L'Italia vista da…
L'ITALIA VISTA DALL'ARGENTINA
Francesco Palmieri
Italia primer mundo.
La collocazione geopolitica dell'Italia,
a prescindere dagli aspetti
pittoreschi che all'estero ci distinguono dagli altri
popoli, è tra i paesi ricchi e fortemente sviluppati del Primo
Mondo. Tuttavia la visione dell'Italia
con gli occhi degli argentini che ho potuto cogliere non
è molto ragionata e contiene numerose contraddizioni. È il
frutto storico di tutte le interazioni tra i due paesi, che
comincia nel tardo '800 con le prime migrazioni e prosegue per
tutti i primi anni del '900;
c'è il fascismo che rappresenta una scuola politica fondamentale
per Juan Peròn, in seguito la guerra mondiale e le fughe
da essa e dal dopoguerra.
Poi il cambiamento.
L'Italia diventa più ricca dell'Argentina, è nel G7, la
sua industria decolla e le migrazioni finiscono, cosicché
le notizie che arrivano sono più che altro sprazzi, fotografie
che vengono dalla sezione internazionale dei vari giornali: gran
poco. La stampa in Argentina non è mai stata
effettivamente libera per via di un monopolio
nell'industria cartiera, e per tutto il periodo dal dopoguerra
fino all'83 nemmeno il diritto di scrivere è riuscito a
sopravvivere qualche anno di fila per via di colpi di stato e
dittature. A tutto ciò va sommata la scarsa attenzione degli
argentini nei confronti del resto del mondo:
spesso imbevuti di snobismo patriottico e peronista non
si interessano
eccessivamente alla risoluzione delle cause della scarsa
informazione. L'immagine dell'Italia nel sud del
Sudamerica cambia quindi
radicalmente le sue fonti: da una testimonianza diretta dei
migranti disperati a una voce tra le altre di quello che
è il mondo più ricco. C'è quindi la tendenza di chi è emigrato a
volere che la propria casa sia rimasta come
se la ricorda, non
considerando che il cambio sociale
prodotto dalla nuova ricchezza abbia modificato radicalmente la
mentalità e la cultura degli italiani. Da questo flusso
informativo continuo nel tempo ma discontinuo in
contenuti e modalità scaturisce un'idea di Italia ricca di
contraddizioni, evidenziabili prevalentemente nella divisione in
categorie dei concetti di Italia e di italiani.
È su questa
discrasia che vorrei affrontare la complessa visione che
avevano di me Argentini, Cileni e Brasiliani del sud. Associo queste tre realtà
geografiche perché, nonostante le radicali differenze storiche,
culturali e di
condizioni o in cui opera l'informazione, sono le zone di
maggiore immigrazione italiana d'oltremare (escludendo Stati
Uniti e Venezuela).
Innanzitutto l'idea di Italia. È
rappresentata nel
primo mondo, quello dei ricchi dove le cose funzionano
bene, la ricchezza prospera e la povertà è stata sconfitta.
Inoltre è parte dell'Europa, quel calderone abbastanza anonimo
dove viene infilato tutto il vecchio continente senza
distinzioni di sorta: un'Europa ricca e colpevole della povertà
altrui, ma guardata con rispetto per via dello sviluppo sociale
più omogeneo
rispetto al modello statunitense, che paesi come Brasile
e Argentina temono per il proprio
futuro.
Questa visione patinata è stata però affiancata da un'altra molto
più tragica: quella della crisi. Nella visione dell'argentino,
l'Europa è stata investita dalla crisi e si trova in uno stato
completo di depressione, disgregazione sociale e mancanza di
prospettive. Quest'immagine, più che da conoscenza, è supportata
dal fatto di essere un paese che nel 2001 ha vissuto
un'esperienza analoga e che ora vanta uno dei tassi di sviluppo
economico più alti del mondo; uno sviluppo, a differenza di
quello degli anni '90, con basi solide nell'industria alimentare
e nel turismo, trainato dalla crescita industriale del Brasile e
dalle prospettive politiche di Mercosur e Unasur.
Questa
visione contraddittoria non è affatto vissuta con
problematicità: agli argentini non interessa troppo ciò che
succede all'estero, e se c'è un buon motivo per consolidare il
proprio orgoglio questo viene colto al volo. I due stereotipi
dell'Europa sono semplicemente associati e sfoderati a seconda
del discorso: se ci si debba lagnare dei propri problemi o se ci
si vanti dei propri successi.
