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04
Maggio 2011

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LA FINE DEL NUCLEARE E L'ENERGIA COME BENE COMUNE

Massimo Ammendola

 

Il recente sisma (e conseguente tsunami) che ha colpito il Giappone, ha riportato in primo piano il tema dell'energia, la sua centralità, e specialmente i pericoli connessi alla sua produzione.

L'approccio tende alla minimizzazione, poiché nasce dall'allarme mediatico degli incidenti alle centrali nucleari giapponesi dell'ormai tristemente famosa Fukushima (il livello di inquinamento radioattivo è purtroppo ormai paragonabile a quello di Chernobyl), e delle meno famose Onagawa e Higashidori, che ha scatenato la paura a livello planetario.

Questi eventi in Italia stanno provocando un rinvio delle politiche di sviluppo del nucleare, con tentativi da parte del governo di ridicolizzazione del referendum dell'11 e 12 giugno prossimo, nella speranza di poter non chiudere definitivamente la questione, e poi riprovare a costruire qualche centrale quando la gente si sarà dimenticata del fall-out giapponese.

La memoria umana è effettivamente un po' “corta”, tendiamo a dimenticare spesso e velocemente, ma in questo caso, ci troviamo dinanzi ad un nemico troppo insidioso per dimenticarlo: la radioattività, infatti, non si sente, non si vede, non ha odore.

Come scrive Massimo Bonfatti di mondoincammino.org, sul dramma giapponese: «l'unica soluzione per non pagarne la responsabilità, e il giusto risarcimento morale e economico, sarà l’oblio; la soluzione cinica per definire “psicosi” il futuro diritto alla salute dei “bambini e della popolazione di Fukushima”, sarà la minimizzazione, se non la liquidazione, degli effetti del fall out. Già dall’11 marzo, i radionuclidi si stanno incorporando nei corpi di questi bambini, dei loro genitori, fratelli, nonni […]. E il problema non si esaurirà fra 20 anni, come invece vogliono farci credere».

Ed infatti, come accaduto in tanti altri casi di inquinamento, la tendenza è quella del rimpicciolimento del problema, quando invece le matrici ambientali, terra, acqua ed aria, sono e saranno compromesse.

Le promesse delle ricostruzioni e delle bonifiche non devono distogliere l'attenzione dalla contaminazione radioattiva e dai difetti congeniti che colpiranno il Giappone tra una generazione.

E devono farci riflettere sul peso che ha l'energia sulla vita, nostra e del pianeta.

L'insensatezza del nucleare è anche economica: man mano che diminuiscono le scorte di uranio presenti sulla Terra, ne diventa più difficile l’estrazione. Il costo ufficiale per Kw/h è salito fino a 4000 dollari nel 2007 (contro i 2000 dollari per Kw/h delle stime precedenti): il carbone, per esempio, ne costa 300. Inoltre Peter Garrison, dell’Università di Harward, in uno studio intitolato Removing memory, giunge alla conclusione che gli studi sul nucleare secretati (e quindi nascosti al pubblico) sono da 5 a 10 volte il numero delle pubblicazioni rese disponibili.

Come ha affermato il professor Angelo Baracca in un recente convegno sul tema tenutosi a Napoli, la tecnologia nucleare è un fallimento industriale, dal momento che sono stati realizzati solo 442 impianti (meno di un decimo di quelli previsti inizialmente), che la tecnologia utilizzata oggi di fatto è la stessa di quella utilizzata negli anni ’70; dopo un rapidissimo sviluppo iniziale è subentrata una fase di stasi e che oggi prevale lo smantellamento alla costruzione poiché circa la metà delle centrali ha più di venti anni e un terzo più di trenta. Oggi il nucleare regge ancora economicamente perché la maggior parte dei costi è esternalizzata e perché gli stati hanno concesso ai gestori delle centrali garanzie, incentivi, assicurazioni e limitazioni delle responsabilità in caso di incidenti.

Lo stesso trasporto e la stessa estrazione dell'uranio è molto pericolosa, e frequenti sono stati gli incidenti nelle miniere a cielo aperto, come nel caso del Niger, disastrato dalla fuoriuscita di 200.000 litri d’acqua contaminata. E pure la dismissione delle centrali costa 20 volte i costi di costruzione perché è necessario controllarle per centinaia di anni.

