STORIA D’AMORE E DI SINDACATO
Valeria Spadini
Introduzione
La scelta di intervistare Oriella e
Marco è stata quasi obbligata: cercavo una storia di passione politica e
ne ho trovate due, così sapientemente intrecciate ma contemporaneamente
distinte l’una dall’altra, che la fascinazione è stata probabilmente il
primo motore della mia intervista.
Quando amore sentimentale e politico si
amalgamano nella loro complessità è difficile porre delle resistenze.
Nello stesso tempo ho tentato, ai
fini della buona riuscita dell’intervista, di non lasciare che
quel primo motore prendesse piede, mediante domande che in parte
agissero da deterrente nei confronti di quella glassa di sentimentalismo
che non di rado si forma sulla superficie di questo genere di racconti,
appiattendoli inesorabilmente.
Ho trovato la storia di Oriella e Marco
particolarmente interessante perché le loro strade si incrociano quando
entrambi, provenienti da percorsi diversi, sono già personalità di
riferimento all’interno della Cgil di Brescia: Marco, da poco in
pensione, è stato segretario della Camera del Lavoro di Brescia e
Oriella è funzionaria a livello regionale.
Entrambi quindi hanno vissuto gli stessi
momenti storici, ma ognuno con quella particolarità di sguardo dettata
da una storia personale, da una differenza di genere che si svela anche
nel modo di raccontare, nella scelta delle parole.
L’obiettivo dell’intervista è proprio
quello di lasciare che le parole di Oriella e Marco ci offrano un
orizzonte più ampio possibile sull’esperienza sindacale sia femminile
che maschile all’interno della Cgil. Si presterà particolare attenzione
al mondo del lavoro attuale, e al percorso che
Mi piacerebbe cominciare l’intervista
con il racconto della vostra prima esperienza in Cgil; in particolare,
quali sono i motivi per i quali vi siete avvicinati al sindacato? Avete
fatto altre esperienze politiche in precedenza?
MARCO: i primi contatti li ho avuti nel
periodo dell’estate del ’69. Avevo un contratto di quattro mesi con
Io abitavo al Violino, e lì c’erano dei
compagni, in particolare un certo Tirelli, che era del
psiup, nella
fiom nazionale, e per mesi
abbiamo fatto picchetti nelle fabbriche, in particolare alle
siderurgiche.
Poi sono andato a lavorare in banca S. Paolo di
Brescia (mio papà era assessore democristiano); lì
Poi sono entrato nella
fidac, e inizio a fare gli scioperi per i contratti di lavoro
(andavamo in giro a chiudere le agenzie delle banche).
Per questioni di incompatibilità, mollo
il sindacato ed entro nel partito.
In città si organizzano i comitati di
quartiere, creati dai sindacati e dagli attivisti di partito. Io ero nel
consiglio di Borgo Trento. In questi mesi si è creata quella che è stata
la dirigenza democratica di sinistra della città.
Io sono tra quelli che, ad un certo
punto, dal psiup entrano
nel pci; mi mettono nella
segreteria cittadina e poi entro in consiglio comunale. Il rapporto tra
partito e sindacato allora era molto stretto; quando nell’ ’82 ero un
funzionario, le decisioni sul sindacato venivano prese nel partito (è
una cosa che non c’è più). In quel modo ho conosciuto bene
Quando c’era nell’aria il decreto di S.
Valentino sulla scala mobile, durante il governo Craxi, si decise in via
Volturno che quella roba lì non doveva passare. Lama disse che non
andava bene che con una riunione informale si prendesse una decisione.
Nell’’85 torno in
cgil, nel Garda. In
Lombardia, negli anni ’80, il territorio non è diviso in province, ma in
comprensori a scavalco. Lì passo il periodo della ristrutturazione delle
fabbriche. In Val Sabbia ci sono tutte le fabbriche calzaturiere che
chiudono, a causa di quel processo generale che porta dalla grande
fabbrica alla fabbrica diffusa: brutto termine, perché significa che
entrare nelle piccole aziende è più difficile. Nelle aziende grandi il
consiglio di fabbrica era più forte e aveva più autonomia, mentre in
quelle piccole, organizzare la presenza del sindacato è complicato.
