Americanismo oggi
I NUOVI GIOVANI E IL
NARCISISMO DI MASSA
Giulio Trapanese
I.
Anzitutto, scrivere di giovani e di narcisismo per una sezione
Americanismo oggi, per un primo numero d’una rivista ancora non edita
non è semplice. Ci leggeranno giovani? E in che senso questi giovani
potranno intendere d’essere nuovi rispetto alle generazioni precedenti?
Il rischio maggiore risiede soprattutto nel non conoscere ancora chi
possa leggere questa rivista e questa sezione, con l’interesse di
provare a comprendere il groviglio del nostro presente; in più la
difficoltà è che alcune considerazioni che qui seguono potrebbero
portare a credere che proprio i giovani oggi non esistono più nella
nostra società.
II.
Quando Adorno ha provato a descrivere le nuove società di massa, il loro
sistema onnipervasivo, e le trasformazioni nello scontro fra le classi
con la nuova forma di conflitto fra omologazione e resistenza al
sistema, il blocco di poteri economici, politici e culturali che oggi si
presenta imponente, era appena ai suoi inizi. Gli inizi del cinema, gli
inizi della radio, l’inizio della diffusione di massa dei giornali e
delle riviste. E’ interessante che già la radio per Adorno si presentava
come un passo in avanti verso la spersonalizzazione, in particolare
rispetto al telefono, appartenente agli strumenti della generazione
precedente. Se il telefono infatti era ancora democratico, e democratico
nel senso che ciascuno aveva i propri numeri di telefono, decideva da sé
le persone da chiamare e con cui parlare e il potere del sistema così
non entrava ancora nelle rubriche telefoniche private, non così iniziò
ad essere per la radio. La radio trasmetteva allora e trasmette adesso
infatti a senso unico: c’è chi la ascolta e chi la fa, e chi la ascolta,
ha assunto un ruolo nuovo rispetto a chi parla al telefono. Ha assunto
cioè una posizione potenzialmente passiva. Le stazioni radio possono
essere più o meno tante, ma certo ciascun individuo non ha la
possibilità di fare la propria, esiste cioè quindi un numero limitato di
emittenti ed un numero alto di ascoltatori, che per lo più ascoltano
certe trasmissioni e non altre, e stabiliscono così via via un pubblico
di massa con le sue tendenze e i suoi gusti.
La musica, ad esempio, trasmessa nelle radio viene venduta
agli ascoltatori, i quali, per quanto non direttamente, l’acquistano,
sintonizzandosi con essa ed aumentando con la loro preferenza la
notorietà della stazione radio e poco dopo anche i finanziamenti
pubblicitari per quella radio.
Con la radio, come d’altra parte lo è stato di più ancora con
il cinema, abbiamo da un lato un numero ristretto di centri di
produzione culturale, legati sempre più a capitali economici e a
interessi politici, dall’altro masse sempre più grandi e più
disponibili ad adeguarsi ai progressi della tecnica delle comunicazione,
che iniziano, al di là delle loro differenti possibilità economiche, ad
introdursi in questo nuovo mondo, così incredibile per rapidità
d’evoluzione e di diffusione. E questo processo segna un tratto delle
nuove società di massa perché sembra procedere in direzione contraria
alla millenaria discriminazione dei ceti subalterni all’accesso alla
cultura. Larghi strati popolari infatti si legano progressivamente ai
nuovi strumenti di comunicazione e di diffusione di cultura, e in
particolare proprio negli anni e nei decenni dopo la prima guerra
mondiale, in cui lo sviluppo dei centri urbani, il ridimensionamento
della classe dei contadini e
la nuova dimensione di massa della politica, lasciano nuovi strati del
popolo ad avere un contatto maggiore con la sfera della politica attiva.
E dal lato del sistema capitalistico nella nuova fase dei monopoli e del
controllo del consenso delle masse, questo sviluppo più capillare e su
larga scala della possibilità di controllare, gestire e manipolare la
coscienza di classe e in generale la coscienza politica diventa uno
degli strumenti essenziali al mantenimento del sistema stesso.
III.
Quando Adorno discute queste posizioni, la televisione ancora non è
comparsa. Eppure la sua analisi è sicuramente vicina a quello che di lì
a poco sarebbe accaduto. La radio infatti coinvolgeva solo una parte dei
sensi umani, il cinema, d’altro canto, aveva ancora un pubblico
ristretto e in molti casi ancora di èlite,
e le riviste in ogni caso richiedevano un istruzione minima di
base. La televisione, invece, con la sua nascita si presenta come un
elemento nuovo, in grado di offrire qualsiasi tipo di contenuto e ad un
pubblico sempre più vasto. La televisione accompagna la vita quotidiana
potenzialmente dovunque, come la radio, ma in più modifica la stessa
posizione fisica e psichica di chi la guarda, perché lo relega su una
sedia o su un letto, lo porta a fissare immagini, suoni, a recepire
informazioni, informazioni che, tra l’altro, nel corso degli anni
aumentano la loro velocità, oltre che il loro volume. D’altra parte, non
si ascolta la televisione solo volontariamente, la si ascolta mentre si
fanno altre cose, quando si sta in casa, e magari mentre si discute con
altri, si parla, si litiga o si ama, il tutto con il sottofondo dei
nuovi canali e delle nuove trasmissioni. Se inizialmente una televisione
in casa era percepita nello stesso arredamento come qualcosa da
nascondere, perché si percepiva ancora come qualcosa di intrusivo nella
vita privata, ai nostri giorni, invece, questa vergogna non esiste più
né apparentemente ha ragione d’essere in un mondo che dalla televisione
è dominato. Ad oggi con il passar di alcuni decenni, ogni nuovo giovane
ormai ha sentito i rumori della televisione fin dalla propria nascita,
ricorda precisamente tutte le trasmissioni della sua infanzia, ancora
più che i giochi e gli amici della scuola elementare, e la televisione
dalla sua è un fatto della nostra vita sociale, considerato in modo
quanto meno neutro, come una delle conseguenze piacevoli del progresso
tecnologico, al pari della luce elettrica o del gas in cucina. Le
trasmissioni televisive, così, dalla loro nascita ad oggi hanno iniziato
progressivamente a scandire un tempo nuovo nel ritmo della vita della
famiglia, a portare nuove abitudini e soprattutto a riempire e regolare
il tempo libero dalla fatica del lavoro. Perché se inizialmente la
televisione sorge in un mondo in cui ancora resistono e sono presenti
alcuni elementi della tradizionale vita in società con i suoi legami tra
gli individui, e se prima di diffondersi in ogni casa prima e poi in
ogni camera, viene vissuta ancora come un evento d’aggregazione di
interi condomini e di persone dello stesso quartiere, oggi invece è
arrivata a non rappresentare altro che una propaggine narcisistica di un
io isolato da tutti gli altri, che guarda la televisione spesso in una
grande solitudine e con una compulsiva indifferenza.