Le energie non pulite, sono insomma un pericolo perenne per la vita, e non è molto saggio sceglierle per garantire all'umanità la troppa energia elettrica che consuma. Ma ad oggi, non siamo liberi di scegliere e gestire l'energia: ciò che dovrebbe essere un bene comune, un patrimonio di tutti, è uno dei principali oggetti di profitto e speculazione, da parte di pochissimi. Come per l'acqua, bene comune per eccellenza, chi controlla e gestisce l'energia, comanda il mondo. Ed infatti, il modello di gestione dell'energia in voga nel nostro sistema economico è fortemente centralizzato: poche multinazionali possiedono le società che producono energia elettrica, principalmente bruciando combustibili fossili (80-85%), quali petrolio, gas, carbone, la cui combustione produce inquinamento. Il modello è quello delle grandi centrali, cattedrali costruite per produrre grosse quantità di MW, per poter supportare la folle corsa dello sviluppo, che fungono da cima della piramide, a cui al di sotto tutti sono costretti ad allacciarsi. E più dobbiamo crescere, più dobbiamo svilupparci, più energia ci serve. L'espansione del profitto va quindi di pari passo con la richiesta di energia elettrica. E i profitti per chi immette energia in rete sono enormi, proprio perché merce fondamentale per la vita, almeno così come siamo abituati a viverla.

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La stessa opzione delle energie pulite e rinnovabili viene vista e strumentalizzata dal sistema economico capitalista, come scelta strategica per far ripartire la crescita economica. In continuità coi tempi passati, ci si pulisce la bocca e la faccia parlando di green economy, senza pensare a un cambiamento, senza abbandonare un sistema produttivo folle e sprecone.

Solo la fine dei grandi monopoli, potrebbe portare a quella che è forse l'unica strada percorribile per il bene della vita: migliaia di piccoli impianti autonomi, messi in rete fra loro, proprio come Internet, per scambiare ciò che eccede. Da consumatori diventare quindi produttori di energia, a filiera corta. In tal modo si minimizzerebbero pure molti dei problemi legati all'energia: la discontinuità, le perdite di trasmissione e soprattutto l'impatto ambientale.

La semplice e razionale idea della rete, applicata anche all'energia, ricalca quella del fisico Fritjof Capra, che propone di elaborare un nuovo pensiero, olistico, o meglio sistemico, in cui privilegiare il sistema, cioè la rete complessa costituita dalle molteplici interrelazioni, e non le singole unità costitutive (come voleva l’approccio analitico di stampo cartesiano). Seguendo tale orientamento che privilegia la “rete della vita” e le interconnessioni cosmiche tra le tutte le forme della vita (come ci descrive efficacemente James Cameron in Avatar, attraverso Pandora, i suoi nativi, la flora e la fauna), l’uomo stesso è visto come parte della natura: Capra ci dice che dobbiamo semplicemente seguire l'esempio, imparando dai cicli della natura e dai principi organizzativi degli ecosistemi, con lo scopo di costruire delle comunità sostenibili, capaci di ridurre l’impatto ecologico.

E l'idea della rete, è quella che viene praticamente portata avanti da alcuni dei ricercatori che da anni sono impegnati sulla fusione fredda e le sue più moderne evoluzioni, come le reazioni nucleari a bassa energia, dette anche piezonucleari, che promettono energia a bassissimo prezzo[1].

La scelta convenzionalmente utilizzata, cioè per l'energia nucleare, è quella di fare incontrare i reagenti nel vuoto, usando molta energia per fare scontrare con molta forza le particelle: per questo motivo servono impianti molto grandi e pericolosi. Quest'urto, provocato per produrre l'energia, è anche ciò che provoca la produzione di quei frammenti che in effetti sono le scorie nucleari, che ci restano sul groppone per secoli. Nell'approccio della fusione fredda, invece, si utilizzano elementi (anche rocce naturali, in alcuni esperimenti) che fanno diminuire le resistenze, senza scontri violenti e pericolosi. Si cerca di unire due elementi leggeri per formarne uno più pesante. La massa dell'elemento creato è inferiore alla somma dei due elementi di partenza, e la differenza sarebbe quindi l'energia utilizzabile, tutto ciò utilizzando il reticolo cristallino di alcuni materiali (quali anche il comunissimo tungsteno), e quindi non agendo più nel vuoto, il che significa anche che non si producono scorie, raggi gamma o altri pericoli: come afferma il fisico Emilio Del Giudice, «usando la persuasione invece che la violenza».

Queste ricerche sono in una fase avanzata, e sono una grande e rivoluzionaria novità, ma l'effetto libertario che è insito nelle applicazioni pratiche le ha di certo danneggiate, poiché spaventano i grandi interessi finanziari legati ai combustibili fossili.

Questo campo di ricerca costa molto poco; ma c'è molta resistenza a entrare nello schema mentale che consente questi esperimenti, dato che ora si pensa unicamente che la materia sia fatta di parti isolate che interagiscono tra loro con l'uso della forza.

