La città dell'uomo
KIKU, PIATTAFORMA WEB PER L'AUTO-RICOSTRUZIONE DE L'AQUILA
Francesco D’Onghia
Crisi e
austerity. Non si parla d'altro. Il paese è in recessione, il
continente pure, il resto del mondo guarda preoccupato. Dicono sia tutto
riconducibile alla cattiva gestione dei conti pubblici, alla sfiducia
sui mercati, agli attacchi speculativi. Ma io sono convinto che la
dimensione della crisi sia profondamente strutturale e che non riguardi
soltanto la sfera economica, ma anche quella sociale, civile e
culturale. In sintesi riguarda tutti gli aspetti della dimensione umana.
L'incremento demografico degli
ultimi quarant'anni e il prodigioso sviluppo tecnologico che lo ha
accompagnato impongono un adeguamento profondo della politica, che deve
essere sempre più lontana dagli steccati ideologici e sempre più
prossima alle dimensioni di questa complessità, sviluppando la capacità
di coinvolgere le persone nel loro ruolo di cittadini.
È una operazione che passa
attraverso una grande rivoluzione etica cui l'uomo moderno dovrà
sottoporsi, sviluppando una cultura di collaborazione creativa ed
informativa, e ridefinendo l'idea stessa di partecipazione, di
innovazione e persino di governo.
Un anno fa cominciavo la mia
tesi di Laurea Magistrale in
Product-Service System Design al Politecnico di Milano. Volevo
capire come le competenze di un designer potessero essere utili anche in
situazioni di ricostruzione post-disastro naturale.
Ho analizzato situazioni
d'emergenza molto diverse tra loro per contesto (urbano/rurale, paese
sviluppato/in via di sviluppo) durata, impatto e scala della crisi. Da
Haiti a L'Aquila, passando per il Giappone, emerge che la società umana
ricorre, da sempre, ad un sistema di aiuto reciproco per affrontare
problemi quotidiani e, soprattutto, straordinari. Succede così che
vicini, parenti e amici si aiutino a vicenda nei momenti di bisogno.
Altre volte, tutta la comunità si riunisce e si organizza per lavorare
su esigenze comuni. Si tratta di un sistema di mutuo supporto sociale
del tutto spontaneo.
Io stesso, durante il mio viaggio di ricerca al L'Aquila, mi sono imbattuto in diverse storie che vale la pena raccontare. La città era ancora senza il suo centro storico, la maggior parte delle strade era stata aperta, ma c'era un senso molto forte di spaesamento. I negozi sbarrati e i puntellamenti creavano l'impressione di una città fantasma e guardando oltre le barriere si potevano ancora vedere mucchi di detriti.
In questo panorama di distruzione, però, ho avuto
la fortuna di incontrare persone e collettivi che non mollano
un istante, che si vogliono mettere in gioco e che hanno cominciato la
propria ricostruzione personale subito dopo il sisma. Ma hanno dovuto
confrontarsi con un profondo gap
comunicativo con le istituzioni.
L'evento più significativo di
tutto il post-terremoto è sicuramente la “Rivolta delle carriole” in cui
ben 6000 persone si sono organizzate per sgomberare il centro storico
dalle macerie, dando vita ad un lunghissimo, emblematico passamano di
secchi pieni di terra e detriti. Una delle partecipanti, Anna Colasacco,
esprime con queste parole l'emozione e il significato di quei momenti[1]:
Eravamo in 400, domenica 14 febbraio, a dire che, alle 3 e 32
del 6 aprile, noi non ridevamo. Eravamo in 1000, la scorsa domenica, a
dire che L'Aquila è nostra. Eravamo in 6.000 (dati della questura) oggi
a dire “liberiamo L'Aquila dalle macerie”. Ed a farlo fisicamente. I
numeri parlano da soli. La voglia di partecipazione cresce a vista
d'occhio. E siamo stati bravi, superato il nervosismo dei primi momenti,
ad organizzare la catena umana che ha passato di mano in mano le macerie
raccolte e differenziate in piazza Palazzo, sino alla piazza del Duomo.
Corpi e braccia di uomini, donne, bambini che erano voglia di
rinascita. E vita vera. Dopo tanta morte e desolazione. La
consapevolezza di essere in numero sempre crescente, la percezione netta
della volontà di partecipazione, della voglia di rimboccarci le maniche
per dare il nostro contributo alla rinascita della città ci ha dipinto i
volti di speranza. Ed i cuori di gioia. Siamo tanti, siamo uniti nelle
nostre diversità. La lotta per il diritto alla partecipazione è appena
iniziata...