L’opera della televisione di ricreare su basi diverse una
cultura nazionale di riferimento, di smantellare l’esistenza e, in breve
tempo, la stessa memoria della cultura popolare del passato, e di
costruirne una nuova e molto più semplice, fatta di nuovi personaggi,
miti e parole originali, tutti interni all’universo della società
mercificata e dello spettacolo, al punto in cui siamo arrivati è
pienamente riuscita ed è forse questo il risultato più significativo
della nostra storia recente.
Se le televisioni hanno cominciato – come faceva la radio -
con il trasmettere informazioni con i loro primi telegiornali e i primi
giornalisti, al tempo stesso hanno cominciato a trasmettere spettacoli
pubblicitari con le relative demenziali propagande di prodotti, e hanno
cominciato soprattutto a sostituirsi all’individuo nella sua capacità di
immaginare ed organizzare il tempo della vita libero dal lavoro: sono
diventate così un canale di comunicazione a ciclo continuo di
spettacoli, film, varietà, intrattenimento, un modello di vita per
tutti, reso possibile sia dalla forma atomizzata di individui isolati
gli uni rispetto agli altri e insensibili rispetto a se stessi, quanto
anche dal contenuto trasmesso di cultura mercificata, in grado di
distruggere tanto la serietà di una cultura alta che il carattere
tradizionalmente più spontaneo della cultura delle masse. Così dalla
nascita della televisione, fino al proliferare di oggi della infinità di
canali pubblici, privati e satellitari, a pagamento o meno, ad ogni ora
della giornata sulla terra ogni individuo è a conoscenza che un mondo di
trasmissioni e informazioni esiste in modo permanente e si sviluppa, si
modifica, si accresce, in modo che in un certo senso sembra avere una
propria vita autonoma, e l’universo della vita sociale concreta viene
progressivamente sostituito dall’universo virtuale delle comunicazioni a
distanza e di massa.
Non comprendere così quanto questo sia entrato ed entri nella
formazione spirituale di ogni persona, del senso di vita in società dei
singoli e dei gruppi, significa perdere un tratto saliente della nostra
storia e delle ragioni dell’alienazione d’oggi dell’umanità rispetto ai
suoi fini. Una storia della
televisione, nel suo sviluppo dalla nascita ad oggi, da mettere in
relazione allo sviluppo sociale, è però ancora tutta da fare. Serve
un’analisi più dettagliata e ordinata da alcuni concetti di riferimento
ben saldi. E queste righe per adesso non possono che essere brevi
accenni.
IV.
Accenni, infatti, rispetto invece al tema centrale di questa
riflessione, che è il rapporto oggi tra lo smarrimento della nuova
generazione, la forza di dominio del sistema attuale e questi nuovi
mezzi di comunicazione di massa. La televisione oggi mantiene una sua
posizione imponente, ma non è certo l’ultimo e l’unico dei mezzi di
comunicazione. Da dieci anni almeno a questa parte le si è affiancata
internet, il cui sviluppo è stato ancora più rapido di quello della
televisione.
Da un certo punto di vista la televisione prepara e rende
possibile la nascita di internet come fenomeno culturale di massa. E non
solo perché ha reso quasi insensibili le orecchie, passivo il
temperamento e deboli nel carattere, milioni di individui nel corso di
tre generazioni, ma perché ha trasformato la stessa concezione del
valore del vivere insieme e del legame sociale. Al punto che internet
con la sua evoluzione del web 2.0 è apparsa alla nuova generazione nata
negli anni ottanta e novanta come una vera rivoluzione nella qualità
delle loro relazioni sociali. E così la rivoluzione di questi ultimi
anni è costituita dal poter mettere sui nuovi canali di condivisione di
video ed immagini i propri filmati personali, dall’avere la possibilità
di creare in rete pagine personali in cui magari descriversi e
raccontare la propria vita, giorno per giorno, dal comunicare a distanza
con poche frasi di senso e qualche segno stereotipato a rappresentare
l’emozione di queste frasi(come se nelle parole non siano contenute di
per sé delle emozioni) con programmi tipo msn. Non volendo poi
soffermarsi troppo sull’ultima delle trovate del web 2.0, che tramite
siti come face book, consente a ciascuno di costruire
un universo di se stessi in una vetrina virtuale, mettendo
insieme tutto quello che il nuovo web offre al giorno d’oggi. E tutto
questo ad oggi, a giovani e non solo, è sembrato un gran passo avanti,
probabilmente rispetto alla solitudine della condizione degli ultimi
tempi, nel declino della piazza reale come luogo di vita sociale e
nell’asfissia, che negli ultimi tempi da molti viene in parte percepita,
della televisione con il suo flusso di informazioni a senso unico.
Questa trasformazione non sembra trovare nessun ostacolo,
anche qui il processo appare come naturale, internet e il nuovo web sono
considerati liberi strumenti a disposizione di tutti, anch’essi di per
sé neutri, utilizzabili tanto dai bambini che appena sanno scrivere,
quanto dagli adolescenti che ancora non hanno conosciuto la loro piazza,
fino agli adulti che atterriti dal groviglio delle contraddizioni
materiali della loro esistenza, senza più speranza di cambiare, si
rifugiano in una qualche isola virtuale.