Inoltre l'impiego di energia, non su grandi centrali e capitali, ma su un uso diffuso, tramite un gran numero di piccoli generatori, con pochi costi, eliminando le perdite di trasmissione, porta al boicottaggio serrato da parte di scienziati, fondazioni e multinazionali.

Eppure una produzione diffusa sul territorio porterebbe a una maggiore efficienza con meno energia prodotta: ad oggi, sorprendentemente, la produzione di energia è eccessiva, rispetto ai bisogni, dato che ci sono sprechi giganteschi, connessi all'uso di grandi centrali (moltissima energia si perde lungo le linee di trasmissione).

Infatti, nella pratica, attraverso l'utilizzo di queste tecnologie, l'uomo comune potrebbe per esempio, avere una piccola centralina nel proprio bagno per prodursi l'acqua calda. Non si sprecherebbe più l'energia che usa un impianto domestico centralizzato di acqua calda, che deve fare arrivare a 70° l'acqua, affinché giunga al rubinetto a 40°! Si parla di miniriscaldatori da piazzare sul rubinetto, per riscaldare l'acqua direttamente, spendendo metà energia. Di fatto, già una cosa del genere cambierebbe gli equilibri di potere mondiali. Ma va anche detto che molti lungimiranti stati possessori di petrolio, sono tra i finanziatori della fusione fredda, proprio per fare durare il petrolio il più possibile, poiché in fin dei conti l'oro nero oggi viene sprecato per usi non nobili.

Il problema resta quello dei decisori, se non c'è nessuno che ha la forza e il coraggio di adottare queste tecnologie, non si uscirà dal disastro attuale. La comprensione di questi fenomeni, che in maniera semplicistica racchiudiamo sotto il concetto di “fusione fredda”, è in via di completamento, in due-tre anni saremo al top, e ne potremo vedere delle belle. Per dirne una: Roberto Germano, fisico della Promete Srl, sta per presentare con i suoi colleghi un sistema a plasma elettrolitico, che utilizza l'energia per fare delle cose incredibili: cercare di rompere le molecole organiche (ed inquinanti) del percolato, il liquido tossico che producono i rifiuti in putrefazione, facendola incontrare con del plasma, a 3000-3400°. A costo energetico bassissimo.

Qualcosa di simile a ciò a cui sta lavorando il gruppo di Claudio Filippone, inventore del concetto a neutronica variabile CAESAR (Clean and Environmentally Safe Advanced Reactor), che punta a utilizzare le scorie nucleari per produrre energia.

Le stesse grandi compagnie che oggi dominano la scena stanno investendo nelle fonti rinnovabili perché si rendono conto che è inevitabile, ma non possono accettare che l’autoproduzione riduca le loro quote di mercato. E così, con l'alibi della CO2 e della creazione di occupazione, nascono nuovi eco-mostri, grandi impianti a fonti rinnovabili, che oltre a devastare il paesaggio e i terreni agricoli, succhiano denaro pubblico, grazie agli incentivi statali, con l’appoggio di partiti e associazioni ambientaliste.

Contro queste forze, sarebbe auspicabile la coesione e l'attenzione di tutte le realtà che agiscono sui territori, proprio perché stiamo parlando di un tema centrale, di un bene comune, l'energia, che inoltre, se prodotta nelle forme tradizionali, mette in serio pericolo gli equilibri della vita. E quindi non si può parlare di politica se non si parla di vita, di protezione della stessa e dell'ambiente. Chi oggi cerca di fare politica non può non allargare il proprio sguardo al tema energetico, così come per l'acqua, o per i rifiuti. È necessario abbandonare i particolarismi, e fondare il proprio fare politico su tutti quei beni comuni, indispensabili alla sopravvivenza umana.

 

APRILE 2011

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[1]   Le «reazioni nucleari a bassa energia», inchiesta di Maurizio Torrealta su RaiNews24, http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=22918. Il fenomeno fisico della cosiddetta “fusione fredda” – cioè la fusione a temperatura ambiente dei nuclei di deuterio, un isotopo dell’idrogeno – in realtà è conosciuto e attivamente sfruttato per scopi militari, in quanto permette di produrre esplosioni che possono distruggere obiettivi grandi come un palazzo tramite proiettili delle dimensioni di una comune pallottola. Dalla raccolta di dati sui recenti campi di battaglia in medio oriente pare che l’esercito americano conosca il fenomeno della “fusione fredda” e lo utilizzi per produrre mini bombe nucleari (“mini nukes”).