LE MANI SOTTO LA CITTà (articolo pubblicato su «La prima pietra»)
Massimo Ammendola
È il 4 marzo.
Alla Riviera di Chiaia, civico 72, crolla un’intera ala del palazzo. A
pochi metri il cantiere della Linea 6, ex Ltr (linea tranviaria rapida),
una delle opere previste per i mondiali di calcio Italia ’90,
supervisionati da Montezemolo. Un trenino sotterraneo che doveva
collegare inizialmente non solo Mergellina a Fuorigrotta, ma allungarsi
fino a Ponticelli. All’epoca, i ministri fecero pure il viaggio
inaugurale. Poi però venne fermata: per collaudo, si dirà. Di certo pesò
lo scandalo della tangentopoli napoletana che svelò le mazzette
miliardarie a tutti i partiti, e portò ad arresti e fallimenti della
Supercricca che è riuscita a fare allungare i lavori delle metro per
oltre 35 anni. Il canale della Manica
è costato 100 milioni di euro al chilometro ed è stato realizzato in
sette anni; la linea 1 della metropolitana di Napoli costa ad oggi 200
milioni di euro al chilometro e i lavori sono in corso dal 1976,
finendo nel ’92 sotto un’inchiesta che ha verificato il costo di 1.625
miliardi per costruire 4.800 metri di strada in galleria. Soltanto il
tratto Dante-Università, affidato alle imprese concessionarie Impregilo,
Astaldi, Pizzarotti e Fiore è costato 1,4 miliardi di euro; per la linea
6 i costi sono di 300 milioni di euro al chilometro e sui cartelli di
cantiere, come spesso a Napoli, non sono indicate date d’inizio e fine
lavori.
E quelli della
metropolitana di Napoli non sono scavi normali, ma scavi archeologici:
le “sorprese” trovate, e spesso danneggiate, sono “incidenti” che si
vanno a cercare, e non per amore dei beni culturali, ma per poter
incrementare i tempi e quindi il costo delle opere, come denuncia il
geologo Franco Ortolani.
Ancora oggi
vengono concessi incentivi record dal Comune per i lavoratori del metrò:
sono recentemente stati distribuiti tra 27 dipendenti 1,5 milioni per
l’avanzamento della Linea 1, Ennesima vicenda oscura, su cui la Cgil ha
chiesto chiarimenti, visto che la disposizione è firmata dai maggiori
beneficiari degli incentivi.
Ma torniamo alla linea
6: nel 1990 la “talpa” che scava sotto Piedigrotta, sprofonda. I
cantieri chiudono e parte un contenzioso tra Atan (l’azienda municipale
dei trasporti che allora aveva stipulato il contratto, che poi passò ad
Anm e infine al Comune) e Ansaldo.
Il Comune di
Napoli riprende il progetto solo nel 1997 e lo trasforma in metro
leggera sotterranea, riducendolo a 8 fermate. Di queste, quattro sono in
funzione e quattro ancora in costruzione. O meglio: le 4 funzionano solo
la mattina, visto che ricalcano inutilmente il percorso parallelo della
Linea 2 e della Cumana e quindi pochissimi le usano. Un’opera che ha
avuto costi enormi, oltre a gravissimi impatti sull’equilibrio
idrogeologico, già fragile, della città.
Ma come si
risolse il contenzioso tra il Comune e l’Ansaldo, come si arrivò a
stipulare un nuovo accordo? Non lo sappiamo. Secondo l’on. Sergio Cola
di Alleanza Nazionale, nell’interrogazione
parlamentare a risposta orale 3/04924 del 18/01/2000, pare
che fu firmato un atto pacificatore: visto che il contenzioso avrebbe
provocato danni enormi per entrambe le parti, sembra che si rivivificò
il contratto precedente con una trattativa privata, per un tracciato
diverso, e quindi per un’opera diversa, che sarebbe quindi dovuta
passare per una gara internazionale.
I cantieri ripartono,
i finanziamenti ritardano: solo nel 2006 il Cipe stanzia oltre cento
milioni di euro per il completamento, con lavori da consegnare nel 2010.
Ansaldo comunica, nel 2007, che ha acquisito dal Comune di Napoli il
contratto per un valore di 533 milioni di euro. Ma la delibera del Cipe
viene bocciata dalla Corte dei Conti nel 2008, per la poca trasparenza
sui finanziamenti e per il rapporti non chiari tra Comune di Napoli e
Ministero della Difesa sulla
soppressione nel dicembre 1999 dell’Arsenale Esercito Napoli sito in via
Campegna. Inoltre, nel marzo 2009 viene denunciato il furto della
documentazione relativa al progetto della linea 6 e in particolare dello
studio d’impatto ambientale. Però una relazione istruttoria della
commissione VIA e lo stesso decreto di VIA della regione sono successivi
al furto: come possono esser stati prodotti, senza i documenti rubati?