D’altra parte se la stessa televisione sorgeva in un contesto
storico e sociale in cui inizialmente ancora era pensabile affidarle un
qualche ruolo di alfabetizzazione e di formazione culturale delle masse,
la rivoluzione del web 2.0 avviene oggi in un mondo diverso, già
profondamente lacerato dai nuovi elementi di fase dello sviluppo della
società capitalistica, e in cui l’industria culturale e la distruzione
progressiva della politica come partecipazione ideale alla costruzione
della società, hanno fatto già troppi passi in avanti, perché si possa
dire senza meschinità o ingenuità che programmi come face book o msn
possano svolgere un ruolo positivo nell’instaurazione di legami sociali
migliori per gli individui e nella loro formazione culturale e politica.
Questi programmi non esprimono altro che ciò in cui sono nati, e ciò da
cui sono nati rappresenta già di per sé la fine e l’annientamento di
quello che chi programma e sostiene questi strumenti dichiara di stare
ricostruire. Sono quindi al tempo stesso uno specchio della nostra
devastazione di senso e ciò che la promuove.
Il risultato effettivo, al di là della coscienza o delle
buone intenzioni dei singoli, dell’uso di massa di questi mezzi al
giorno d’oggi è allontanare progressivamente di più gli individui fra
loro e sgretolare le ultime
forme culturali di resistenza al dominio della mercificazione delle
relazioni sociali.
La contaminazione, a rigore di sistema, sembra essere
pressoché totale. Che nessuno dei movimenti che si propongono di creare
un’alternativa al sistema, e che nessuno dei partiti che hanno nei loro
programmi l’alternativa alla società capitalistica, o che nessuno o
quasi dei militanti di queste organizzazioni provi ad iniziare un
discorso critico rispetto a questo argomento, ma che anzi ne sia spesso
entusiasta, forse non è che un’ulteriore dimostrazione di quali siano i
rapporti di forza, in questa fase storica, tra chi sta costruendo e
promuove questo sistema di barbarie e chi prova a contrastarlo, ma senza
la profondità d’un’analisi concreta di come le relazioni sociali si sono
trasformate oggi. Senza la coscienza, seppure debole, di quale sia
l’inferno in cui ci stiamo ritrovando a vivere.
V. Inferno che non si può iniziare a
comprendere se non ci si rivolge verso un’analisi complessiva dei
rapporti sociali, rispetto invece alla più classica ma ristretta analisi
dei rapporti di produzione. Nell’epoca del capitalismo, la forma merce
si è resa progressivamente più autonoma dal lavoro nell’immagine comune;
se nelle forme precedenti al sorgere del modello capitalistico di
produzione, le merci avevano sì anche lì un loro valore uso, per quello
che venivano adoperate, e un loro valore di scambio, la loro quantità
ridotta però, come la loro dipendenza all’artigianato, prima della fase
della produzione in serie dovuta alle macchine, rendevano meno presente
il paradosso che, invece, per lo stesso Marx costituisce il
capovolgimento caratteristico della società borghese nella fase della
grande produzione capitalistica. E cioè che nella coscienza comune il
valore di scambio della merce appartiene alla merce stessa, dipende
dalle sue qualità specifiche, e da ciò che porta dentro di sé. Non il
lavoro umano, non il tempo, l’energia necessari alla produzione, non le
leggi del mercato rispetto alla quantità presente in natura d’una certa
materia, ma la merce nella sua forma finale, porta in sé già il suo
valore. Per cui le cose, da questo punto in poi, iniziano ad avere una
loro anima, e il valore di scambio è il loro valore principale. Le cose
si animano, in un mondo di uomini che non riconoscono più nella loro
energia e nel proprio lavoro se stessi e la propria anima. Dalla forma
classica di capovolgimento del lavoro vivo con la merce, e in generale,
dalla coscienza che sa di sé solo grazie alle cose che possiede, si
passa però nelle nuove società dell’ultimo secolo ad una forma di
ulteriore scissione , che in questo caso, appunto, non riguarda solo
chi, avendone disponibilità economica, fa delle proprietà il proprio
status, ma l’intera società, nei suoi diversi strati, che si riconoscono
nei propri consumi su una scala di massa. In questo senso si passa da
una forma ad un’altra di società borghese. Da una società basata su una
produzione di merci legata alla maggioranza di lavoratori, che però sono
per lo più accessibili solo ad una fascia ristretta di persone, ad una
società in cui la nuova dimensione della produzione e il nuovo livello
dei costi include nella sfera dei consumatori strati che prima ne erano
prevalentemente fuori. E da qui si passa alla questione della pubblicità
e dello spettacolo, che sono elementi ulteriori che si aggiungono a
quelli tradizionali della nascita del sistema capitalistico. Le merci
vanno vendute sul mercato, ma hanno bisogno d’affermarsi le une contro
le altre, e in particolare, ancora più che affermarsi, richiedono
d’essere riconosciute, il loro nome deve cioè in qualche modo rimanere
impresso, se ne deve parlare. Anche se questo oggi non è forse più il
fine effettivo della pubblicità, probabilmente ne era comunque la
ragione principale al tempo della sua nascita. La pubblicità non è però
regolata su basi razionali poiché non è basata su alcuni parametri
relativi al valore d’uso della merce - il senso del cui valore
originario nella società d’oggi si è quasi completamente perso - ma si
fonda sul suo valore di scambio, cioè, anzitutto sul suo costo, ed oggi
in modo particolare su un altro livello d’apparenza, e cioè sul valore
di identità che la merce e il suo uso conferiscono agli individui.
Dalla produzione semplice di merce si passa storicamente così
alla pubblicità della merce, come dalla mercificazione di qualunque cosa
si arriva alla spettacolarizzazione di qualunque cosa sia stata
mercificata. Se tutto può essere mercificato, cioè se tutto può essere
valorizzato in base a quanto vale in quanto scambio fra cose, allora
tutto può essere messo in vetrina in attesa d’essere comprato e venduto.
