LA FINE DEL NUCLEARE E
L'ENERGIA COME BENE COMUNE
Massimo Ammendola
Il recente sisma (e conseguente tsunami)
che ha colpito il Giappone, ha riportato in primo piano il tema
dell'energia, la sua centralità, e specialmente i pericoli connessi alla
sua produzione.
L'approccio tende alla minimizzazione,
poiché nasce dall'allarme mediatico degli incidenti alle centrali
nucleari giapponesi dell'ormai tristemente famosa Fukushima (il livello
di inquinamento radioattivo è purtroppo ormai paragonabile a quello di
Chernobyl), e delle meno famose Onagawa e Higashidori, che ha scatenato
la paura a livello planetario.
Questi eventi in Italia stanno
provocando un rinvio delle politiche di sviluppo del nucleare, con
tentativi da parte del governo di ridicolizzazione del referendum
dell'11 e 12 giugno prossimo, nella speranza di poter non chiudere
definitivamente la questione, e poi riprovare a costruire qualche
centrale quando la gente si sarà dimenticata del fall-out giapponese.
La memoria umana è effettivamente un po'
“corta”, tendiamo a dimenticare spesso e velocemente, ma in questo caso,
ci troviamo dinanzi ad un nemico troppo insidioso per dimenticarlo: la
radioattività, infatti, non si sente, non si vede, non ha odore.
Come scrive Massimo Bonfatti di
mondoincammino.org, sul dramma
giapponese: «l'unica soluzione per
non pagarne la responsabilità, e il giusto risarcimento morale e
economico, sarà l’oblio; la soluzione cinica per definire “psicosi” il
futuro diritto alla salute dei “bambini e della popolazione di
Fukushima”, sarà la minimizzazione, se non la liquidazione, degli
effetti del fall out. Già dall’11 marzo, i radionuclidi si stanno
incorporando nei corpi di questi bambini, dei loro genitori, fratelli,
nonni […]. E il problema non si esaurirà fra 20 anni, come invece
vogliono farci credere».
Ed infatti, come accaduto in tanti altri
casi di inquinamento, la tendenza è quella del rimpicciolimento del
problema, quando invece le matrici ambientali, terra, acqua ed aria,
sono e saranno compromesse.
Le promesse delle ricostruzioni e delle
bonifiche non devono distogliere l'attenzione dalla contaminazione
radioattiva e dai difetti congeniti che colpiranno il Giappone tra una
generazione.
E devono farci riflettere sul peso che
ha l'energia sulla vita, nostra e del pianeta.
L'insensatezza del nucleare è anche
economica: man mano che diminuiscono le scorte di uranio presenti sulla
Terra, ne diventa più difficile l’estrazione. Il costo ufficiale per
Kw/h è salito fino a 4000 dollari nel 2007 (contro i 2000 dollari per
Kw/h delle stime precedenti): il carbone, per esempio, ne costa 300.
Inoltre Peter Garrison, dell’Università di Harward, in uno studio
intitolato Removing memory, giunge alla conclusione che gli studi
sul nucleare secretati (e quindi nascosti al pubblico) sono da 5 a 10
volte il numero delle pubblicazioni rese disponibili.
Come ha affermato il professor Angelo
Baracca in un recente convegno sul tema tenutosi a Napoli, la tecnologia
nucleare è un fallimento industriale, dal momento che sono stati
realizzati solo 442 impianti (meno di un decimo di quelli previsti
inizialmente), che la tecnologia utilizzata oggi di fatto è la stessa
di quella utilizzata negli anni ’70; dopo un rapidissimo sviluppo
iniziale è subentrata una fase di stasi e che oggi prevale lo
smantellamento alla costruzione poiché circa la metà delle centrali ha
più di venti anni e un terzo più di trenta. Oggi il nucleare regge
ancora economicamente perché la maggior parte dei costi è
esternalizzata e perché gli stati hanno concesso ai gestori delle
centrali garanzie, incentivi, assicurazioni e limitazioni delle
responsabilità in caso di incidenti.
Lo stesso trasporto e la stessa
estrazione dell'uranio è molto pericolosa, e frequenti sono stati gli
incidenti nelle miniere a cielo aperto, come nel caso del Niger,
disastrato dalla fuoriuscita di 200.000 litri d’acqua contaminata. E
pure la dismissione delle centrali costa 20 volte i costi di costruzione
perché è necessario controllarle per centinaia di anni.
Le energie non pulite, sono insomma un
pericolo perenne per la vita, e non è molto saggio sceglierle per
garantire all'umanità la troppa energia elettrica che consuma. Ma ad
oggi, non siamo liberi di scegliere e gestire l'energia: ciò che
dovrebbe essere un bene comune, un patrimonio di tutti, è uno dei
principali oggetti di profitto e speculazione, da parte di pochissimi.
