CRISI E RESISTENZA OGGI
Redazione
I.
Siamo di fronte ad un bivio, l'umanità
ha raggiunto un punto cruciale del proprio cammino. Siamo vicini a una
situazione di degrado irreversibile. La vita moderna ci ha dato grande
(troppa) velocità e grandi conoscenze tecniche, di cui però ignoriamo
gran parte dei meccanismi, ma ha eliminato la capacità di essere in
armonia con noi stessi e con il mondo circostante, e non riconosciamo
l'armonia nelle cose, la preziosità della vita. Così, la nostra cultura
genera uomini e donne ignoranti che, sentendosi esiliati dal proprio
ambiente, non esitano a distruggerlo senza alcuno scrupolo. La violenza
di questo esilio è tale che per la prima volta l'umanità si trova
davanti alla possibilità reale e concreta della propria distruzione.
La situazione è
oggettivamente grave: ma qui non si tratta di essere ottimisti o
pessimisti, ma bisogna porsi in un'altra dimensione, quella della
riflessione critica, conciliando l'ottimismo della volontà con il
pessimismo della ragione, per sviluppare una prassi governata dalle
passioni gioiose.
Ma la strada non
è già segnata: in un periodo di crisi globale, abbiamo l'opportunità del
mutamento, di riprenderci la vita nelle nostre mani, valutando tutte le
possibili alternative, stimandone le conseguenze, risvegliando la
«coscienza planetaria». Nella lingua cinese, l'ideogramma «crisi»,
Wei Ci, è costituito da un primo segno che significa «attenzione,
pericolo», e da un secondo che significa «opportunità di cambiamento».
Potremmo essere
all'inizio di un nuovo periodo di consapevolezza ed evoluzione sociale,
spirituale e culturale, così da uscire da questa preistoria umana, per
entrare nella storia. La sfida è questa: scegliere il nostro futuro,
decidere il destino della vita su questo pianeta.
II.
Da una parte, la sensazione che sia già
troppo tardi soffoca ogni afflato di speranza, dato che lo stato
eco-sistemico globale è diventato sempre più critico, sempre più lontano
dall'equilibrio: al momento il destino della nostra società è legato ad
un’organizzazione fondata sull’accumulazione illimitata, un sistema che
sovraproduce condannato alla crescita e all'iperconsumo, che
esternalizza i danni facendoli ricadere sulle generazioni presenti e
future e sull'ambiente. Siamo fuori dal tempo e dallo spazio: pressoché
mai la distruzione di risorse, di ricchezze naturali, l’inquinamento
ambientale, le malattie e il dolore delle persone vengono intravisti
nella loro dimensione futura, nei loro effetti differiti nel tempo.
Ma dall'altra
parte, è possibile che stiamo assistendo allo sviluppo di una nuova
cultura, sostenuta da persone che in tutto il mondo operano
spontaneamente per risolvere i problemi umani, ambientali, politici,
economici.
III.
Secondo un approccio sistemico, nel
«Sistema Terra» abbiamo infatti vari sottosistemi: alcuni tenderanno a
portare il sistema globale ad uno stato di maggiore disgregazione, altri
cercheranno di mantenere lo status quo di progressivo lento
peggioramento, altri ancora tenderanno ad aumentare l'organizzazione
dell'intero sistema.