Il feticismo della merce, che già Marx riconobbe, ha passato varie tappe
nella sua storia ed oggi arriva ad un livello esponenziale di riuscita
grazie a nuovi mezzi di comunicazione e alla loro virtualità.
Il cerchio quadra se infatti ci soffermiamo su cosa sia
diventata la televisione oggi giorno: da venti anni oramai siamo entrati
in una nuova fase, come sostengono anche alcuni degli ultimi scritti più
lucidi a riguardo. La televisione ha un contatto molto particolare con
la realtà esterna, non è più un rapporto di rispecchiamento, per quanto
deformato, di qualcosa che le esterno; cioè la televisione non è un
semplice elemento del sistema, ma più precisamente l’orizzonte di
rappresentazione dell’intero sistema. Distrutti progressivamente gli
strumenti tradizionali, la televisione è diventata il metro della
coscienza e della memoria dei fatti storici. Essa riproduce ormai
continuamente solo se stessa e si è affermata come alternativa virtuale
al piano della realtà di cui originariamente era figlia. Non solo ogni
telegiornale si conclude con l’invito a rimanere sullo stesso canale a
seguire il varietà che ne segue, ma ogni servizio non è che un
rispecchiamento di ciò che pretendono oggettivo, e che di per sé non è
che già una realtà prodotta in modo mediato dallo stesso livello di
rappresentazione della realtà che la televisione impone. Se la realtà
non è quindi più indipendente da come viene rappresentata dai grandi
mezzi di comunicazione di massa, non è nel senso che la realtà venga in
qualche modo influenzata - poiché questo sarebbe abbastanza ovvio - ma
nel senso più sostanziale che la realtà diviene quel che è,
prevalentemente in base al modo in cui questa viene rappresentata sui
diversi canali di comunicazione di massa, e non in base a qualunque
altro elemento di coscienza e di memoria collettiva.
Lo spettacolo oggi come espressione della coscienza della
vita sociale significa nella sua essenza la deprivazione della
continuità storica della coscienza sociale e politica delle masse,
significa il surclassamento imponente della rappresentazione oggettiva
alla variegata presa di coscienza soggettiva, e lo sminuzzamento del
tempo della vita e dei suoi progetti in quello del susseguirsi infinito
delle nuove immagini delle rappresentazioni della vita sui grandi e
piccoli schermi, degli infiniti televisori di questo mondo.
La storia del mondo insomma sta diventando rapidamente la
storia della cronaca televisiva della sua storia.
VI.
Questo mondo sta producendo su scala di massa un nuovo tipo di umanità.
Sta distruggendo il passato con la velocità della superficialità e con
il marchio delle infinite maschere sociali che è in grado di prestare ai
suoi membri. E tra i giovani il tratto più saliente di questa
trasformazione, è il fenomeno del narcisismo su scala di massa.
Il secolo passato ha conosciuto il declino di grandi elementi
ideali di coesione fra le persone e famiglia e religione hanno perso la
forza di orientare in modo netto le scelte di vita dei singoli. La
morale ha perso alcuni tradizionali riferimenti sociali, gli individui
sono arrivati a considerarsi sempre più individui e meno membri d’un
gruppo nello stabilire le loro norme e abitudini di vita. Fino ad un
certo punto nel secolo scorso, tuttavia, la politica è stato un elemento
di resistenza a tutto questo: le due grandi guerre, la nascita dei
partiti di massa, ondate di movimenti rivoluzionari e
controrivoluzionari, con allo sfondo la quasi scomparsa della campagna
come luogo di vita e di lavoro a favore delle grandi città hanno
arginato questo movimento interno allo sviluppo della mercificazione
nella nuova società borghese. Ma è in particolare negli ultimi venti
anni che il fenomeno della separazione degli individui e del loro
indebolimento in un mondo senza più uno o più centri ideali ha avuto
un’accelerazione grandiosa. Dalla fine del movimento giovanile in Europa
degli anni settanta infatti, la sfiducia di poter avere un ruolo attivo
nel destino del proprio gruppo sociale e della propria nazione ha
respinto migliaia di giovani nell’universo senza uscita del loro singolo
Io; la sfiducia di costruire un senso insieme agli altri, di costruire e
coltivare la propria vita come un progetto è diventata la miseria di una
solitudine interna, che ha fatto perdere senso alle parole più basilari,
come ideale, comunità, libertà, impegno. Tutte queste parole infatti non
possono che essere declinate al plurale per esistere, e al singolare
sono solo il residuo verbale di idee del passato senza più vita nel
presente. Perché un ideale che sia solo individuale non è che
un’opinione con cui il singolo si difende dalla potenza del mondo che lo
sovrasta; la comunità non esiste di per sé solo perché esistono molti
individui insieme ma è un organismo che ha bisogno dell’ossigeno dello
slancio e della fiducia sociale; come la libertà che o riguarda tutti o
diventa la conservazione del privilegio di poter soddisfare i propri
interessi privati; l’ impegno che se solitario, al massimo oltre la
linea della frustrazione, può essere solo una resistenza, necessaria in
tempi di crisi, ma inefficace a trasformare le cose.
La soggettività dei giovani ha iniziato così a smettere di
nutrirsi della speranza del futuro. Il nuovo sistema con il suo nuovo
equilibrio è riuscito e tuttora riesce in modo potente a sradicare
addirittura la forza che ogni adolescente investe per definirsi rispetto
al mondo che lo circonda in un modo unico e particolare. Attraverso un
dominio evidente, ma ancora di più attraverso la pervasività
dell’oppressione con cui esercita la chiusura dell’orizzonte di senso,
il sistema continua a vincere anche sulla spontaneità più tenace che è
quella dei bambini e dei giovani, i quali oltre l’immaginazione che
hanno anche i primi,
potrebbero anche iniziare ad agire più autonomamente per costruire il
mondo del loro futuro.