Ma, quando si sente che non si è più soli, si diventa forti.
Le macerie della nostra disgrazia sono assurte, oggi, a simbolo di nuova
vita. Gli aquilani stanno mostrando il loro volto vero, la loro natura
di popolo abituato ad affrontare e superare la sofferenza. Non è stata
una protesta, ma la manifestazione della nostra volontà. Gli aquilani,
finalmente, ci sono.
Poi ci sono tanti piccoli esempi di
auto-ricostruzione, di chi non ha voluto attendere il lungo processo
decisionale delle istituzioni e sentiva il bisogno di contribuire
attivamente alla rinascita del proprio territorio. Particolarmente
interessante è il progetto eva
(Eco Villaggio Autocostruito)[2] in cui sono stato
gentilmente ospitato per una settimana. Un piccolo villaggio di sole
cinque accoglienti “case di paglia”, costruite con modernissime tecniche
di bioedilizia.
Si trova a Pescomaggiore, un piccolo borgo a 15 chilometri da L'Aquila, poche decine di abitanti. Il terremoto ha duramente colpito il paese, distruggendo la maggior parte delle case e del patrimonio culturale e storico. Ma i cittadini hanno spontaneamente costituito un Comitato per la Rinascita di Pescomaggiore, con un obiettivo ambizioso: costruirsi da soli i necessari alloggi temporanei, attraverso autofinanziamento, donazioni e volontariato, per consentire al maggior numero possibile di famiglie di continuare a vivere nella zona, senza essere costretti a sradicarsi e allontanarsi dal loro territorio. Un'iniziativa partita dal basso, da un’azione spontanea e solidale dei cittadini di riprendersi, non solo metaforicamente, il loro territorio ed evitare la disgregazione della loro comunità.
Tramite i
social network ho conosciuto anche Anna Barile, abitante del
progetto c.a.s.e. di
Camarda che, come in tutte le altre
new towns volute dall'allora
presidente del consiglio Silvio Berlusconi, non prevede luoghi di
incontro per la comunità.
Anna ha, quindi, deciso di prendersi cura di un
piccolo angolo di terra destinata all’abbandono, al fine di trasformarlo
in punto di riferimento per la socializzazione della comunità. E non lo
ha fatto da sola, ma con l'aiuto dei bambini del vicinato che hanno
trovato nell' “Orto Insorto” un luogo, o meglio un laboratorio, dove
giocare, riposare, stare insieme e utilizzare la loro creatività per un
bene comune. Anna descrive così la sua esperienza:
Era già il mese di marzo: ho cominciato a ripulire, potare,
sgamollare, rastrellare, sforbiciare, togliere, tagliare, estirpare e
tosare tutto il possibile. Poi sono cominciati i lavori grossi di
puntellamento dei due muri superstiti del pollaio. Ho recuperato i
mattoni crollati e con un po’ di cemento ho ricostruito le due pareti.
Ho ridisegnato il perimetro con le stesse macerie, ed è cominciata
l’avventura.
[...] Il luogo comincia ad essere meta curiosa dei bambini e dei
ragazzi. Non hanno un posto dove andare, il tendone
caritas apre solo alle 6 del pomeriggio e trovare ai margini del
bosco una sorta di laboratorio fantasioso, aperto, pieno di
cianfrusaglie, non convenzionale, libero, diventa ai loro occhi un posto
magico.
Cominciamo a conoscerci e a lavorare insieme, spesso le
collaborazioni si traducono in piccoli disastri, ma non importa, si
ricomincia. La prima costruzione partecipata con un gruppo di ragazzini,
è stata un tavolo. Riciclando vecchi legni si sono impegnati con
passione, tutti insieme: chi segava, chi inchiodava, chi avvitava, fino
alla realizzazione e soddisfazione finale.
Avevo acquisito un’altra consapevolezza: anche i ragazzi
sentivano l’esigenza di costruire con le loro mani, con la loro fatica e
partecipazione e ne avevano tutto il diritto.
Il piccolo Umberto un giorno mi chiede di fare la galleria di
foglie. Mi ci è voluto un po’ per capire che voleva una pergola. Perciò
ho recuperato la struttura di un vecchio gazebo di ferro, l’ho
conficcato nel terreno e ai quattro lati abbiamo piantato quattro viti.
Ci sarà un bel pergolato fra qualche anno ad ombreggiare il tavolaccio
per le grandi abbuffate.
I ragazzi più grandi hanno piantato un salice, loro lo
vedranno cresciuto. Il piccolo Matteo e la sorellina Aurora fino a notte
fonda, hanno scavato la buca per piantare tre tuie. Loro sono molto
orgogliosi di questo.
