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08
Ottobre 2012

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Esperienza e rappresentazione

VIGOTSKIJ E IL RUOLO DELL'ATTIVITà MEDIATA NELL'APPRENDIMENTO

Nicola Caruso

 

Introduzione

È sorprendente rileggere le parole di Vygotskij contenute nel libro dal titolo italiano Il processo cognitivo[1]. La sorpresa risiede nella capacità dello psicologo russo di introdurci al suo pensiero sulle modalità attraverso cui apprendiamo dall’esperienza. Nel concetto di attività mediata troviamo una valida concettualizzazione dello sviluppo umano come radicato nella socialità e nella cultura. Secondo l’Autore qualsiasi attività, affinché sia possibile un apprendimento, passa per l’utilizzo di uno strumento esterno, nel bambino rappresentato primariamente dal suo corpo, fino all’acquisizione del linguaggio orale e scritto. Nella nostra epoca post-post-moderna, un’epoca definibile come trans-moderna poiché in una continua e veloce trasformazione, l’utilizzo degli strumenti tecnologici ci porta a riflettere sul loro valore, su quale funzione, ora come ora, ricoprano nell’esperienza di tutti in noi e, in particolare, come possano cambiare le modalità d’apprendimento dell’essere umano. È possibile, quindi, ritenere la tecnologia una causa dei cambiamenti radicali della nostra società occidentale e soprattutto una delle cause della trasformazione del nostro modo di pensare e di rappresentarci la realtà? Questo interrogativo attraverserà la re-visione del pensiero di Vygotskij, sperando, alla fine, di mettere in luce l’importanza dei suoi studi per avere nuove chiavi di lettura della nostra realtà complessa e caotica.

Per introdurre il pensiero Vygotskij è necessario fare un breve excursus storico sulla biografia del grande psicologo russo.

 

Vygotskij nacque il 17 novembre 1896 ad Orsha in Bielorussia da una famiglia di ebrei benestanti. Maturato al Ginnasio di Gomel, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’ Università statale di Mosca nel 1913, dove si laureò dopo quattro anni. In una prima fase, Vygotskij si occupò principalmente di critica letteraria e psicologia dell'arte e iniziò ad interessarsi all'applicazione della psicologia nell'educazione. Vygotskij, nel 1924, ebbe modo di leggere una sua relazione, intitolata Metodologia della ricerca riflessologica e psicologica, ad un importante congresso panrusso di pedagogia, psicologia, psiconeurologia, suscitando molto interesse nel pubblico presente. La notorietà derivante da tale evento fu di tale entità che lo stesso anno fu invitato a trasferirsi a Mosca, insieme alla moglie Roza Smechova, per lavorare all'Istituto di Psicologia, dove conobbe Leont'ev e Lurija. Nel 1925 Vygotskij tenne la conferenza La coscienza come problema psicologico del comportamento, il cui testo divenne il manifesto della scuola che prese il nome di 'storico-culturale' di cui Vygotskij è considerato il fondatore. Nello stesso anno divenne direttore del Dipartimento per l'Istruzione dei Bambini Handicappati e in seguito anche dell'Istituto di Difettologia. In una seconda fase Vygotskij affrontò il problema della storicità delle funzioni psichiche con una serie di analisi critiche sulle teorie fisiologiche e psicologiche del tempo. L'opera più rilevante di questo periodo è la monografia Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, terminata di scrivere nel 1931. In questo periodo Vygotskij diresse il laboratorio di psicologia all'Accademia dell'educazione comunista. Nell’ultimo periodo della sua vita Vygotskij si occupò di varie tematiche di psicologia, in particolare si dedicò alla studio delle emozioni nell’articolo che prese il nome di Teoria della emozioni (1934). Morì di tubercolosi l'11 giugno 1934. Dopo la sua prematura morte fu pubblicato Pensiero e linguaggio (1934), tuttora considerato il capolavoro di Vygotskij.[2]

 

