Da L'Ippocrate, n. 2
SOGGETTO ROBOTICO. I.a. e personalità giuridica
Sergio Zazzera
Fa un certo effetto doversi occupare d’“intelligenza artificiale” in un’epoca dominata dalla “stupidità naturale”; ma tant’è. Premesso, dunque, che per “intelligenza artificiale” (IA) dev’essere inteso il settore dell’informatica che si prefigge di riprodurre attività umane intelligenti mediante programmi informatici, lo strumento che consente, nei congrui casi, di ottenere tale risultato è quello universalmente noto con la denominazione di “robot” (peraltro, non necessariamente antropomorfo, diversamente da quanto una certa pratica e una cinematografia inducono a credere). I problemi giuridici che ineriscono a tale strumento sono numerosissimi, il che impone di limitare in questa sede l’attenzione a quelli di rilevanza primaria.
Ciò posto, il problema dei problemi è quello della possibilità, o no, di riconoscere all’IA la soggettività giuridica. In proposito, credo che la questione non debba essere considerata, in linea di principio, scandalosa, dal momento che, nel tempo e nello spazio, tale riconoscimento ha avuto destinatari diversi. Per intenderci, mentre nell’Italia di oggi (ma anche in quella dell’altro ieri) le persone fisiche acquistano la soggettività giuridica al momento della nascita, viceversa, nel mondo romano erano soggetti giuridici soltanto i “patres familias”, vale a dire gli individui di sesso maschile e puberi che erano a capo di una “familia”. Esistono, poi – oggi, come allora – anche soggetti giuridici impersonali (associazioni, società commerciali), che la conseguono mediante il riconoscimento da parte dello Stato. Dunque, che tale qualità personale possa essere attribuita anche a entità diverse dalle persone fisiche non è da escludere, in linea meramente ipotetica. Semmai, sarà da verificare se tale riconoscimento sia ammissibile in concreto, movendo dalla definizione di “intelligenza”, la quale s’identifica con la capacità di apprendere, di comprendere e di ragionare, e accertando se tali facoltà siano presenti nella IA: con ogni probabilità, quella più difficilmente riscontrabile sarà la terza di esse. Al riguardo, gioverà ricordare che, mentre l’Arabia Saudita ha conferito, qualche tempo fa, la cittadinanza a un robot, viceversa, nel mondo occidentale si è più propensi a riconoscere a tali congegni, con maggiore cautela, uno status giuridico, che, però, abbia contenuti diversi dalla soggettività: si pensi ai rischi che correrebbe la società, qualora a una macchina fossero concessi il diritto di voto o la libertà di manifestazione del “pensiero” (ammesso che essa ne possieda uno concretamente e positivamente apprezzabile). Poiché, però, la soggettività giuridica costituisce il presupposto della responsabilità, il corollario che una soluzione siffatta determina è quello dell’individuazione del soggetto da ritenere responsabile dei comportamenti dell’IA. Questa, infatti, ha avuto un ideatore/costruttore ed ha un utente, il che induce a ritenere che il primo debba rispondere dei comportamenti dipendenti dalle modalità – e particolarmente dai vizi – di costruzione, e il secondo, a sua volta, di quelli conseguenti alla maniera di utilizzo. In ogni caso, ciò ch’è certo, senza alcun dubbio, è il fatto che, non essendo immaginabile l’attribuibilità di un patrimonio all’IA, alla stessa non potrebb’essere mai riconducibile, in maniera diretta, una responsabilità, le cui conseguenze non potrebbero trovare attuazione. Qualche quesito più particolare, fra i tanti, bisognerà ancora porselo, sia pure a volo d’uccello. Un primo: quale senso avrebbe il riconoscimento di una responsabilità diretta del robot adoperato per commettere un omicidio? quale sanzione potrebb’essergli utilmente inflitta? Un secondo: chi si sentirebbe tranquillo, nell’affidare funzioni giurisdizionali – sia requirenti, sia, ancor più, giudicanti – a un’IA? e avrebbe senso una pluralità di gradi di giudizio, gestiti da macchine dotate, per di più, di un “pensiero unico”, perché pre-programmato? Un terzo: a chi dovrebb’essere riconosciuto il diritto d’autore dell’opera “creata” dall’IA? e chi dovrebbe rispondere dell’eventuale plagio dell’opera altrui? In definitiva, mi sembra quanto mai realisticamente cauto il pessimismo di Stephen Hawking, il quale è giunto ad affermare: «Non possiamo sapere se l’Intelligenza Artificiale ci aiuterà o ci distruggerà». E mi augurerei che fosse “la prima che ho detto”, ma non nutro eccessive speranze.