In quel periodo, come sindacalista,
gestivo tutte le sfortune: cassa integrazione non sicura e licenziamenti
senza complicazione.
Sul piano fisico, è cambiato il
paesaggio: puoi vedere ancora i resti della
cbo (Cotonificio bresciano
cottolini), che era organizzata come una città fabbrica (c’era dentro
anche l’asilo); c’era
Poi decidiamo di chiudere il
comprensorio del Garda nell’’88, e rientro nella segreteria della camera
di Brescia. Il compito che mi viene affidato è quello di seguire il
residence Prealpino di Bovezzo. Non l’avevo cercata, ma lì è nata la mia
vocazione a trattare il problema dell’immigrazione.
ORIELLA: Io ho cominciato a lavorare nel
‘74, quando mi sono diplomata, e venivo da un’esperienza politica che mi
aveva vista attiva nel movimento studentesco, erano gli anni
politicamente vivaci. Il primo lavoro che ho avuto è stato da impiegata
in un macello avicolo, dove ho lavorato una settimana. Praticamente
lavoravo da sola, in un ufficio che era l’anticamera del macello, quindi
un gelo, un odore, e avevo avuto il crollo dell’idea del lavoro;
immagina che venivamo dall’idea che avremmo cambiato il mondo, c’erano
queste attese, quindi ho provato una delusione feroce. Alla fine di
quella settimana mi è arrivata notizia che nella fabbrica che avevo a
pochi chilometri da casa mia cercavano personale. Ho fatto domanda e mi
hanno chiamata. Mi sono trovata a fare l’impiegata in questa fabbrica,
ORIELLA: Quando sono entrata io,
diciamo, lo sguardo era assolutamente neutro. Il sindacato era
un’organizzazione inventata dagli uomini, e quindi tutta regolata su
modalità che funzionano per l’esperienza maschile, nella scelta delle
riunioni, dei tempi etc. Quindi non era luogo facile alla
frequentazione; devo dire però che dopo poco che avevo iniziato a
frequentarlo, a partire dal ’74, si è andato aprendo. Intanto perché le
donne si ponevano con una maggior determinazione e contestualmente anche
il sindacato ha cominciato a guardare alle donne con un’apertura diversa
rispetto al passato. Certo però che la frequentazione è sempre stata
ostica, perché modalità e tempi erano organizzati sull’esperienza
maschile, quindi ti dovevi adeguare.
Considera che una delle invenzioni a cui
io ho concorso a Brescia, e si trattava di invenzioni che stavano
nascendo anche a livello nazionale, è stato il coordinamento delle
donne, luogo in cui le donne si trovavano all’interno del sindacato e si
gestivano in maniera più autonoma che non le forme in cui si muoveva
l’organizzazione nel suo insieme. É stato un grande passaggio perché ha
permesso di mettersi in un luogo dove sperimentare con un agio maggiore
e, contemporaneamente, sottrarsi a contesti pensati sull’esperienza
maschile ha anche permesso che le donne fossero viste.
Anche se quella scelta aveva in sé anche
dei rischi, perché mettersi in un luogo separato poteva significare
qualcosa di utile per l’organizzazione: le donne sono lì e stanno dove
stanno.
In che occasione vi siete conosciuti e
piaciuti?
ORIELLA: Il sindacato è spesso
luogo d’incontro d’innamoramento. Marco infatti l’ho incontrato al
sindacato. In realtà, venivamo da storie molto diverse: lui viene dal
partito, quindi ha avuto una formazione diversa dalla mia, che invece
venivo dal movimento del sindacato.