La lista di iniziative spontanee nate
dall’entusiasmo della comunità aquilana andrebbe avanti all'infinito. Ci
sono ex-vicini che si organizzano per pulire e rivitalizzare i giardini
pubblici, gruppi di amici che portano cibo ai cani di quartiere, rimasti
ultimo presidio in una città altrimenti deserta, e ci sono collettivi di
ragazzi che “adottano” alcuni dei pochi edifici non compromessi dal
sisma per organizzare eventi culturali, aprire aree internet,
biblioteche e palestre gratuite.
C'è una cosa che accomuna la maggior parte di queste iniziative, sono nate e/o si sono alimentate tramite internet che, oggi, ci offre una nuova generazione di strumenti a basso costo e facili da usare, che alimentano i network sociali, lo scambio di informazioni e il lavoro collaborativo.
Questi strumenti, definiti del
web 2.0, consentono alle persone di organizzarsi e apportare cambiamenti
decisivi alle proprie vite, con o senza l'aiuto delle istituzioni.
KIKU
Mi è stato chiaro fin da subito: gli aquilani non chiedono aiuto, chiedono trasparenza e partecipazione, chiedono di avere la possibilità e gli strumenti per prendersi le proprie responsabilità ed essere i veri protagonisti della ricostruzione, fatta non solo di materiali per edilizia, ma anche di tessuto sociale e culturale.
Tuttavia le autorità, nella fase
decisionale e attuativa della ricostruzione, hanno spesso invocato la
fretta nell’emergenza come motivazione per non poter coinvolgere la
comunità, tralasciando le necessità proprie del territorio e dei suoi
abitanti, e innescando in questi sentimenti di sfiducia e frustrazione.
In sintesi, la frattura tra i
desideri degli aquilani e i programmi politici costituisce il problema
più grave per la città e sarà impossibile cambiare il destino di una
regione colpita dalla catastrofe senza la fiducia nelle istituzioni
governative da parte della popolazione.
A tal proposito credo che l’esperienza aquilana sia emblematica: in un mondo connesso come mai prima d'ora, i governi si trovano ad affrontare una sfida al loro “potere”, in precedenza incontrastato. Devono gestire il cambiamento dei rapporti con un pubblico sempre più esigente, più che mai in grado di esprimere opinioni, dubbi e desideri. Potrebbero, quindi, mantenere la loro struttura rigida e gerarchica, oppure riconoscere che il mondo si sta evolvendo, e sostenere gruppi e individui che mostrano le competenze e l'iniziativa di fornire servizi che un tempo erano, saldamente, sotto la loro responsabilità.
Si aprono, infatti, nuove
possibilità per i governi, che vanno dalla produzione congiunta di
servizi pubblici in collaborazione con cittadini, organizzazioni sociali
ed imprese, all'introduzione di nuove forme di partecipazione
democratica, che indubbiamente porterebbero diversi vantaggi: più
fiducia verso le istituzioni, cittadini più coinvolti, servizi più
orientati ai bisogni effettivi della comunità e nuove opportunità per
l'innovazione tecnologica.
Con queste premesse ho
progettato Kiku (progetto di
tesi al Politecnico di Milano), una piattaforma web con l'obiettivo di
stimolare e supportare le attività di auto-sviluppo della comunità,
colmare il gap comunicativo
tra cittadini e istituzioni, e rendere più efficace la creatività
collettiva di tutti gli attori coinvolti nel processo di ricostruzione,
comprese le amministrazioni. E
Kiku potrebbe diventare un punto di riferimento per condividere
idee, offrire soluzioni e organizzarsi per trasformare le idee in
azione.
Del resto è chi vive un
territorio che, più di chiunque altro, ne conosce i bisogni reali da
ripristinare dopo una calamità; ciò che spesso manca è un mezzo per
palesare questi bisogni, per raggrupparli e farli emergere, per renderne
consapevoli anche le autorità che si preoccupano della ricostruzione.
L'intento non è quello di
scavalcare le attività governative, piuttosto di condividere le
responsabilità, per far sentire la comunità più coinvolta nei risultati
che si ottengono giorno dopo giorno e per migliorarne la soddisfazione,
rafforzando i rapporti fra i vari attori sul territorio e porre le basi
anche per progetti futuri.
Sarebbe un bell'esempio di
amministrazione che si affida al
crowdsourcing, un esempio di amministrazione come piattaforma. E non
solamente da un punto di vista tecnologico, ma una piattaforma per le
persone, per aiutare se stessi e aiutare gli altri. E in tutto questo
l'amministrazione giocherebbe un ruolo chiave: connettere queste persone[3].