1. Apprendere attraverso l’utilizzo dei segni e degli strumenti.

Secondo l’Autore, che dedicò, una buona parte della sua ricerca al problema dell’apprendimento, i processi di formazione delle funzioni psichiche superiori, quali l’acquisizione dei principi logici, i concetti sempre più astratti, lo stesso linguaggio e il pensiero, sono resi possibili dall’interazione continua con l’ambiente e più precisamente dalle relazioni che si costituiscono tra l’essere umano e gli ambienti di cui fa esperienza. Vygotskij e i suoi collaboratori hanno dato vita alla scuola storica culturale che, fortemente influenzata dal materialismo dialettico, era attenta a due fattori fondamentali nello sviluppo del bambino:

1.     la prospettiva genetica, che è costituita dal fattore storico in cui si radica l’esperienza del bambino;

2.     La prospettiva culturale, che consente di individuare quali sono i meccanismi sociali che mediano la conoscenza.

In questa duplice chiave di lettura sono riassunti i principi utilizzati per comprendere lo sviluppo del bambino e, più in generale, le relazioni tra apprendimento-esperienza-sviluppo. Come esempio per comprendere il punto di vista storico-culturale, partiamo dal concetto di attenzione. Secondo Vygotskij, l’attenzione nell’essere umano segue due direzioni:

1.     La prima è definita attenzione naturale;

2.     La seconda direzione è definita attenzione volontaria.

Prendendo in esame le ricerche del suo tempo Vygostskij[3] ne fa un sunto e una critica e ci inserisce nella sua linea di ricerca, facendoci capire da dove, secondo lui, devono partire le ricerche psicologiche sperimentali:

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Alla base dello sviluppo dell’attenzione sta quindi, in questo periodo [fase prescolare del bambino], il processo puramente organico della crescita, della maturazione e dello sviluppo degli apparati nervosi e delle funzioni del bambino[4].

 

Possiamo vedere come, risalendo lungo il corso dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Vygotskij individua il nucleo centrale che differenzia l’attenzione volontaria tipicamente umana e l’attenzione naturale, dominio anche degli altri animali:

 

L’importanza di questo processo organico, soggiacente allo sviluppo dell’attenzione, passa in secondo piano di fronte ai nuovi processi di sviluppo dell’attenzione, di tipo qualitativamente diverso: quelli precisamente dello sviluppo culturale dell’attenzione[5].

 

Il bambino che va acquisendo le capacità di dirigere la propria attenzione nel suo sviluppo impara a padroneggiare l’attenzione, che, prima dominata dagli ordini provenienti dall’esterno, e poi sciolta dagli obblighi esterni, consente di risolvere sempre più autonomamente i compiti dinanzi ai quali è posto. Possiamo definire il comportamento del bambino come autoregolantesi, cioè capace di organizzare le informazioni e i comandi in modalità tali che possono essere padroneggiate sempre meglio e tali da modificare contemporaneamente l’ambiente dove agisce. Nella prospettiva storico-culturale l’attenzione si forma, quindi, a partire da «due linee fondamentali dello sviluppo: quella dello sviluppo naturale e quella dello sviluppo culturale dell’attenzione»[6].

Tipicamente umana è la possibilità di avere uno sviluppo culturale delle funzioni psichiche. Ma che vuol dire sviluppo culturale?

È interessante capire cosa accade nell’interazione tra interno ed esterno, cosa succede in quella area intermedia tra il dentro e il fuori, cosa accade ad un bambino affinché acquisisca nuove competenze, come l’attenzione volontaria

 

sorge dal fatto che quanti circondano il bambino, vengono via via, mediante una serie di stimoli e di mediazioni, a dirigere l’attenzione di lui, a regolarla, a sottometterla al loro dominio, e così mettono fra le mani del bambino tutti quei mezzi, con l’aiuto dei quali egli stesso, in seguito acquista il dominio della propria attenzione di quel medesimo tipo[7].