A livello sindacale, lui ha una storia
pesante alle spalle: è sempre stato nella segreteria o in consiglio
comunale; io sono uscita nell’86 quando si prefigurava la
ristrutturazione delle fabbriche tessili: ho seguito le chiusure delle
fabbriche degli anni ’90, ho lavorato come metalmeccanica e poi nel
campo del commercio.
Questo aveva riflessi sulle nostre
posizioni politiche, e durante le assemblee ci trovavamo sempre in
conflitto, quindi inizialmente non ci piacevamo gran che.
Ci siamo accorti l’uno dall’altro
durante l’occasione in cui le posizioni politiche mie e di alcune
compagne erano state messe pesantemente in discussione; era stato un
attacco ferocissimo, tanto che alcune sono state trasferite dal tessile
all’alimentare, io compresa.
Considera che era il ’90, e in quel
periodo molte compagne volevano far vivere i punti di vista del
femminile. Il nostro gruppo di Brescia era molto autorevole, da lì il
tentativo da parte di una buona parte di sindacalisti di far coincidere
la nostra posizione col fatto che ambivamo al potere, quando in realtà
il nostro intento non era altro che quello di far valere i nostri
diritti e le nostre istanze.
Marco ha assunto la nostra difesa, non
perché condividesse la nostra posizione, ma perché pensava che la nostra
posizione dovesse essere rispettata e presa in considerazione.
In quel momento l’ho guardato con occhi
diversi, non più come l’avversario politico, ma qualcuno che faceva
vivere la libertà d’espressione al di là delle differenze. Lì forse ho
capito che in realtà non avevamo concezioni troppo diverse di come
volevamo che fosse il sindacato.
MARCO: L’ho conosciuta quando Pizzinato
era segretario, mi aveva colpito il suo viso.
Nella battaglia
interna alla cgil dei primi
anni ’90 eravamo su sponde opposte. Mi ha colpito la sua sofferenza in
un’aspra discussione sull’esperienza politica delle donne nel suo
sindacato di categoria, che si voleva chiudere per via amministrativa.
Sarà per il culto del diritto delle minoranze, al quale ho sempre
creduto come naturale «bastian contrario», ma mi impressionò il dolore
che traspariva nella sua difficile autodifesa dentro questa lotta
politica molto dura.
L’incapacità di tutela delle sue
posizioni da parte delle compagne che avrebbero dovuto sostenerle, forse
a causa della natura «di sinistra» del contendere, mi ricordò pagine di
storia ben più drammatiche, ma simili, dell’autoritarismo di sinistra.
Ho cominciato così
a volerle bene, ma non ho mutato per questo le mie collocazioni, sempre
opposte alle sue.
Per capire
Nello stesso tempo,
MARCO: Io allora ero al partito; eravamo
in piazza tutti i giorni con le manifestazioni operaie. Il dato secondo
me preminente per la collocazione che avevo è che sono stati gli anni
del terrorismo e delle brigate rosse e questo comporta grandissimi
problemi per l’organizzazione sindacale, che nel’77 viene attaccata
direttamente dal movimento di autonomia: Lama viene cacciato
dall’università di Roma, ma da una manifestazione che chiedeva che le
armi restassero fuori dalle università. Quindi l’attacco alla funzione
nazionale del sindacato era evidentemente in autonomia. Vero o non vero
il teorema Calogero, sta di fatto che l’attacco delle
br era tutto contro quelli che puntano alle riforme, che sono
un elemento di congiunzione e non di rottura. Non vengono assassinati
quelli della destra democristiana, ma i riformisti democristiani, oppure
Guido Rossi. Noi in quel periodo eravamo in piazza non dico un giorno sì
e uno no, ma ogni quindici
giorni dall’assassinio di Aldo Moro. L’album di famiglia, che questo
fosse terrorismo rosso io non ho mai avuto problemi ad ammetterlo; resta
ancora un mistero l’intreccio tra servizi segreti, gladio, Moretti etc,
sono pagine non scritte. Quell’intreccio costringeva chi spingeva la
battaglia democratica ad un lavoro di dibattito. Il problema vero era
combattere questa battaglia anche con
La marcia dei quarantamila non era
assolutamente inattesa, ma era un attacco preciso all’organizzazione
sindacale, ai consigli, sfruttando contraddizione interne. Come Romiti
ha ricordato, i tre sindacati di Melfi fanno ridere di fronte alle
questioni della connivenza di alcuni reparti o delegati sindacali con
organizzazioni come quella di Prima Linea. Le contraddizioni c’erano,
solo che la risposta che
Sembra addirittura approfittare
dell’emergenza democratica del terrorismo per dare un colpo micidiale
alle condizioni dei lavoratori. Il tutto dentro un processo di
riorganizzazione del sistema industriale che s’impone. Il problema vero
è che è stato fatto contro il potere dell’organizzazione sindacale. Se
faccio il paragone con la crisi di oggi, tutti i mesi nella provincia di
Brescia sono stati fatti una trentina di contratti di solidarietà, che
vuol dire meno lavoro, meno salario, ma garanzia del posto di lavoro. Lì
ci fu lo sterminio dei posti di lavoro, licenziamenti, una sconfitta non
inattesa.