Come per l'acqua, bene comune per eccellenza, chi controlla e gestisce
l'energia, comanda il mondo. Ed infatti, il modello di gestione
dell'energia in voga nel nostro sistema economico è fortemente
centralizzato: poche multinazionali possiedono le società che producono
energia elettrica, principalmente bruciando combustibili fossili
(80-85%), quali petrolio, gas, carbone, la cui combustione produce
inquinamento. Il modello è quello delle grandi centrali, cattedrali
costruite per produrre grosse quantità di MW, per poter supportare la
folle corsa dello sviluppo, che fungono da cima della piramide, a cui al
di sotto tutti sono costretti ad allacciarsi. E più dobbiamo crescere,
più dobbiamo svilupparci, più energia ci serve. L'espansione del
profitto va quindi di pari passo con la richiesta di energia elettrica.
E i profitti per chi immette energia in rete sono enormi, proprio perché
merce fondamentale per la vita, almeno così come siamo abituati a
viverla.
La stessa opzione delle energie pulite e
rinnovabili viene vista e strumentalizzata dal sistema economico
capitalista, come scelta strategica per far ripartire la crescita
economica. In continuità coi tempi passati, ci si pulisce la bocca e la
faccia parlando di green economy, senza pensare a un cambiamento,
senza abbandonare un sistema produttivo folle e sprecone.
Solo la fine dei grandi monopoli,
potrebbe portare a quella che è forse l'unica strada percorribile per il
bene della vita: migliaia di piccoli impianti autonomi, messi in rete
fra loro, proprio come Internet, per scambiare ciò che eccede. Da
consumatori diventare quindi produttori di energia, a filiera corta. In
tal modo si minimizzerebbero pure molti dei problemi legati all'energia:
la discontinuità, le perdite di trasmissione e soprattutto l'impatto
ambientale.
La semplice e razionale idea della rete,
applicata anche all'energia, ricalca quella del fisico
Fritjof
Capra, che propone di elaborare un nuovo pensiero, olistico, o meglio
sistemico, in cui privilegiare il sistema, cioè la rete complessa
costituita dalle molteplici interrelazioni, e non le singole unità
costitutive (come voleva l’approccio analitico di stampo cartesiano).
Seguendo tale orientamento che privilegia la “rete della vita” e le
interconnessioni cosmiche tra le tutte le forme della vita (come ci
descrive efficacemente James Cameron in Avatar, attraverso
Pandora, i suoi nativi, la flora e la fauna), l’uomo stesso è visto come
parte della natura: Capra ci dice che dobbiamo semplicemente seguire
l'esempio, imparando dai cicli della natura e dai principi organizzativi
degli ecosistemi, con lo scopo di costruire delle comunità sostenibili,
capaci di ridurre l’impatto ecologico.
E l'idea della rete, è quella che viene
praticamente portata avanti da alcuni dei ricercatori che da anni sono
impegnati sulla fusione fredda e le sue più moderne evoluzioni, come le
reazioni nucleari a bassa energia, dette anche piezonucleari, che
promettono energia a bassissimo prezzo[1].
La scelta convenzionalmente utilizzata,
cioè per l'energia nucleare, è quella di fare incontrare i reagenti nel
vuoto, usando molta energia per fare scontrare con molta forza le
particelle: per questo motivo servono impianti molto grandi e
pericolosi. Quest'urto, provocato per produrre l'energia, è anche ciò
che provoca la produzione di quei frammenti che in effetti sono le
scorie nucleari, che ci restano sul groppone per secoli. Nell'approccio
della fusione fredda, invece, si utilizzano elementi (anche rocce
naturali, in alcuni esperimenti) che fanno diminuire le resistenze,
senza scontri violenti e pericolosi. Si cerca di unire due elementi
leggeri per formarne uno più pesante. La massa dell'elemento creato è
inferiore alla somma dei due elementi di partenza, e la differenza
sarebbe quindi l'energia utilizzabile, tutto ciò utilizzando il reticolo
cristallino di alcuni materiali (quali anche il comunissimo tungsteno),
e quindi non agendo più nel vuoto, il che significa anche che non si
producono scorie, raggi gamma o altri pericoli: come afferma il fisico
Emilio Del Giudice, «usando la
persuasione invece che la violenza».
Queste ricerche sono in una fase
avanzata, e sono una grande e rivoluzionaria novità, ma l'effetto
libertario che è insito nelle applicazioni pratiche le ha di certo
danneggiate, poiché spaventano i grandi interessi finanziari legati ai
combustibili fossili.
Questo campo di ricerca costa molto
poco; ma c'è molta resistenza a entrare nello schema mentale che
consente questi esperimenti, dato che ora si pensa unicamente che la
materia sia fatta di parti isolate che interagiscono tra loro con l'uso
della forza.