 

È importante comprendere la relazione tra sviluppo delle funzioni psichiche superiori, che si instaurano su fattori genetici e biologici, e l’uso di segni e strumenti. Vygotskij introduce una spiegazione della struttura che è alla base del segno. Egli parte proprio dalle ricerche comportamentali classiche e spiega che la più semplice forma di un comportamento ha come presupposto una reazione diretta, non mediata, al compito proposto all’organismo:

simbolo

 

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Ma la struttura che soggiace alla costruzione di un segno presenta la necessità di trovare un legame intermedio tra stimolo e risposta. L’Autore definisce questo legame intermedio come stimolo di secondo grado (segno) che viene utilizzato in una qualsiasi operazione e che adempie a una speciale funzione: crea un nuovo rapporto tra S e R. Affinché ci sia questa aggiunta, è necessario che l’individuo che compie questa operazione sia attivamente coinvolto nello stabilire questo legame. Per descrivere la circolarità dell’interazione che parte da uno stimolo osserviamo che il concetto di anello di retroazione è molto utile. Ad esempio un problema da risolvere stimola una reazione che è a sua volta modificata dall’interazione con il problema tramite l’utilizzo di un fattore di mediazione, in questo caso definito segno, che amplifica le possibilità di riflessione interna all’individuo, cosicché l’interazione tra stimolo e risposta non vada nella sola direzione di modifica dell’ambiente, ma tramite il segno abbia effetto anche sull’individuo. Questa azione retroattiva viene definita da Vygotskij come «azione complessa e mediata»[8]. Così «in questo nuovo processo l’impulso diretto di reagire è inibito e si inserisce uno stimolo ausiliario che facilita il completamento dell’operazione con mezzi diretti»[9].

Ecco come appare il classico schema stimolo risposta una volta che viene aggiunta questa funzione di mediazione, definita come variabile X:    

1

 

Questo stimolo che aiuta e media il comportamento umano, ha una proprietà definita dall’Autore «dell’azione contraria»[10]: rende possibile la trasformazione dell’operazione mentale semplice in forme più alte e qualitativamente nuove. L’essere umano acquisisce nuove competenze, come quella di dominare il comportamento dall’esterno tramite l’utilizzo di strumenti che ampliano le sue capacità di controllo sulla realtà. Abbiamo, quindi, una struttura specifica, umana, di comportamento che distanzia lo sviluppo biologico e «crea forme nuove di un processo psichico culturalmente fondato»[11].

 

2. L’uso degli artefatti e l’attività mediata

Secondo Vygotskij la definizione di strumento come mezzo di lavoro, arnese, che estende il dominio sulla natura può confluire e confondersi con il linguaggio come mezzo di ausilio nelle relazioni sociali nel concetto generico di artefatti. Nelle sue ricerche l’autore si interroga sulle modalità con cui entrano in relazione l’uso dello strumento e l’uso del segno, come essi siano reciprocamente collegati e allo stesso tempo siano separati nell’ambito dello sviluppo culturale del bambino. Sinteticamente si possono riunire le novità di questa ricerca partendo da tre postulati:

1.     il primo postulato riguarda le somiglianze tra i due tipi di attività;

2.     il secondo ne chiarisce le differenze più importanti;

3.     il terzo può essere utile a comprendere il reale legame psicologico esistente tra segno e strumento.

Partiamo dal primo postulato che Vygotskij sottolinea, la fondamentale analogia tra segno e strumento in quanto funzione mediatrice.

 

schema2

 

Secondo l’Autore, la differenza tra i due concetti consiste nelle differenti attività mediate che facilitano l’adattamento. Infatti essi orientano in maniera differente il comportamento degli esseri umani. Vediamo come la funzione dello strumento consista nel condurre il dominio dell’uomo sull’oggetto dell’attività mediata. Esso è necessariamente orientato verso l’esterno e assume il compito di trasformare gli oggetti. Notiamo che la definizione data di strumento è quella di un «mezzo attraverso il quale l’attività umana esterna mira a padroneggiare e sottomettere la natura»[12].