Narcisismo ad oggi è quindi la chiave della difesa dalla
perdita di senso degli individui, e cioè del senso delle relazioni
sociali, la loro difesa immediata dalla capacità di avvertire il
conflitto fra le richieste sociali e i propri bisogni di vita. La
corazza che si è venuta a costituire è una corazza che mette l’Io al
centro, dovunque, in ogni frase, in ogni giudizio, in ogni
comportamento, in ogni vestito, ed l’Io è così esteso, che non lascia
scampo al contatto con l’altro, ed è inoltre un Io singolo che non
riconosce più un’universalità in cui rafforzare la propria sorgente
individuale. Il paradosso inconscio di questo meccanismo è quello di
credere che l’estensione e l’onnipresenza sostituiscano l’autentica
forza d’una personalità, la quale si nutre invece da radici molto più
profonde delle infinite parole del narcisista, e queste radici sono la
fiducia negli altri e l’amore per la vita, come modi di percorrere il
proprio cammino di persona. Una pagina di face book, una schermata di
contatti di msn, da un lato, come dall’altro infiniti individui che
affollano le metropolitane di oggi le cui orecchie sono legate ai fili
d’un Ipod e le mani impegnate a scrivere freneticamente brevi messaggi
sui propri cellulari, sono solo alcune delle tracce di modificazioni
profonde avvenute nella soggettività contemporanea di giovani. E’ la
loro percezione di vita che è cambiata e che cambia in modo più
sostanziale, è la loro serietà nei confronti di se stessi, è il loro
concetto di gruppo, è la loro visione dell’intimità, la rapida
estinzione della loro memoria personale e collettiva, ed è la loro vuota
rigidità nei confronti delle cose e delle persone che li circondano. Non
formare e condividere idee e barricarsi istericamente invece dietro
spicciole opinioni.
Il modello del talk show, la distruzione del libro, l’assenza
del confronto, la paura del silenzio, la corsa metropolitana delle
grandi città alla ricerca di nuovi e infiniti appuntamenti, una vita già
tutta riempita tra impegni, relazioni, continue conversazioni virtuali,
sport nell’asfittica forma della palestre, intrattenimento a
disposizione sempre e comunque, ed in più una accurata sapienza tecnica
ed una misera esperienza di vita, stanno rendendo loro sempre più
impossibile sentire i bisogni essenziali di pensare, di amare, di
conoscere. La cultura dominante è divenuta così oggettiva da stare
riuscendo nel rendere tutto così soggettivo nel senso deteriore, nel
senso cioè della perdita di contatto con la realtà sociale dei problemi
e delle contraddizioni individuali. I nuovi mezzi di comunicazione
offrono apparentemente ogni possibilità alla soggettività dei nuovi
giovani, che la loro soggettività scompare rispetto alle infinite
possibilità, che il sistema gli offre come merce di scambio per la loro
acquiescenza al consolidarsi del meccanismo di repressione interna.
L’odierna fragilità del narcisista che fa di tutto per sentire presente
se stesso e che scrive il suo nome dovunque e che spera ci sia sempre
qualcuno pronto in ogni momento
ad inserire in un motore di ricerca su internet quest’ultimo
residuo della sua individualità consumata, è d’altra parte la stessa
fragilità del sistema, che appare e pretende di essere invincibile,
perché onnipresente, e che si mantiene sulla capacità di aumentare la
diffidenza fra le persone e la loro incapacità di vivere la loro
esperienza di vita in relazione a quella del proprio gruppo. E’ la
stessa fragilità d’un sistema che necessità non tanto di reprimere la
libertà in astratto di pensiero, che sarebbe un’operazione di per sé
difficile quanto inutile, ma di sedare la capacità di guardare la realtà
al di là della deformazione della rappresentazione oggettivata che
questo presente dà di se stesso attraverso la comunicazione di massa. Le
parole del narcisista che espone i suoi meriti passati sulla superficie
del sentimento di disperazione e d’impotenza che imprigiona il suo
presente, hanno lo stesso ritmo della serie delle pubblicità e dello
scorrere delle trasmissioni, in cui l’apparenza del sistema giustifica
se stessa come essenza, a ripetizione, all’infinito e a ciclo continuo,
con il fine di estenuare l’ultima residuo della capacità d’una
memoria storica. Che anzitutto è una memoria per il futuro, e cioè
l’unica base possibile dell’immaginazione.
Siamo arrivati così alla condizione in cui non esistono più
specchi nell’immagine del mondo d’un giovane d’oggi; non esistono cioè
più luoghi in cui fermarsi e guardarsi, riconoscere come si è diventati,
e come il mondo è diventato attraverso i cambiamenti dei propri occhi,
delle proprie espressioni e dei propri comportamenti. Il tempo per
questo non c’è più. Gli unici parametri possibili di misura del
cambiamento sono quelli delle trasformazioni in qualche modo misurabili,
il pesa, l’altezza, l’ingrassamento o quelli misurabili dalla mediocrità
del semplice giudizio sociale, bello, brutto, buono, bravo etc. La
piazza d’altronde da tempo non è più lo specchio di ciò che si è insieme
agli altri, della propria identità e della posizione che si è scelta nel
mondo. E così senza gli altri ogni forma d’autentica autocoscienza di
ciò che si è, è impossibile. Se guardarsi in uno specchio, anche per un
attimo, quindi non avviene più, in questi ultimi venti anni siamo
arrivati di corsa addirittura ad incarnare direttamente il modello della
vetrina di noi stessi, vetrina in cui a guardare sono solo gli altri
dall’esterno, così che l’autocoscienza che all’individuo rimane è
soltanto quella che si rifà al loro giudizio e alla rifrazione delle
opposte vetrine degli individui isolati, tra cui a prevalere è un
semplice Noi. Un Noi che non esprime così la sintesi della vivacità
della risonanza di più Io, ma la realizzazione sociale dell’implicita
norma ‘ nessuno Io’.
VII.
La questione del narcisismo non è una questione di psicologia. Ha la sua
manifestazione psicologica, ma proviene dalla nuova catastrofe sociale
degli ultimi venti anni.
