verificata una marcata deregolamentazione, non solo a livello
italiano, anzi inizialmente al livello OCSE e poi come strategia
dell’occupazione a livello di Unione europea. A partire dal
1997, tale deregolamentazione ha condizionato certamente, in
modo rilevante, le politiche del lavoro e dell’occupazione nei
vari paesi dell’Unione». È chiaro che in questo passo della
sua relazione, Biggeri fa riferimento alla cosiddetta «Legge
Treu» (Legge del 24 giugno 1997, n. 196:
Norme in materia di
promozione dell’occupazione), che può a giusta ragione
essere considerata come
[11]
Cfr.
Indagine conoscitiva sulle
cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – Lavoro pubblico e privato, seduta del 17
gennaio 2007, audizione di Massimo Massella Ducci Teri
(Commissario straordinario dell’ARAN), p. 4.
[12]
Ibidem.
[13]
[14]
Cfr. anche l’art. 6: «Le disposizioni degli articoli da
[15]
Cfr. Indagine conoscitiva
sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – Lavoro pubblico e privato, seduta del 17
gennaio 2007, p. 9.
[16]
Cfr. legge del 14 febbraio 2003 n. 30, art. 1, comma 1.
[17]
Cfr. Indagine conoscitiva
sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – Lavoro pubblico e privato, seduta del 2 maggio
2007, audizione di Cesare Damiano (Ministro del Lavoro e della
Previdenza sociale), p. 12.
[18]
Cfr. Indagine conoscitiva
sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – Lavoro pubblico e privato, seduta del 17
gennaio 2007, audizione di Massimo Massella Ducci Teri
(Commissario straordinario dell’ARAN), p. 5.
[19]
Cfr. Indagine conoscitiva
sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – Lavoro pubblico e privato, seduta del 30 maggio
2007, audizione di Luigi Nicolais (Ministro per le Riforme e le
Innovazioni nella Pubblica Amministrazione), p. 5.
[20]
Molto spesso si tende ad eguagliare
[21]
Vedi nota n. 4.
[22]
Legge del 27 dicembre 2006 n. 296, art. 1, comma 1198:
«Nei confronti dei datori
di lavoro che hanno presentato l’istanza di regolarizzazione di
cui al comma 1192, per
[23]
Cfr. Indagine conoscitiva
sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – Lavoro pubblico e privato, seduta del 2 maggio
2007, audizione di Cesare Damiano (ministro del lavoro e della
previdenza sociale), p. 7.
[24]
Ibidem.
[25]
Fonte internet:
http://www.casaportale.com/public/uploads/14012-pdf1.pdf
[26]
Cfr. Documento di
programmazione dell’attività di vigilanza per l’anno 2009,
p. 5.
[27]
Cfr. Documento di
programmazione dell’attività di vigilanza per l’anno 2009,
p. 6-7.
[28]
Per il rapporto tra precariato e immigrazione clandestina, vedi
Indagine conoscitiva sulle
cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,
Commissione XI – Lavoro pubblico e privato, seduta del 29 maggio
2007, audizione di Paolo Ferrero (Ministro della solidarietà
sociale).