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Il segno, viceversa, non può cambiare in nessun modo la natura dell’oggetto di un’operazione mentale. Piuttosto esso appare come un mezzo che fa parte di un’attività interna che mira «a padroneggiare se stesso»[13]. Quindi il segno ha una direzione inversa allo strumento; esso è orientato internamente. Riassumendo, in questa visione dell’attività umana vediamo che tale attività si differenzia dall’ordine biologico della natura attraverso il ruolo della mediazione. Un tipo di mediazione ci consente di dominare l’esterno, la realtà delle cose (res extensa). Questo è lo strumento. Un altro tipo di mediazione ci consente l’operazione inversa, che sarebbe l’estensione del dominio sull’attività interna (res cogitans). Quest’ultimo viene definito segno. Ora bisogna chiedersi qual è il reale legame, qual è la relazione tra queste due attività, che origine possono avere nella filogenesi e quale sviluppo possono prendere nell’ontogenesi. Se per filogenesi si intende l’origine biologica e quindi la comprensione della neurofisiologia, dobbiamo però ricordare che siamo interessati al processo che lega queste due operazioni, perché

 

la padronanza della natura e la padronanza del comportamento sono unite mutualmente, proprio come la modificazione della natura da parte dell’uomo modifica la natura stessa dell’uomo[14].

 

L’uso degli strumenti durante lo sviluppo del bambino si connota come diverso dal mero rivelarsi di un sistema di attività organicamente dato e programmato a priori. Allo stesso modo, il primo uso che si fa dei segni dimostra che anche le funzioni psichiche interne non sono predeterminate. Infatti l’utilizzo dei «mezzi artificiali», «la transizione all’attività mediata»[15], rende possibile nuove trasformazioni di ciò che è dato biologicamente; tutte le operazioni mentali, così come le attività comportamentali, sono estese illimitatamente dall’uso degli strumenti, tramite i segni acquisiscono nuove qualità che allargano i loro domini in nuove aree all’interno dell’uomo. In queste nuove aree possiamo vedere l’emergere di nuove funzioni, chiamate funzioni psichiche superiori. Quando ci riferiamo all’attività mediata che mette in relazione sia i segni, sia gli strumenti abbiamo una nuova unità: «il comportamento superiore»[16].

Vygotskij e colleghi, attraverso moltissime situazioni sperimentali forniscono una vasta mole di esempi che contribuiscono a evidenziare il valore dei segni nella risoluzione dei problemi. In seguito, già verso i 5 o 6 anni, può iniziare a usare i segni e vi fanno completo affidamento. L’operazione viene così portata all’esterno. Con lo sviluppo ulteriore, i segni sembrano ormai inutili per risolvere un problema, poiché il bambino compie le operazioni seguendo uno schema interno e non ha più bisogno di mezzi ausiliari esterni. Ma questa scomparsa dei segni vale solo per una considerazione che valuti il solo comportamento esterno, visto che il cammino dello sviluppo del bambino,

 

come spesso accade, procede qui non in un cerchio ma in una spirale, passando attraverso lo stesso punto ad ogni nuova rivoluzione mentre ascende a un livello superiore[17].

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Il processo alla base di questa operazione interna è l’interiorizzazione. Un altro esempio efficace che fornisce Vygotskij è dato dallo sviluppo dell’indicare. Se in un primo momento questo è un tentativo non riuscito di afferrare qualcosa a lui prossimale ed ha a che fare con i movimenti del bambino, quando la madre fornisce il suo aiuto al bambino e capisce che i suoi movimenti sono indirizzati verso qualcosa, la situazione muta completamente. Qui l’indicare diviene un gesto che ha un senso per le altre persone. Così il significato dell’azione viene attribuito dall’altro, in questo caso la madre. Il movimento che era caoticamente orientato verso un oggetto diventa un movimento che è diretto a un’altra persona, «un mezzo per stabilire rapporti»[18].

L’azione utile per afferrare si trasforma nell’atto dell’indicare. Volendo riassumere le qualità del processo di interiorizzazione, vediamo che:

1.     essa consiste in un’operazione che in un primo momento è costituita da un’attività portata all’esterno; questa, poi, viene ricostruita e comincia a «prodursi internamente»[19];

2.     «un processo interpersonale si trasforma in un processo intrapersonale»[20];

3.     «la trasformazione di un processo interpersonale in uno interpersonale è il risultato di una lunga serie di eventi evolutivi»[21].