Tutto il processo di ristrutturazione
del sistema industriale avviene con questo timbro di sconfitta del
movimento sindacale. Sono convinto che nella storia sindacale italiana
ancor oggi
I padroni usano sempre il simbolico in
maniera mortificante, mentre noi, il movimento sindacale e la sinistra
politica, tendiamo quasi ad isolare le punte più esposte dello scontro,
addebitandogli posizioni estremistiche. Cosa che, se nessuno dà una
risposta, quella risposta la danno gli altri.
Perennemente ci si pone come questione,
nella battaglia politica e sindacale, se si vuole tutelare e
rappresentare il lavoro dipendente.
Loro usano il simbolico: quarantamila
impiegati, loro li hanno buttati fuori e questi hanno sfilato. Da lì, si
è scritto, è cominciata un’altra storia. Perché? Perché si è voluta
cominciare un’altra storia, non è che quei quarantamila lì in sé.
Diciamo che la marcia dei quarantamila
è stato l’epilogo di una situazione politica che stava già prendendo una
determinata piega da anni. Ovviamente quest’evento va considerato anche
all’interno del cambiamento economico in atto: il progressivo
decentramento delle fabbriche…
MARCO: É a quel tempo che si forma il
Craxi-Andreotti-Forlani; come al solito i fenomeni sono tra loro
collegati. Però la sconfitta della politica e della solidarietà
nazionale di Berlinguer, che aveva l’idea di una trasformazione
democratica, trova una risposta che aveva pretese presidenzialiste e
autoritarie, perché Craxi aveva questa impronta. Non per niente, di lui
diffidava grande parte del mondo del lavoro dipendente. Si esce
dall’empasse, quindi, con un’impostazione di questo genere.
Collegandosi a
questo tema, vi domando: oggi è ancora possibile che l’ideologia faccia
da collante politico e sociale, all’interno di un sindacato come
MARCO: Allora, per me l’ideologia è la
definizione di Marx, quella della falsa coscienza. L’ideologia viene
usata, è un sistema di idee. L’ideologia oggi la fa alla grande: in un
periodo di crisi produttiva con fabbriche che stanno ferme otto mesi
all’anno come l’iveco, il
direttore generale della Fiat dice che il problema che abbiamo è quello
della produttività. Quindi proprio una roba ideologica! A Marchionne
risponde Cremaschi e dice che ci vuole conflitto. I lavoratori non ti
chiedono conflitto, ma di essere rappresentati, tutelati e che li si
aiuti a risolvere i loro problemi.
La lotta sindacale è per affermare le
proprie piattaforme ed esigenze.
Nello stesso tempo
è innegabile che
MARCO: Funzionava come
ti dicevo fino a Trentin. Trentin scioglie le componenti di partito e
rilancia alla grande l’idea della
cgil come soggetto politico autonomo, con un suo progetto. É lì
che scrive il programma fondamentale: idee di riferimento che devono
valere per tutti quelli che accettano di star lì dentro. É lì
l’autonomia è un sistema di idee che non è falso, come l’ideologia.