Il capitolo “Berlusconi” non può
essere evitato. Come è già noto, le vicende del premier hanno
fatto il giro del mondo e l'icona berlusconiana riscuote
successo in paesi così machisti. Chi guarda a lui non ha
la minima idea delle sue posizioni politiche, né gli interessano
più di tanto: la politica estera è spesso un diversivo, e
Berlusconi è divertente. Un esempio piuttosto emblematico è
quello di Francisco, un camionista che mi ha dato un passaggio
nel sud del Chile. “Italiano! A ti te gusta Berlusconi? A mi
me gusta por lo de las chicas!” L'idea che un primo ministro
italiano faccia festini in ville magnifiche circondato da
ragazze e ragazzine suscita parecchia ilarità anche perché
conferma l'immagine latina dell'italiano. La
testimonianza è particolarmente interessante perché il suddetto
Francisco è un sostenitore del partito socialista e avversatore
di Piñera, il presidente cileno.
Piñera è uno dei primi successi d'imitazione del
modello berlusconiano: entrato in politica con il centrodestra
per scalzare 20 anni di egemonia del Partido Socialista,
si è presentato come imprenditore di successo, uomo al comando
con una marcia in più e possessore di un importante canale
televisivo (un altro esempio è il sindaco di Buenos Aires e
candidato alle elezioni presidenziali argentine Mauricio Macri,
che ha seguito più o meno lo stesso percorso). Questo
a dimostrazione che i contenuti
politici del discorso
berlusconiano non sono affatto conosciuti: suscitano simpatia le
bravate che entrano di prepotenza nel gossip di cui è
ricca la
pagina internazionale di numerose testate giornalistiche.
Per quanto riguarda il discorso
sugli italiani, è necessario introdurre il contesto in cui ho
vissuto: Santa Fe. Non quella famosa e piena di grattacieli, in
California. Santa Fe argentina è una città di mezzo milione
d'abitanti, circondata da distese infinite di pampa humeda
coltivate a soia transgenica o adibite al pascolo di bovini,
costeggiata dal Rio Paranà e meta di un enorme flusso migratorio
fin dalla metà dell'800. C'è stato addirittura un momento, verso
la fine di quel secolo, in cui gli immigrati italiani
costituivano la metà della popolazione.
Circa la metà delle
persone conosciute ha un cognome italiano, tutti hanno un nonno
o bisnonno italiano, un terzo dei miei compagni di corso ha la
cittadinanza italiana o sta facendo le carte per ottenerla. In
compenso, nessuno parla italiano in casa.
L'idea che hanno degli italiani
è pertanto quella tramandata dai migranti di cento anni fa, di
un'Italia contadina tutta chiesa e famiglia. Un popolo caldo ed
accogliente, essenzialmente diverso dai vicini europei per lo
status di latinos che ci viene attribuito (ma più
simpatici degli spagnoli e dei portoghesi per ragioni storiche).
Spesso gli argentini sono rimasti molto sorpresi scoprendo da me
che la realtà come gli era stata raccontata non esiste più.
Sentirsi dire che loro erano molto più caldi e simpatici degli
italiani li ha inorgogliti e delusi.
Altro discorso è
il peso del
cattolicesimo: la presenza del Vaticano e
la memoria dei migranti hanno
conservato l'immagine di un paese ferventemente devoto.
Faticano a credere che
nel Nord Italia la bestemmia è arrivata ad essere molto spesso
un semplice intercalare, che le chiese sono
quasi vuote e che
la religiosità nei paesi
sudamericani è molto più sentita (l'Argentina è però un
caso particolare di forte secolarizzazione).
Un'occasione paradigmatica è
stato un pranzo di famiglia di un'amica a cui sono stato
invitato. La nonna, che ospitava tutti, ha figli e nipoti che
vivono in città situate a
diverse ore di distanza, i quali si spostano frequentemente per
andare a visitare i parenti. Le distanze sono un aspetto
davvero disorientante per un europeo: non siamo abituati a spazi
di tali dimensioni. Perciò un argentino
impallidiva sentendo che
raramente visito i miei zii piacentini perché c'è da fare un'ora
di viaggio.
La tavolata era abbastanza
grande, una dozzina di persone che parlavano a voce molto alta,
bevevano e mangiavano a volontà e facevano feste ai nipoti
giovani, sposati e con figli. A un certo punto la nonna,
orgogliosamente, mi dice:
«Devi sentirti proprio a casa; questa è una situazione molto
italiana...». Sicuramente fu felice di sapere che io mi
sentissi davvero a casa, ma la delusione è stata evidente quando
le ho detto che, in realtà, con la famiglia mi ritrovo, se va
bene, due volte all'anno.
Se ne andava così una colonna
portante dei suoi riferimenti simbolici, un'idea antica di
Italia che scompariva di fronte a uno dei primi emigrati
italiani a Santa Fe da molto tempo che le raccontava il nuovo
aspetto del nostro paese.
MARZO 2011