Arriviamo qui al punto finale che sintetizza il valore dei segni e degli strumenti per lo sviluppo umano. Precisando che una funzione può, nel suo sviluppo culturale, ripresentarsi due volte, si sottolinea come si abbia prima uno sviluppo sociale della funzione (come l’attenzione volontaria) e poi uno sviluppo interno all’individuo, dato che l’interiorizzazione si basa sull’attività mediata dai segni che consentono la ricostruzione dell’operazione psicologica prima agita nelle realtà esterna e poi riportata all’interno. Vygotskij usa un metodo dialettico, hegeliano, che ci mostra un andamento e un evoluzione a spirale dello sviluppo del bambino. Questo processo di interiorizzazione consente l’emergere di una nuova funzione: il pensiero.

 

3. Strumenti moderni e attività mediata: in quale luogo è il pensiero?

Dopo questa breve rivisitazione di una parte del pensiero dell’Autore, possiamo supporre che la rete con i suoi social network, con i suoi spazi cloud e i nuovi strumenti-computer-telefoni come i touchscreen, i tablet e i netbook, ci stia tuttora trasformando? Ipotizzare la rete come agente di cambiamento, vuol dire che si prova a vederla come un ente con un propria volontà sovrasistemica. Possiamo teorizzare che questa tecnologia possa rendere il pensiero meno radicato nell’individuo, più diffuso, in rete, on line. Lo spazio virtuale creato da questi strumenti-periferiche connessi in rete, potenzialmente in ogni tempo e in ogni spazio, si muove e cambia continuamente, proprio come i nostri pensieri che non riescono più ad essere rinchiusi in uno spazio-tempo definito e stabile, come ad esempio un’ideologia, una teoria, una teologia. La molteplicità dei luoghi in cui si fanno esperienze parziali ha moltiplicato e diffuso all’infinito i luoghi di incontro (social Hub), ma allo stesso tempo questa diffusione e parzializzazione dei luoghi, tra virtuale e reale, ci rende vuoti, a volte semplici automi di qualcosa che sembra trascenderci. Un quesito aperto serpeggia in questa orizzontalizzazione dell’esperienza: chi pensa? Il pensiero appartiene solo all’individuo? La coscienza emerge solo nel singolo? È possibile ipotizzare una coscienza della rete? Questi quesiti vanno di pari passo con una ricerca sui nostri modi di apprendere e restringe il campo delle domande ora poste. Chi apprende, cosa sta apprendendo? Come è possibile, oggi, apprendere dall’esperienza?

 

AGOSTO 2012

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Bibliografia

W. Bion, Learning from experience, tr. it. Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma, 2009.

L. S. Vygotskij, Istorija razvitija vyssich psichiceskich funkij, 1974, tr. it. Storia delle funzioni psichiche superiori, Giunti editore, Firenze-Milano, 2009.

L. S. Vygotskij, Mind in society, Harvard University Press-Cambridge, London 1978, tr. it. Il processo cognitivo, Editori Boringhieri S.pa., Torino, 1987.

L. S. Vygotskij, Problemy psichiceskogo razvitija rebenka, 1973, tr. it. Lo sviluppo psichico del bambino, Editori Riuniti university press, Roma, 2010.

L. S. Vygotskij, Thought and language, 1962, tr. it. Pensiero e linguaggio, Giunti editore S.p.a., Firenze-Milano 2011.

L. S. Vygotskij, Voobrazenie i tvorcestvo v detskom vozraste, 1972, tr. it. Immaginazione e creatività nell’età infantile, Editori riuniti University press, Roma, 2010.


[1] L. S. Vigotskij, Mind in society, Harvard University Press-Cambridge, London, 1978, in Il processo cognitivo, Bollati Boringhieri S.p.a., Torino 1987.

[3] L. S. Vigotskij, Voobrazenie i tvorcestvo v detskom vozraste, 1972, in Immaginazione e creatività nell’età infantile, Editori Riuniti University press, Roma 2010.

[4] Vigotskij, Immaginazione e creatività…, cit., p. 73.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem, p. 74.

[7] Ibidem.

[8] Vigotskij, Il processo cognitivo…, cit., p. 64.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem, p.65.

[12] Ibidem, p. 85.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem.

[15] Ibidem, p. 86.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem, p. 64.

[18] Ibidem, p. 88.

[19] Ibidem, p. 87.

[20] Ibidem, p. 88.

[21] Ibidem.