Ad oggi milioni di giovani sono arrivati a credere che
internet offra loro la possibilità di conoscere il mondo e di parlare
con chiunque e in qualunque parte si trovi, ma la realtà è che in modo
rapido la loro percezione del mondo si è deformata, l’esteriorità delle
loro relazioni ha prevalso sul contenuto, il valore della loro amicizia
s’è persa nella nuova forma di individualismo d’oggi, il tradizionale
matrimonio forzato è diventato la forzatura dello stare insieme nella
nuova condizione di solitudine. Al di fuori dei conoscenti utili alla
propria sopravvivenza quotidiana, degli affetti necessari a mantenere il
livello minimo di stabilità nella baraonda di questo smarrimento di
senso, tutto il resto del mondo che ne resta fuori, e cioè lo sfondo
reale e continuo della vita sociale, scompare dietro una spenta
indifferenza o la paranoia della paura. Il destino del proprio paese, le
sorti della propria classe o anche solo il disfacimento del proprio
gruppo ristretto di conoscenti e amici non è più il destino che
coinvolge anche il singolo: l’illusione del narcisismo infatti è che
ciascuno abbia un percorso speciale e indipendente dalla complessità
delle esperienze della propria vita, dai suoi errori e dai suoi
cambiamenti e che aderire ad un modello sociale sia di per sé
l’espressione d’una volontà autonoma. Le condizioni della nuova società
stanno portando da un lato l’immediatezza della spontaneità vitale a
trasformarsi in un contatto di superficie tra personalità rigide ed
insicure, e dall’altro ad annientare la riflessività e il tempo
necessari per lo sviluppo di un pensiero individuale attraverso la
compulsività del flusso continuo di immagini e parole.
La comunità non esiste più, non è più quella dei vecchi
ordini sociali tradizionali, né quella dei vincoli dell’appartenenza
alla nazione, alla classe sociale o a un partito politico. E con la
comunità scompare anche un certo ordine di tempo della vita, il tempo
che si misura in mesi, anni e decenni e non quello di minuti, ore e
giorni che è invece il tempo dello scorrere della coscienza comune al
giorno d’oggi. Con la scomparsa della memoria, con il restringimento
dell’orizzonte di futuro, con la paura che scandisce il ritmo del
presente, la vita non ha lo spazio per avanzare lungo una traiettoria,
la ricerca della sopravvivenza che prevale sulla vita non è più quella
dell’ordine di cose materiale, ma quella dell’autonomia soggettiva entro
un certo schema di modelli, abitudini e vincoli sociali con cui la
società odierna avvolge il tempo libero dal lavoro dei singoli
individui.
La frammentazione del tempo nell’infinito svolgimento del
mondo in cui ciascun è immerso alla lettura d’un giornale o all’ascolto
di un telegiornale, in cui la moltitudine di notizie, informazioni,
raccomandazioni e consigli abbondano confusamente senza un centro, è la
stessa dello spazio delle nuove città in cui la spettacolarizzazione del
consumo ha sovrastato ormai ampiamente con i nuovi manifesti gli strati
archeologici sovrappostisi uno sopra l’altro nei secoli di storia.
VIII.
Il problema del narcisismo oggi è in fondo il problema della sensibilità
umana, e il problema della qualità della sensibilità è da sempre il
problema dell’uomo. Sensibilità è la relazione dell’uomo con il suo
mondo di persone e di cose, basata sulla sua capacità di trovare ciò che
fuori come qualcosa anche di proprio e che cioè può essere sentito e
riconosciuto. Perché l’abbondanza delle parole, degli schermi con il
proprio viso sulle pagine iniziali dei computer, delle frasi ridicole e
altisonanti con cui ci si presenta sulle pagine delle chat, sono il
risultato di una restrizione e d’una perdita più profonda. E cioè quella
di non vivere il contatto con le emozioni e i sentimenti che di volta in
volta accompagnano le vicende e le relazioni della vita. Se storicamente
lo sviluppo della personalità umana era al suo inizio ancora molto
legata ai movimenti e alle influenze naturali, al contatto con gli umori
più profondi e al cambio delle stagioni, questa naturalezza che nelle
pulsioni erotiche e aggressive, pur in uno stato di profonda ingiustizia
a livello sociale e nello scoordinamento della facoltà degli individui,
si è conservata per secoli come una sorgente di vitalità e di resistenza
importante alla stereotipia dell’ordine sociale, al giorno d’oggi
invece, in una società dalla cultura apparentemente così accresciuta, lo
sviluppo di personalità singole nell’ordine sociale si regola proprio su
di una limitazione eccessiva della sensibilità e della capacità di
nutrire dei sentimenti, che siano la gioia o la disperazione. Il viso di
giovani del passato lacerato dalle sofferenze e dalla rinuncia è diverso
da quello analogo di un giovane d’oggi; nelle strade
metropolitane di oggi i loro visi infatti non sono né tristi né
felici, né arrabbiati né gioiosi, semplicemente la loro vitalità e la
loro espressività è ridotta. Sono sempre pronti a rispondere alla
gentilezza o all’arroganza in modo indifferente con una battuta di
spirito colta dal mondo dello spettacolo e a fare di tutto per confinare
ogni relazione umana nel cerchio ristretto della circostanza in cui
questa si trova. Parlano ma non parlano, guardano ma non vedono niente,
non hanno un progetto e continuano a parlare del loro presente come se
stessero affrontando le difficoltà dell’ultimo quiz alla televisione.