Questa
descrizione collima con quella fatta da Paul Ray, in una ricerca
sociologica compiuta dal 1986 al 2008, che attraverso indagini, focus
groups e interviste in profondità, ha individuato negli Usa, esempio
tipico di società industrializzata (e successivamente sono state
condotte ricerche simili in Italia, Francia e Giappone), un cambiamento
fondamentale di valori. Poiché sono culturali, i valori misurati sono
lenti a cambiare, diversamente dagli atteggiamenti e dalle opinioni, ed
hanno una migliore capacità predittiva in quanto dipendono
dall'appartenenza degli intervistati a tre grandi sottosistemi
culturali, tre sub-culture: quella dei «Conservatori», ovvero un quarto
degli abitanti, fortemente orientati alle logiche del consumismo e
dell'industrializzazione, chiusi nella vecchia visione tradizionale
della vita, senza porsi problemi particolari sull'etica o sulla
globalizzazione; quella dei «Modernisti», la metà degli abitanti, che
crede nel progresso, nella scienza, nei beni di consumo tradizionali,
tendenzialmente poco interessata, ma non chiusa, ai problemi etici; e
infine quella dei «Creativi Culturali», la parte più percettiva dello
stato di pericolo del sistema, che ha elevati valori ecologici, etici e
spirituali, è a favore della crescita personale, che è socialmente
responsabile ed è
consapevole delle problematiche ambientali e globali, e che opera per
elevare l'organizzazione del sistema ad un livello di ordine maggiore,
alla ricerca di nuovi stili di vita, di nuovi valori, di nuovi modelli
di interpretazione della realtà, al fine di creare una nuova cultura.
Quest'ultima
parte agisce per aumentare la coerenza del sistema nel suo insieme,
tendendo a creare una rete di contatti e collaborazioni extra-nazionali.
E ciò proprio perché si è sviluppata dalla sintesi di differenti
visioni, orientali e occidentali, dall'integrazione di tradizioni
spirituali, mediche e scientifiche, introducendo così nuovi modelli e
paradigmi che possiamo definire olistici (dal greco olos,
l'intero, il tutt'uno), in quanto fortemente basati sul riconoscimento
dei sistemi complessi come «unità multidimensionali»: così l'essere
umano è visto come «unità mente-corpo-spirito»,
IV.
La cultura occidentale vede tutto
spaccato in due, considera «opposte» e in lotta le due parti, invece di
guardale come due poli indivisibili, due facce della stessa medaglia.
Pensa che un «polo» sia migliore e pretende di far sparire l’altro polo.
Utilizzando la terminologia del Taoismo, vogliamo un universo solo Yang:
lo Yin deve essere abolito. In tal modo si causa solo angoscia, ansia,
paura, sentimenti che ci bloccano, ci rendono deboli e ancora più
addomesticabili.
Oggi la stessa
fisica quantistica ammette una logica «sì e contemporaneamente no»,
«vuoto e contemporaneamente pieno», così come l'occhio di colui che
compie un esperimento può influenzare l'esperimento, attraverso il
proprio stato energetico ed emotivo.
La visione
unicamente biologico-chimica dell'essere umano non tiene conto di un
fattore fondamentale: l'energia.
Basti pensare
all'approccio della medicina allopatica alla malattia: si tende a curare
il sintomo, senza dare peso all'unità dell'uomo, mente-emozioni-corpo, e
quindi senza considerare anche l'approccio omeopatico non potrà mai
avere una visione completa, perché è come se guardasse in un solo punto.
Ed invece siamo esseri di energia, e siamo composti all'80% di acqua,
elemento che per definizione trasmette e amplifica le frequenze
energetiche. C'è quindi assoluto bisogno di superare il dualismo
cartesiano mente/corpo.
V.
I modelli olistici riescono a creare una
sintesi tra le interpretazioni dei vecchi modelli, fondati sulle
dicotomie (dal greco, diko e temno, divido in due parti),
materialisti e spiritualisti, che dividevano la materia dalla coscienza
e il corpo dalla mente. Così i modelli spiritualisti ritengono che tutto
sia dovuto allo spirito o creato da Dio, mentre quelli materialisti che
tutto sia derivato dalle leggi casuali della fisica. Questi modelli
dicotomici sembrano la rappresentazione ideologico-culturale delle
funzioni polari dei due emisferi cerebrali: l'emisfero
analitico-razionale privilegia la comprensione scientifica e oggettiva
dei fenomeni, mentre l'emisfero intuitivo-analogico privilegia la
comprensione filosofica e spirituale degli stessi fenomeni. Bisogna
cercare di andare oltre la divisione materia/spirito: Franco Battiato in
Inneres Auge canta «la linea orizzontale ci spinge verso
la materia, quella verticale verso lo spirito», e la strada è proprio
quella della ricerca della diagonale tra le due linee, ed il
modello olistico sembra rappresentare la sintesi globale delle due
limitate percezioni, offrendo una visione più unitaria e complessa
dell'essere umano e dell'esistenza, senza nulla togliere alla
scientificità o all'oggettività dei dati.