Il geologo
Riccardo Caniparoli, come ripetuto recentemente alla presentazione del
libro «La metrocricca»,
già nei primi mesi del 1990 avanza i primi dubbi sul progetto. Viene
zittito poiché intorno a quest’opera gravitano come consulenti pezzi
grossi dell’intellighenzia italica:
tra i vari professoroni c’è il consulente geotecnico prof. ing. Pietro
Lunardi, poi ministro delle Infrastrutture del governo Berlusconi;
mentre il duo Bassolino-Cascetta partoriva la metropolitana regionale e
rilanciava la linea 6, l’azienda della famiglia Lunardi, la Rocksoil,
viene autorizzata come progettista dall’Autorità Garante per la
Concorrenza, presieduta da Antonio Catricalà – divenuto poi
sottosegretario alla presidenza del consiglio del governo Monti – senza
rilevare conflitto di interessi; e c’è pure il prof. ing. Renato
Sparacio, come progettista delle strutture, che da del “portaiella” a
Caniparoli, e che poi diventa presidente della commissione di “saggi”
del Comune di Napoli per controllare i lavori della linea 6…
Ma torniamo ai
cantieri di Chiaia e al crollo: la galleria è stata realizzata a 37
metri sotto il livello del mare, per evitare zone melmose e favorire
l’avanzamento della talpa. Ma questa scelta non ha risolto i problemi
derivanti dall’intercettazione della falda artesiana, ovvero quella
termale del Chiatamone, ricca di sostanze aggressive che favoriscono
l’invecchiamento delle strutture in cemento armato.
Nel momento in cui sono iniziati i lavori, la galleria della Linea 6 è
diventata una specie di diga sotterranea, innescando il sollevamento del
livello della falda dolce, che viene dalle colline, e favorendo quindi
l’intrusione dell’acqua marina che entrando si impantana sotto la Villa
comunale, facendo pure morire gli alberi secolari ad alto fusto, e
mettendo in serio pericolo tutta la vegetazione. È di pochi giorni fa
l’abbattimento di altri 31 alberi.
I segnali di
rigetto dell’opera si sono già manifestati in molti modi: il suolo si è
abbassato, i fabbricati lesionati, esistono voragini e allagamenti di
acqua di falda, si sentiva uno strano odore di zolfo. Ed infatti l’acqua
termale è fuoriuscita, inondando ad esempio la zona di Rione Sirignano:
la Ansaldo da allora l’ha deviata direttamente in fogna, affermando di
essere autorizzata a farlo. Ma nessuno ha mai visto quest’autorizzazione
di una pratica illegale, come denuncia Caniparoli, e che potrebbe
contribuire a far diventare la Villa un deserto. Il geologo ha
affermato, inoltre, che sarebbe bastato spostare il cantiere più in
alto, per evitare molti dei problemi incontrati: all’altezza di Via
Andrea D’Isernia, una zona in cui si sarebbe dovuto scavare il tufo,
senza la presenza delle falde incontrate invece a valle.
Infine è
arrivato il crollo del civico 72. L’edificio crollato mostra come il
terreno sarebbe stato risucchiato, provocando un “sifonamento” non
completo. Questo perché le sabbie marine vulcaniche presenti nel
sottosuolo galleggiano, e vengono trasferite velocemente dalle acque, in
continuo spostamento. Secondo Ortolani, il crollo
parziale sarebbe dovuto proprio al rifluire dei sedimenti che stavano
alla base del palazzo, risucchiati dalla stazione Arco Mirelli in
seguito ad una probabile “falla” nella struttura, determinando un
“vuoto”. Ed il monitoraggio del sottosuolo, coi
piezometri, non ha funzionato a dovere. Per fortuna non c’è scappato il
morto, dato che gli abitanti (che ormai sono sfollati, senza casa) sono
riusciti in tempo ad evacuare lo stabile, e dato che l’edificio era in
tufo: se fosse stato in cemento sarebbe imploso del tutto. Ed il rischio
adesso è che il danno aumenti.
Che fare? Caniparoli
ed Ortolani lo hanno detto chiaramente: se c’è un rischio, e le
avvisaglie ci sono già state, i lavori vanno fermati. Si deve
ristabilire l’equilibrio, per poi capire cosa è successo.
Ed il sindaco, che è autorità di protezione civile, in caso di evento
naturale e/o antropico deve farsi carico della situazione. Ma ad oggi,
dopo oltre un mese, non si hanno molte notizie, a parte i proclami
riguardanti la messa in sicurezza del palazzo crollato.
APRILE 2013