Quello che non si trova più da decenni sui volti è la violenza della
guerra vissuta, il dolore della miseria quotidiana della sopravvivenza,
e non c’è più la violenza introiettata di chi si sente ogni giorno
derubato del diritto a vivere. Ma al tempo stesso non c’è nemmeno più la
forza e la decisione che nascono da queste esperienze devastanti, la
convinzione a lottare: ormai quasi ogni forma di autentico coraggio è
scomparsa. La distruzione della sensibilità nel narcisismo di oggi è la
vetrina onnipresente in cui esiste solo la superficie, e la superficie
ha una gamma limitata di espressioni, di parole, di modi di dire. Ogni
attività si è tramutata nel nascondimento della propria passività ad
emozioni che non vivono dentro e non vengono sentite, e che si esprimono
solo con la rigidità interna degli organi del corpo. Il mito americano
dell’affermazione è diventato il dettame della perfezione esteriore,
niente più pianto e rabbia nei visi - bisogna essere vincenti oggi e
domani; il dolore non può essere più sentito,la maschera costante è
quella del compiacimento continuo nei confronti delle situazioni e delle
persone. Nel tempo di oggi il dolore non parla più. Ogni giorno i talk
show e le telenovela trasmettono e vendono i sentimenti di attori che
recitano agli spettatori la parodia di quello che nessuno di loro riesce
più ad essere, e dalla sua ogni spettatore, nella telenovela che
osserva, ammira inconsapevolmente il funerale della vita dei propri
sentimenti. Rinunciare a sentire è ad oggi rinunciare anzitutto a
sentire il conflitto e l’ingiustizia, verso di cui nessuno più coltiva
sentimenti di rabbia e di odio, che sono la vera sorgente per il
riscatto. Il risentimento individuale nella società borghese non c’entra
niente con l’odio dell’ingiustizia, e neppure c’entra nulla con la lotta
per la trasformazione del mondo; questo risentimento odierno è solo
l’incessante ritmo con cui si avvertono i torti e le delusioni d’una
società fondata sugli interessi privati più meschini.
E se si arriva a non sentire più l’esistenza di certe cose,
di certi sentimenti, di certe aspirazioni, non si capisce per cosa e
come ci si dovrebbe battere per modificare l’ordine di cose esistenti.
Lottare per cosa? Rischiare la vita per cosa? Per quale destino di
domani, sacrificare la vita di oggi? Un confronto, un ideale
d’alternativa, un modello, un ricordo, come ogni movimento
rivoluzionario si è trovato a dare a se stesso, guardando al suo passato
e idealizzandolo, è necessario per far crescere nell’animo dei singoli,
di collettivi di persone e di gruppi sociali l’ideale concreto di ciò
che può essere una vita diversa e in ragione di cui un nuovo mondo va
creato. La lotta contro il capitalismo nella forma della società d’oggi
non è infatti che la lotta per un’altra idea di società, e un’altra idea
di società deve essere un’altra idea di uomo.
Se amare è l’espressione più alta di una personalità
educatasi alla vita e al contatto con gli altri, oggi amare è divenuto
impossibile. L’instabilità di qualunque relazione, la paura che stare
con un’altra persona e condividere significa perdere se stessi, e che in
questa società borghese dare significa privarsi di qualcosa e non
arricchire ciò che si è, sono ostacoli troppo forti allo slancio nei
confronti della vita e all’uscire fuori dalla propria particolarità
individuale, che invece sono l’essenza del sentimento d’amore. Imparare
ad essere quello che ancora non si è e immaginare quello che ancora non
esiste. Così che la società degli uomini senza vita è divenuto il mondo
dell’amore degradato alla simbiosi con la merce e alla mercificazione
della simbiosi dei corpi e di ciò che rimane dei sentimenti di uomini e
donne, che al passaggio nella macina della loro attività lavorativa e
della società della merce onnipresente, non arrivano da adulti nemmeno
più a ricordare d’aver creduto un tempo, almeno in qualche momento della
loro infanzia, di riuscire ad amare la propria vita.
IX.
Nel dominio dell’apparenza sull’essenza, nella società capitalistica dei
nostri tempi, il livellamento del consumo prevarica sulla coscienza
realistica della propria condizione sociale. La rottura delle barriere
tradizionali di privilegi culturali non è avvenuta infatti per la
riorganizzazione del fine della società nel garantire un’istruzione
effettiva a tutti i suoi membri, ma per via della soppressione dei
livelli differenti di cultura che tradizionalmente hanno caratterizzato
la storia passata. Le ruote incessanti dell’industria della cultura e la
produzione in serie dei nuovi fenomeni culturali televisivi hanno via
via lasciato superare alcune differenze di classe nel rapporto con la
cultura. Era difficile immaginare cent’anni fa che l’uomo più ricco
d’Italia leggesse le stesse cose e si divertisse allo stesso modo d’un
contadino o di un lavoratore artigiano, mentre adesso non solo i due
guardano lo stesso telegiornale e leggono magari anche lo stesso
giornale, ma si divertono alle stesse stupide battute del varietà che li
accompagna a letto e leggono l’ultimo libro del comico televisivo in
vendita nelle migliori librerie. Oggi giorno il personaggio di
Berlusconi in Italia incarna la perfetta riuscita del programma di
mercificazione e spettacolarizzazione della vita, al di là della fusione
di grande economia e politica. In ogni modo le differenze effettive
della loro vita rimangono, per via delle loro differenti possibilità
economiche ed anzi aumentano nel nuovo mondo. Tuttavia i loro
riferimenti, i loro discorsi, la loro cultura media si è avvicinata, il
senso che danno alla vita in questo tipo di sistema è più simile al
confronto di prima, soprattutto se si pensa ai decenni delle grandi
contrapposizioni di idee e di valori del secolo scorso. La soppressione
odierna dell’autocoscienza di classe, in particolar modo nei giovani, è
la riduzione delle differenze reali all’omologazione della forma.