Un’organizzazione come la nostra deve
avere delle idee di riferimento che sono quelle di una volta, che però
vanno declinate nel luogo e non vanno perse una rispetto all’altra.
L’uguaglianza ha un percorso carsico: per dieci anni viene attaccata
perché ha un’accezione uguale ad egualitarismo, poi viene rivalutata
perché ci si rende conto che siamo in una situazione di biforcazione dei
redditi, quindi di disuguaglianza. Avere un sistema di idee e avere
un’attività che mette continuamente in collegamento la vita reale e i
problemi reali dei lavoratori e delle lavoratrici con le battaglie che
fai.
Perché se l’organizzazione sindacale
prende la sua linea e le sue scelte dalla situazione del rapporto tra i
partiti, per esempio, è uno schema che può funzionare, ma non ti porta
molto lontano.
Una posizione autonoma
e trasversale rispetto ai partiti nel dibattito politico, può voler dire
per
MARCO: Non è mica vero
che si tratta di un fenomeno nuovo. Negli anni ’50, quanti in
cgil votavano
dc! Nella
dc c’era un anti-comunismo
micidiale.
ORIELLA: L’intolleranza
e la riduzione dell’altro sono idee che ci sono sempre state. Oggi il
nuovo fenomeno è
MARCO: Sul rapporto Lega-lavoratori,
siccome a Brescia l’abbiamo analizzato fin dall’inizio, da un convegno
dell’’86 sullo statuto della Lega, la mia convinzione è che ha una
natura nazista. Perché loro ai lavoratori danno ragione; cioè, mentre i
riformisti dicono ai lavoratori che c’è del nuovo, e loro devono fare le
pieghe etc, su questo i leghisti non si pronunciano e danno loro
ragione: «Siete trattati male, la colpa è dei negri e di Roma
ladrona».
Se la sinistra politica, mica quella
minoritaria, quella grande, desse ragione ai lavoratori, poi potrebbe
fare tutte le mediazioni. Per esempio in Germania hanno un rapporto più
organico con il sindacato, non è che non fanno le pieghe neanche lì (a
parte che è una condizione economica, sociale e statale completamente
diversa). Nessuno guarda questo fatto molto semplice: loro danno ragione
ai lavoratori.
Il fenomeno della lega,
infatti dicevo, va tenuto presente perché
MARCO: Loro sono un nemico diretto per
i lavoratori.
ORIELLA: Le loro risposte sono talmente
becere che, per chi ha un disegno sociale non è possibile neppure un
lavoro di contrasto. Eppure è pericolosissimo.
MARCO: Bisogna tener
presente che
Mi dicevano che Capra,
assessore ai servizi sociali, sulla questione dei Sinti, ha scavalcato a
destra
La cosa vera è che non
c’è nessun soggetto politico che dica: «Il mestiere che voglio fare è
rappresentare il lavoratore dipendente, precario». La sinistra
rappresenta sempre gli interessi generali
ORIELLA: La cosa importante, ma sempre
più difficile da portare avanti oggi, è quella di incontrare, ascoltare
quali sono le istanze, i problemi e i vissuti di chi oggi fa fatica a
trovare il lavoro, e se lo trova si sente banalizzato.
MARCO: C’è il collegamento con la
storia dell’interclassismo: vale il territorio, non vale il rapporto
datore di lavoro/dipendente, perché l’interesse del lavoratore
dipendente e del datore di lavoro è in parte secondario rispetto al
riscontro territoriale, e questo è un altro elemento che rimanda alla
vecchia dc.
Queste cose le so: da
piccolo mi hanno tirato su a
pane e De Gasperi!
C’è un’ignoranza della condizione dei
lavoratori, soprattutto di quelli più poveri, che certamente crea un
ambiente favorevole al meccanismo reazionario.