Attraverso
articolate contaminazioni interculturali, riprende le linee conoscitive
delle antiche tradizioni mediche, filosofiche e spirituali di tutto il
mondo, coniugandole con le più avanzate ricerche scientifiche. Base del
paradigma olistico è il principio secondo cui «il tutto è più della
somma delle sue parti», che spinge a considerare ogni sistema nella sua
globalità e complessità, non limitandosi a studiarne separatamente
alcuni componenti.
Negli ultimi
decenni il paradigma olistico ha acquistato maturità e complessità
grazie ad una serie di scoperte ed ipotesi scientifiche che ne
confermano i presupposti filosofici e rendono attuali le antiche
comprensioni: la coerenza quantistica elettrodinamica, le ricerche di
pnei,
Psiconeuroendocrinoimmunologia, le ricerche neurofisiologiche sulla
meditazione, la teoria generale dei sistemi, l'ipotesi olografica,
l'ipotesi Gaia, il vuoto subquantistico, la non località, gli studi
psicologici sull'apprendimento e sull'educazione globale, solo per fare
alcuni esempi.
La forzata
negazione dell'elemento interiore, spirituale, ha invece generato una
scienza fortemente riduzionista che tende ad interpretare i fenomeni in
modo meramente materialista e meccanicistico, che rimuove la coscienza e
l'intelligenza da ogni interpretazione: la cultura dominante, schiva del
paradigma materialista, possiede una visione del mondo che è a
compartimenti stagni, insieme a procedure di analisi e di intervento
disgiunte e settoriali, in cui, ad esempio, i vantaggi economici vengono
misurati secondo una prospettiva meramente economicistica, senza
considerare i vari effetti collaterali che si possono produrre su altri
piani, sanitari, ecologici, etici, sociali ecc.
È questo modo
separato di considerare i diversi processi e aspetti del reale che è il
principale responsabile del grave dissesto ambientale, di caos economico
e di malessere sociale ed individuale in cui ci troviamo.
VI.
La nuova cultura dei «Creativi
Culturali», in rapido sviluppo, ha quindi adottato una concezione del
mondo più unitaria e globale, una visione olistica della vita, con una
forte enfasi sulle relazioni, orientate alla ricerca di sé e allo
sviluppo psicologico, propensa ad una consapevolezza globale, essendo
insoddisfatti verso le grandi istituzioni politiche ed economiche della
vita moderna e rifiutando il materialismo come base della vita e dello
stato sociale. Oggi i «Creativi Culturali» rappresentano più di un
quarto degli abitanti del mondo occidentale, sono in crescita, e stanno
creando una nuova cultura, nuove relazioni, essendo portatori di nuovi
valori, stili di vita e visioni del mondo, dall'ecologia all'economia
etica, dalle relazioni collaborative alle medicine alternative e ai
metodi di crescita personale, che hanno una evidente e comune matrice
olistica.
I creativi
culturali, non sono però consapevoli di rappresentare un movimento e
quindi un corpo collettivo, capace di influire sul futuro locale e
planetario, un macrofenomeno. La grande debolezza è rappresentata quindi
dalla frammentazione. Esistono miriadi di gruppi, con finalità simili,
ma che si muovono in maniera disorganica, con un basso livello di
comunicazione e sinergia collettiva. Questa massa critica deve prendere
coscienza della propria estensione e della propria forza. Perché il
cammino verso la liberazione dell'uomo è il cammino dell'uomo dal
dualismo all'unità, dall'individualità alla molteplicità, ed è qui e
ora.
VII.
Miguel Benasayag afferma: «Essere amici
della vita comporta non accettare l'avanzata del neoliberismo, ma
creare, amare, lottare in modo assolutamente radicale».