Amministrazioni e Cittadinanza
Non sapevo molto di
amministrazione quando ho iniziato la mia tesi. E come tanti altri,
pensavo che significasse soltanto mettere al lavoro le persone elette.
Dopo un anno, ho capito che l'amministrazione è molto più di questo.
Poche settimane dopo la
presentazione di Kiku, uno
sciame di scosse sismiche ha sconvolto l'Emilia Romagna. E la macchina
della solidarietà è partita immediatamente con migliaia di volontari che
hanno offerto il loro aiuto e che continuano ad offrirlo tuttora. Usano
le mani per rimuovere detriti e offrire assistenza, ma le usano anche
per scrivere delle grandi applicazioni in grado di supportare le
amministrazioni e gli enti di volontariato nel lungo processo di
gestione dell'emergenza.
Io stesso ho avuto l'opportunità
di avere parte attiva in questo sistema, prendendo parte ad
Hackathon Terremoto, una
maratona tecnologica svoltasi a Bologna il 16 e 17 giugno 2012[4].
Un nutrito gruppo di
sviluppatori, designer e analisti, che in 24 ore ha creato soluzioni e
prototipi che vanno dall’assistenza in caso di emergenza alla gestione
dei beni di prima necessità, dalla verifica dei danni alle abitazioni
all’organizzazione dei campi, dall’informazione in situazione di
pericolo alla domanda/offerta di alloggio, fino alla ricostruzione
partecipata.
Ma
Hackathon Terremoto è andato molto oltre le 24 ore della maratona.
L'entusiasmo di questo gruppo di ragazzi si è alimentato in rete, è
stato adottato e sostenuto da diverse associazioni ed enti ed ha offerto
le soluzioni prodotte direttamente agli organi istituzionali
interessati: le amministrazioni dei comuni colpiti dal sisma e la
Protezione Civile.
Se ci capite un minimo di
burocrazia amministrativa, sapete che di solito non va così. Per
procurarsi dei software ci
vogliono almeno un paio di anni. Quindi delle applicazioni che si
riescono a creare in 1-2 giorni e che si diffondono in maniera virale,
sono un segnale per i governi. Suggerisce come le amministrazioni
potrebbero lavorare meglio in assenza di restrizioni, diventando più
aperte e produttive.
Anche perché c'è una grande
comunità di persone che, in modo spontaneo ma efficiente, sta creando
gli strumenti per fare le cose insieme efficacemente. Non sono solo i
ragazzi di Hackathon Terremoto,
ci sono centinaia di persone in tutto il paese che si fanno avanti per
programmare applicazioni civiche tutti i giorni, nelle loro comunità.
Non si sono rassegnati alla cattiva amministrazione. Sono frustrati da
morire, ma non si lamentano e sistemano le cose. E questi ragazzi hanno
capito qualcosa che in molti hanno perso di vista. E cioè che il nostro
ruolo non dovrebbe limitarsi ad eleggere un leader politico per poi
mettersi da parte e pretendere che le istituzioni riflettano i nostri
valori e rispondano ai nostri bisogni. Loro affrontano il problema
dell'amministrazione non come un problema di istituzione fossilizzata,
ma come un problema di azione collettiva. In fondo cos'è
l'amministrazione se non il fare insieme quello che non possiamo fare da
soli?
È ovvio che non possiamo pensare di affrontare le enormi sfide che ci attendono facendo a meno delle amministrazioni, ma dobbiamo renderle più efficaci. Ed è possibile, anche se difficile, perché abbiamo un patrimonio incredibile di conoscenze e competenze, e internet ci permette di mobilitarle e trasformarle in azione.
Quindi la buona notizia è che la
tecnologia rende possibile ristrutturare radicalmente il funzionamento
degli organi istituzionali, in modo sostenibile e rafforzando la società
civile.
Ma noi dovremo ricordarci, ogni
giorno, che non siamo solo consumatori, che non siamo solo clienti
passivi delle amministrazioni, pagando le tasse in cambio di servizi.
Siamo più di questo, siamo cittadini. E non riusciremo a cambiare le
amministrazioni finché non miglioriamo la cittadinanza.
AGOSTO 2012
[1] Tratto dal blog di Anna Colasacco: http://miskappa.blogspot.it/2010/02/partecipazione.html
[3] Una descrizione dettagliata del progetto e il libro completo scaricabile in pdf reperibili al seguente link: http://francescodonghia.wordpress.com/2012/05/27/kiku-re-imagine-post-disaster-reconstruction-in-the-era-of-participation/