ORIELLA: Mancano dati di realtà; è
difficile che le situazioni di povertà più grosse vengano messe in
parole. Quindi non hai questo lavoro che mette al mondo il mondo, cioè
la realtà va messa al mondo, occorrerebbe un’attenzione sulla condizione
operaia e sulla realtà del lavoro dipendente che oggi manca. É una
realtà diffusissima, quella di gente che vive con mille euro, eppure
questa realtà non viene svelata.
Al di là di tutto, il lavoro sindacale
è essenzialmente uno che ha voglia di mettersi lì ed ascoltare quelli
che lavorano, che ti dicono i loro problemi e vedi come costruire le
risposte.
Questa vicenda attuale,
ad esempio, della fiat con
Partiamo da lì: poi
tutte le altre argomentazioni, tutti gli altri contenuti dell’accordo
che hanno firmato le altre organizzazioni sindacali, tra l’altro imposto
dalla fiat e che loro hanno
subito.
Detto questo, chi è che viene
attaccato? Mica
MARCO: La fabbrica che sta costruendo
Marchionne è di una rigidità folle; quindi lui se la prende col diritto
di sciopero e con la malattia, ma, in realtà lui sta imponendo la pausa
a fine turno.
Il peggioramento della condizione
materiale viene assolutamente sottovalutato. Non si riesce a far valere
la condizione reale delle persone.
Il problema
infatti, riprendendo la questione della Lega, sta proprio qui: nel
momento in cui
MARCO: Il problema sono
i dirigenti, che aprono a delle istanze che
ORIELLA: Da che c’è il
sindacato, da che mondo è mondo c’è sempre una contraddizione tra chi
vive una condizione schiacciato dalla materialità e chi gli prospetta
una via d’uscita; perché prevalgono anche gli egoismi, le situazioni
personali. Il problema è se tu sei capace di far veder loro un movimento
possibile che apra a delle risposte, che riscatti davvero una
condizione. Oggi hai un problema in più, perché
MARCO: Bisogna non
dimenticarsi che
A Brescia abbiamo il
70% che vota a destra; faccio notare che i voti, in una condizione
operaia praticamente identica viste le difficoltà, sono diversissimi in
Italia. Ha a che fare con quella che una
volta veniva chiamata la formazione economica e sociale: il
piccolo paese, la piccola proprietà, la piccola parrocchia, la piccola
industria etc . Poi c’è il fatto che i partiti costruttori di un sistema
di idee sono ormai anche a sinistra i comitati elettorali. C’è un altro
fatto che spiega questo localismo: i sindaci fanno quello che vogliono.
Il sindaco di Adro fa quello
che vuole grazie alla legge Bassanini; il consiglio comunale non conta
più niente, gli assessori li nomina lui, il comitato regionale di
controllo non c’è più; l’unico posto dove lo puoi portare a smentire le
delibere che fa è il tribunale e noi della Camera del lavoro di Brescia
ne abbiamo portati tanti e hanno perso tutte le cause, ma poi loro ne
fanno delle altre. Bisogna andare dal prefetto, ma il prefetto è un
funzionario del ministero degli interni! Allora non solo a livello
nazionale, ma c’è in crisi anche il funzionamento delle istituzioni
democratiche locali. Il sindaco ha potere assoluto e un sindaco può
essere eletto con il 24% di quelli che vanno a votare, perché se ci sono
4 o 5 liste nei comuni piccoli, uno con il 24% diventa sindaco. Di
quelli che vanno a votare, quindi magari prende il 15% del reale, e
comanda per i suoi anni e fa quello che vuole.
Che giro vuoi che ci sia se a Manerbio
l’altro giorno in una fabbrica in crisi hanno chiesto di poter fare
l’assemblea dei lavoratori e, dato che in azienda non era possibile
farla, gli hanno chiesto 500 euro? Questa è la realtà quotidiana.
Se usano il termine telecrazia è
proprio perché l’unico sistema che forma le idee ormai è la televisione.