E quindi la vera
resistenza passa dalla creazione, qui e ora, di relazioni, di pratiche e
di forme alternative, quotidianamente, da parte delle persone e dei
gruppi che, attraverso queste pratiche concrete e una militanza che
coinvolge l'esistenza, sappiano andare oltre il capitalismo, la reazione
e il disimpegno nichilista, che immaginino un'alternativa di valori
comuni rispetto a quelli propagandati con successo dal sistema odierno.
Resistere significa creare le nuove forme, le nuove ipotesi teoriche e
pratiche che siano all'altezza della sfida attuale. Agire, essere attivi
non significa fare tante cose, avere le giornate ultrapiene, cioè esser
super-regolamentati, come intende la nostra società disciplinare.
L'agire è in realtà una scelta quotidiana e sempre infinitesimale: la
scelta dell'armonia, di andare alla ricerca delle questioni fondamentali
che fondano la situazione e di non sottomettersi agli ideali dominanti.
Ed anche l'inazione orientale viene spesso fraintesa: significa «non
agire in base all'accidente», all'emergenza, non essere nell'agitazione,
nel reagire.
VIII.
La tristezza sociale e personale,
facendo leva sull'ideologia e sull'insicurezza, ci induce a pensare di
non disporre più dei mezzi per vivere un'esistenza autentica e perciò ci
assoggettiamo all'ordine e alla disciplina della sopravvivenza. Colui
che patisce non si fa domande, fa ciò che fa a causa di una pulsione o
di ideali sociali. Il tiranno ha bisogno della tristezza, perché così
ognuno di noi si isola nel suo piccolo mondo, virtuale e inquietante,
proprio come gli uomini tristi hanno bisogno del tiranno per
giustificare la propria tristezza. Il capitalismo si è inventato un
mondo unico e monodimensionale, che però non è dato «in sé». Perché
esista ha bisogno della nostra sottomissione e del nostro consenso. Il
capitalismo non può esistere senza serializzare, separare, dividere.
Il primo passo contro la tristezza, che è la forma con la quale
il capitalismo entra nelle nostre esistenze, è la creazione, in forme
molteplici, di legami concreti di solidarietà. Rompere l'isolamento,
creare queste forme solidali è l'inizio di un impegno, di una militanza
che funziona non più solamente «contro» ma contemporaneamente «per» la
vita e la gioia, attraverso la liberazione della potenza.
IX.
Lo slogan altermondialista, «Un altro
mondo è possibile», racchiude in sé la propria sconfitta: si resta
vittime dell'immaginario, si pronuncia lo slogan, siamo tutti d'accordo,
ma poi? Cosa accade nel concreto? Si rischia di tornare al proprio
privato compiaciuti, e tutto resta così com'è, e questo è
deresponsabilizzante. Ma di certo, un altro mondo è necessario.
E così bisogna
pensare il mondo in ogni quartiere, non uscire dal quartiere per pensare
al mondo: il sistema mondo esiste in ogni quartiere. Non può esserci
un'unica ricetta globale. Ci sono tante, diverse ricette locali che
agiscono sul globale. Bisogna iniziare a costruire, qui e ora. E non
dobbiamo dimenticare che una vibrazione d'energia prodotta qui, risuona
in tutto l'universo. Cambiare il posto in cui si vive significa far
propagare un segnale positivo in tutto il pianeta, e anche oltre.
Qualunque lotta
contro il capitalismo che pretenda di essere globale e totalizzante
rimane ingabbiata nella struttura stessa del capitalismo, che è appunto
la globalità, è ovunque e pervade ogni cosa. La resistenza deve partire
e dispiegarsi nelle molteplicità, al di là di tutte le etichette sociali
della professione, della nazionalità, dello stato civile, la
ripartizione tra disoccupati, lavoratori, handicappati, dietro alle
quali il potere cerca di uniformare e di schiacciare quella
molteplicità/unità che ognuno di noi è.