L’inconsistenza delle loro identità è divenuta la base del loro finto
accordo indipendente dalle differenze di classe e di cultura. La
politica della merce riesce forse ancora di più che la mercificazione
della politica a mischiare i colori delle idee, a livellare i vestiti
come gli atteggiamenti, le speranze come i valori. Per cui una pagina di
un blog d’un figlio d’una ricca famiglia iscritto a Giurisprudenza non
ha né forma né contenuto che siano in sostanza differenti da quello d’un
ragazzo costretto a lavorare dai suoi sedici anni; entrambi vivono la
loro eterna adolescenza in un’infinita illusione narcisistica. Entrambi
parlano come alcuni dei protagonisti dei miti del momento della
televisione, entrambi camminano con Ipod nelle orecchie quando escono
ascoltando probabilmente le stesse canzoni. La cultura ha sì perso una
buona parte del suo contenuto di classe, ma questo non perché si è
liberata dalle catene della discriminazione per nascita, ma perché ha
annullato se stessa nell’indifferenza del contenuto che il concetto di
valore di scambio della merce e quello di successo dello spettacolo le
offrono per la propria autoriproduzione. Questa indifferenziazione non è
un risultato eterno e definitivo, tuttavia purtroppo al momento regge le
sorti della formazione culturale e morale delle nuove generazioni, in
modo più o meno indipendente dalla loro appartenenza sociale. E questo
processo d’omologazione s’accresciuto in modo esponenziale negli ultimi
venti anni di crisi delle idee nella politica e di sconfitta e
arretramento storico in Europa delle idee del socialismo. Il vecchio è
tornato a prevalere sul nuovo al ritmo del riciclaggio della merce, e
l’omologazione della coscienza presente dei giovani avviene a
prescindere dalle differenze di classe in quanto differenze di
formazione della realtà della personalità umana. Quest’ultima realtà è
dominata da un sistema onnipresente e fondato sulla rimozione del valore
d’essenza dei bisogni umani, per cui ad oggi merce è la rimozione del
valore del tempo della vita. D’altra parte il sistema capitalistico
nella fase della ricerca millimetrica del consenso è il sistema della
rimozione della realtà e – come si è già detto – rimozione del dolore
della propria reale condizione di vita. Nel momento in cui la rigidità
del sistema iniziasse a scricchiolare in alcuni dei suoi punti
fondamentali, si generasse in modo più cosciente un’insofferenza nei
confronti della mancanza di senso del sistema presente di valori, e
questo fermentasse verso la ricerca di nuove strade per costruire un
destino alternativo alla deriva del capitalismo odierno, all’inizio
prevarrebbe la stessa incredulità per come il tempo sia passato veloce
sopra il destino di alcune generazioni, senza esserci stata un reazione
effettiva, e senza lo sviluppo d’un nuovo movimento politico e di
formazione di idee.
Dire la verità, scriveva già Gramsci, di per sé è
rivoluzionario, e non perché esista un corso prestabilito nel corso
della storia, ma perché verità significa riappropriazione delle proprie
possibilità come individui legati ad una certa storia, ad una
particolare classe e gruppo sociale e a determinati valori.
Nella distruzione della cultura come privilegio d’una classe,
e cioè dell’ideologia, il capitalismo si è affermato distruggendo ogni
ideologia estranea alla propria logica di sussistenza. Nel fare questo
ha assolutizzato la natura del suo sistema, mentre ha distrutto la
naturalità dell’espressione dei bisogni umani; nel ridurre tutti
ugualmente minorati, li ha resi anche così diversi da non riuscire più a
comunicare qualcosa che non sia la sola loro esperienza
personale; nell’invadere di immagini con la televisione ogni camera di
ogni casa, ha distrutto l’immaginazione di intere generazioni e
l’entusiasmo necessario alla trasformazione della storia; il concetto di
libertà accostato a quello di merce ha perso il suo valore
d’emancipazione umana.
Il narcisismo di oggi in fondo quindi non è che il modo in
cui migliaia di giovani si difendono dalla confusione della mancanza
d’una traiettoria nella loro vita e dall’impossibilità di sviluppare se
stessi in un mondo sociale che nella sostanza continua ad essere basato
su una ferrea discriminazione di classe. Il problema principale rimane
che la realtà, in questo mondo, per essere trasformata va nuovamente
riaffermata e riconosciuta e che la verità può essere riconquistata se
si prova a rompere la monotonia della produzione in serie di vita e
pensieri senza più un fine dei mezzi di comunicazione, e a ridare un
nuovo senso all’organizzazione collettiva di politica e cultura.
L’omogeneizzazione infatti è stata possibile solo nel dominio
della passività e della sfiducia; nel momento in cui si ritrovano nuove
energie da investire nel campo della lotta per la trasformazione della
miseria del presente, le vere differenze inizieranno ad essere
nuovamente riconosciute e ad essere affermate. Il dominio dell’identico
oggi è proprio il dominio della mortificazione della vitalità dei
giovani senza speranza, che, nati in una particolare congiuntura storica
tra un vecchio che non finisce e il nuovo che non nasce, hanno smarrito
il filo della memoria storica. Ed in fatti nel passaggio storico per cui
lottare, dalla cultura massificata di oggi ad un nuovo tipo di cultura
di massa, il semplice termine medio della massa non garantirà di per sé
la semplicità e l’esito della riuscita. Anzi se un tempo si pensava che
l’orizzonte del socialismo sarebbe stato quello di scoprire e
valorizzare gli Aristotele costretti a pascolare il bestiame e viceversa
di scoprire quanti falsi Aristotele solo una società divisa in classi
permette di assumere il ruolo di grandi scienziati, ad oggi il problema
è diventato inoltre quello di scoprire chi siano mai questi Aristotele
oggi, e cioè cosa sia diventata la scienza nell’epoca del dominio della
tecnica e della divisione dei saperi. Poiché l’infinita specializzazione
e il tecnicismo promossi dalla cultura dominante come l’autentica
cultura comune di oggi, sono infatti al tempo stesso la base della
miopia e la perdita di riferimenti delle masse rispetto a principi
generali della vita e della società, senza i quali è impossibile
un’effettiva azione pratica.
Se resta quindi tutta da cominciare allora, e presto, la discussione
sulla nuova educazione possibile per le masse al giorno d’oggi, e
sull’idea nuova d’un movimento di rottura con il sistema esistente in
direzione d’una società liberata nel socialismo, questa discussione non
può che passare per come realmente sono e stanno diventando i giovani
del nostro tempo.
LUGLIO 2009