Questo denuncia una difficoltà nostra, ma ci sono dei meccanismi nuovi.
La sinistra è cresciuta quando c’era la speranza di cambiare le cose.
ORIELLA: Il problema reale oggi è che
manca un punto unificante per
Al posto del senso del collettivo si sta
verificando un’affermazione della soggettività che spesso scivola
nell’individualismo; se da una parte quest’individualismo talvolta può
essere visto dal lavoratore come una forma di libertà, in realtà
allontana sempre di più dall’idea di solidarietà e collaborazione.
Per farti capire con quanta velocità
sono cambiate le cose, ti racconto questo episodio: quando sono entrata
nuovamente nel sindacato, era forse il ‘97 , ero in una fabbrica dove si
voleva inserire un handicappata. Considera che per legge il collocamento
da parte dell’azienda è obbligatorio, ma il padrone ne inventava di
tutte. Tra l’altro c’è una legge che garantisce sconti retributivi ai
datori di lavoro che assumono una persona con delle disabilità.
In realtà lo sciopero era stato
organizzato non tanto per il collocamento, che veniva dato per scontato,
ma perché il padrone trovasse una mansione idonea al suo handicap. Lo
sciopero aveva avuto successo, e la ragazza era stata inserita nella
fabbrica senza problemi.
Sono tornata in quella fabbrica due anni
fa e ho trovato gli stessi operai, che avevano combattuto perché
quest’operaia fosse inserita, incazzati neri con lei e coalizzati perché
venisse espulsa. Si lamentavano del rallentamento dei ritmi e
dell’incapacità a svolgere il lavoro, e quando io tentavo di farli
ragionare sul fatto che, solo dieci anni prima avessero lottato per il
suo inserimento, sembrava che questi non capissero la contraddizione di
cui parlavo loro. A distanza di dieci anni, gli operai erano furibondi
con l’altra operaia, invece che con il padrone che effettivamente non
aveva trovato una mansione idonea al suo handicap. E quando io domandavo
loro perché non chiedessero che venisse messa in una mansione idonea,
era chiaro che lo spirito era diverso, non c’era neanche la volontà di
ascolto. L’individualismo è prevalso sull’idea della relazione, mentre
una volta era proprio la dinamica relazionale che salvava.
Una volta, se c’era un provvedimento
contro uno si scioperava, ora, all’ opposto, la persona viene isolata
per poterne trarre vantaggi personali.
Eppure non è tutta ottusità; il problema
sta nel venir meno del collettivo, che porta a situazioni di solitudine.
La speranza orienta i comportamenti, ma se questa manca, è chiaro che le
prospettive cambiano, e oggi il clima è disorientante.
Il leghismo si è insinuato proprio dove
viene meno il politico.
Io e Delfina Lusiardi ci siamo occupate
delle interviste alle operaie del tessile di Manerbio che hanno vissuto
il declino degli anni ’90, e tentato di rispondere con scioperi molto
importanti; interviste che sono state raccolte nel libro «Tessendo
abiti e strategie. Esperienze e sentimenti di operaie bresciane» che
vuole offrire uno spaccato proprio sulla situazione del tessile nel
bresciano.
Partendo dal
racconto di Oriella, mi piacerebbe soffermarmi sul cambiamento nel modo
di vivere l’ambiente di lavoro. Come
MARCO: In realtà anche la marcia in
difesa dell’articolo 18 è riuscita a difendere solo formalmente lo
Statuto dei lavoratori; negli effetti è stato messo in atto un processo
di svuotamento dei diritti dei lavoratori più sotterraneo, anche se non
troppo, che ha aggirato, tramite la riaffermazione formale dell’articolo
18, il problema reale.
Se pensi al caso attuale di Pomigliano,
e alla proposte di Marchionne sul nuovo modello di fabbrica, si capisce
che pochi riscontri possa aver avuto quel momento. Si tratta ancora una
volta del simbolico, che nasconde la realtà dei fatti.
OTTOBRE 2010