Perciò la
resistenza alternativa sarà tanto più forte quanto più saprà uscire
dalla gabbia dell'attesa, da quel meccanismo classico che rimanda
invariabilmente al domani, al poi, al momento della liberazione. Il
domani resta sempre domani, il domani dell'attesa, del perpetuo rinvio,
non esiste, se non nella paura, nella minaccia del futuro.
X.
Resistere è creare: significa scoprire
la gioia di un'esistenza più piena, più libera. Nella società della
separazione, la società capitalista, gli uomini e le donne non trovano
quello che desiderano, devono accontentarsi di desiderare quello che
trovano, come dice Guy Debord. La separazione è così separazione degli
uni dagli altri, di ognuno di noi col mondo, del lavoratore dal suo
prodotto, ma nello stesso tempo di ognuno di noi separato, esiliato, da
se stesso.
La ricerca della
libertà è legata alla struttura del movimento reale, della critica
pratica, della costante messa in discussione di sé e dello sviluppo
potenzialmente illimitato della vita.
Resistere
significa, olisticamente, superare la separazione tra teoria e pratica,
tra la mente e il corpo, significa creare i collegamenti tra le ipotesi
teoriche e le ipotesi pratiche, significa che chiunque sappia qualche
cosa sappia anche trasmetterla a chi desidera liberarsi. Creiamo allora
le relazioni, i legami che rafforzano le teorie e le pratiche
dell'emancipazione, voltando le spalle al canto delle sirene che ci
propongono di «occuparci della nostra vita», perché la nostra vita non
vuole ridursi alla sopravvivenza.
XI.
La produzione capitalista è una
produzione diffusa e ineguale. Per questo la lotta, la resistenza,
devono essere molteplici ma solidali. Una liberazione individuale o
settoriale non esiste, per questo vanno travalicati i limiti delle
rivendicazioni settoriali. La libertà non si coniuga se non in termini
universali: la mia libertà, in altre parole, non si ferma dove comincia
quella dell'altro, ma la mia libertà non esiste se non a condizione
della libertà dell'altro. Come diceva Hegel, possiamo essere liberi solo
se tutti lo sono. Siamo tutti legati. Si tratta di sapere, da un lato,
fino a che punto lo si è, e dall'altro, su quale versante della lotta.
È necessaria la costruzione, qui e ora, delle reti e dei collegamenti di
resistenza che liberino la vita da questo mondo di morte. È
indispensabile riflettere sulle nostre pratiche, pensarle, sentirle,
renderle visibili, intelligibili, comprensibili. Riuscire a
concettualizzare quello che facciamo legittima quanto costruiamo e
concorre alla socializzazione dei saperi. Internet, nonostante la ancora
scarsa diffusione e i suoi limiti, permette di raccogliere e di mettere
a disposizione di altre persone e di altri gruppi questi saperi
libertari che possono servire a rafforzare la lotta degli uni e degli
altri, al fine di creare una massa critica coesa, capace di influenzare
i processi sociali meglio di quanto faccia la maggioranza della
popolazione: basti pensare, ad esempio, alla capacità di influenza che
ha, sulla quasi totalità della gente, una parte davvero minima, ovvero i
giornalisti e gli operatori della comunicazione, ma che purtroppo non
informa criticamente, anzi disinforma, crea un'altra realtà.
Il «Manifesto
della rete alternativa di resistenza», redatto da vari gruppo di
resistenza sudamericani a Buenos Aires nel 1999, conclude così: «Il
capitalismo non cadrà dall'alto. Per questo, nella costruzione delle
alternative, non esistono progetti grandi e progetti piccoli». Ogni
nuova pratica, che faccia emergere nuove possibilità, è un segnale che
parte e si propaga nel mondo, potrebbe essere quel battito d'ali di una
farfalla che possa aiutare ad innescare il cambiamento.
In questo contesto si
inserisce il nostro progetto «Città Future», contenitore di discussioni
e saperi, alla ricerca di teorie e pratiche «altre», passate e future,
ma specialmente presenti: tutto ciò che oggi vive e resiste
creativamente, nei vari campi dell'esistenza.
DICEMBRE 2010