Inoltre l'impiego di energia, non su
grandi centrali e capitali, ma su un uso diffuso, tramite un gran numero
di piccoli generatori, con pochi costi, eliminando le perdite di
trasmissione, porta al boicottaggio serrato da parte di scienziati,
fondazioni e multinazionali.
Eppure una produzione diffusa sul
territorio porterebbe a una maggiore efficienza con meno energia
prodotta: ad oggi, sorprendentemente, la produzione di energia è
eccessiva, rispetto ai bisogni, dato che ci sono sprechi giganteschi,
connessi all'uso di grandi centrali (moltissima energia si perde lungo
le linee di trasmissione).
Infatti, nella pratica, attraverso
l'utilizzo di queste tecnologie, l'uomo comune potrebbe per esempio,
avere una piccola centralina nel proprio bagno per prodursi l'acqua
calda. Non si sprecherebbe più l'energia che usa un impianto domestico
centralizzato di acqua calda, che deve fare arrivare a 70° l'acqua,
affinché giunga al rubinetto a 40°! Si parla di miniriscaldatori da
piazzare sul rubinetto, per riscaldare l'acqua direttamente, spendendo
metà energia. Di fatto, già una cosa del genere cambierebbe gli
equilibri di potere mondiali. Ma va anche detto che molti lungimiranti
stati possessori di petrolio, sono tra i finanziatori della fusione
fredda, proprio per fare durare il petrolio il più possibile, poiché in
fin dei conti l'oro nero oggi viene sprecato per usi non nobili.
Il problema resta quello dei decisori,
se non c'è nessuno che ha la forza e il coraggio di adottare queste
tecnologie, non si uscirà dal disastro attuale. La comprensione di
questi fenomeni, che in maniera semplicistica racchiudiamo sotto il
concetto di “fusione fredda”, è in via di completamento, in due-tre anni
saremo al top, e ne potremo vedere delle belle. Per dirne una: Roberto
Germano, fisico della Promete Srl, sta per presentare con i suoi
colleghi un sistema a plasma elettrolitico, che utilizza l'energia per
fare delle cose incredibili: cercare di rompere le molecole organiche
(ed inquinanti) del percolato, il liquido tossico che producono i
rifiuti in putrefazione, facendola incontrare con del plasma, a
3000-3400°. A costo energetico bassissimo.
Qualcosa di simile a ciò a cui sta
lavorando il gruppo di Claudio Filippone, inventore del concetto a
neutronica variabile CAESAR (Clean and Environmentally Safe Advanced
Reactor), che punta a utilizzare le scorie nucleari per produrre
energia.
Le stesse grandi compagnie che oggi
dominano la scena stanno investendo nelle fonti rinnovabili perché si
rendono conto che è inevitabile, ma non possono accettare che
l’autoproduzione riduca le loro quote di mercato. E così, con l'alibi
della CO2 e della creazione di occupazione, nascono nuovi
eco-mostri, grandi impianti a fonti rinnovabili, che oltre a devastare
il paesaggio e i terreni agricoli, succhiano denaro pubblico, grazie
agli incentivi statali, con l’appoggio di partiti e associazioni
ambientaliste.
Contro queste forze, sarebbe auspicabile
la coesione e l'attenzione di tutte le realtà che agiscono sui
territori, proprio perché stiamo parlando di un tema centrale, di un
bene comune, l'energia, che inoltre, se prodotta nelle forme
tradizionali, mette in serio pericolo gli equilibri della vita. E quindi
non si può parlare di politica se non si parla di vita, di protezione
della stessa e dell'ambiente. Chi oggi cerca di fare politica non può
non allargare il proprio sguardo al tema energetico, così come per
l'acqua, o per i rifiuti. È necessario abbandonare i particolarismi, e
fondare il proprio fare politico su tutti quei beni comuni,
indispensabili alla sopravvivenza umana.
APRILE 2011
[1]
Le «reazioni
nucleari a bassa energia», inchiesta di Maurizio Torrealta
su RaiNews24,
http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=22918. Il
fenomeno fisico della cosiddetta “fusione fredda” – cioè la
fusione a temperatura ambiente dei nuclei di deuterio, un
isotopo dell’idrogeno – in realtà è conosciuto e attivamente
sfruttato per scopi militari, in quanto permette di produrre
esplosioni che possono distruggere obiettivi grandi come un
palazzo tramite proiettili delle dimensioni di una comune
pallottola. Dalla raccolta di dati sui recenti campi di
battaglia in medio oriente pare che l’esercito americano conosca
il fenomeno della “fusione fredda” e lo utilizzi per produrre
mini bombe nucleari (“mini nukes”).