Senescenza (del) Capitale
L'EURO IN CRISI
Relazione sul governo dell’economia, tenuta per
Luigi Bergantino
Mi sembra importante pensare a questi incontri – che vanno
avanti da ormai 8 mesi – come il tentativo che ognuno di noi fa per
contribuire ad uno sforzo collettivo. Nessun uomo potrebbe da solo
bilanciare le brutture e le sofferenze di questo momento, solo un
collettivo, consapevole della sua funzione, può resistere e preparare il
terreno per qualcosa di nuovo ed è per questo che considero questa mia
piccola ricerca come un modesto contributo al tentativo di chiarimento
di una realtà che, anche nei momenti più tragici, si presenta in modo
surreale.
Così surreale che forse solo Ionesco potrebbe aiutare a
riguardarla in tutta la sua falsa genericità e assurdità.
E allora vi presento due personaggi: uno di nome
Avere_apparire e l’altro Apparire_avere.
Avere_apparire è ben vestito, giacca, cravatta, molto
compassato e lentamente compare ed esordisce dicendo:
- C’è la crisi dell’euro.
Apparire_avere, che gli sta dinanzi, più
casual e distratto, esclama:
- Ma no! Mica è grave?
E Avere_apparire ribatte:
- Sì, invece, assolutamente.
E l’altro:
- Oddio. Allora, si salvi chi può!
E il primo:
- Bhe. No. Salviamoci insieme.
E l’altro, frastornato:
- Ah, sì!, ma come?!
- Bhe, – dice Avere_apparire – bisogna tagliare…
e poi, quasi in contemplazione, dice:
-
Questo è il succo dell’informazione prevalente che
somministrano ad un continente che in preda al panico assiste alla
caduta libera della propria economia, come l’atto finale della
disgregazione dell’Europa.
Cerchiamo di partire proprio dalla Germania che ha, si dice,
i conti in ordine. Così in ordine che ha addirittura messo nella
Costituzione il vincolo di azzerare il deficit pubblico entro il 2016
(il cui tetto massimo in termini strutturali non dovrà eccedere lo 0,35
per cento del Pil)[1].
Quindi adesso che è fallita
L’Italia segue la linea europea con una manovra finanziaria
da 25 miliardi di euro di tagli in un paio d’anni. Tenendo presente che
cancellando l'impegno per la tratta Tav «Torino-Lione» e del ponte di
Messina si arriverebbe a circa tre quarti dell'intera operazione, c’è da
dire che il 40% della manovra è composta da nuove entrate che si spera
siano il frutto della lotta all’evasione fiscale che il Governo ha
intenzione – dopo lo scudo fiscale e dopo i vari condoni – di attuare.
Secondo un dossier del sito «www.lavoce.info» la manovra finanziaria
«serve più che altro a dare un
segnale ai mercati. Non è detto che sia credibile perché rinvia ai
posteri gli aggiustamenti strutturali di spesa ed entrate […] e chi paga
davvero sono, una volta di più, i giovani colpiti dal taglio dei
contratti a tempo determinato e dal blocco delle assunzioni e delle
carriere nel pubblico impiego (che penalizza soprattutto chi è entrato
con salari molti bassi contando sugli scatti di anzianità)»[3]
Senza avere la prima economia del mondo, l’Italia ha un
debito pubblico che supera, e di molto, il proprio prodotto interno
lordo: verso i mille e ottocento miliardi di euro, pari al 120% del Pil,
al momento il secondo o il terzo debito pubblico più alto al mondo!
Questo implica che ogni anno dalle entrate – già molto decurtate
dall’evasione fiscale (100 miliardi circa) – bisogna prende un’ottantina
di miliardi di euro e darli, come interesse maturato, a coloro che hanno
comprato i nostri titoli di Stato (detenuto al 50% da investitori
istituzionali) la cui vendita da sola ormai, che soli ormai, a causa di
quell’alto livello di evasione fiscale (dentro cui c’è l’economia
criminale, il lavoro nero e il costo della corruzione), ci permette di
mandare avanti lo Stato: pensioni, sanità, scuola, università, ricerca,
opere pubbliche, beni culturali, tutela dell’ambiente, servizi,
informazione, partiti, Parlamento, Governo, Magistratura,
amministrazione, sicurezza, spese militari, ecc.
Per poter essere ammessi nella «zona euro» l’Italia ha
condotto una politica di tagli in funzione del rientro del debito
pubblico in limiti accettabili dal trattato di Maastricht (1992). Questa
politica di risanamento dei conti pubblici, che è stata sicuramente
salvifica per il nostro sgangherato Paese che fuori dall’euro si sarebbe
frantumato sotto il peso della corruzione e della
«moral suasion»
internazionale, non ha comunque niente a che vedere con l’unica vera
operazione di riordino dei conti pubblici che l’Italia ricordi:
1861-1875. Allora il neonato Paese, uscito dalla guerra di liberazione e
unificazione, procedette contemporaneamente al riordino
dell’amministrazione, alla costruzione del sistema di istruzione e dei
trasporti pubblico, alla riforma/costruzione del sistema tributario,
riuscendo in circa dieci anni a portare i conti pubblici al pareggio
(entrate e uscite si bilanciavano) per poter sostenere le spese per la
costruzione delle urgenti infrastrutture moderne. Di fronte a tutto
questo lo storico Golo Mann poté dire che il Risorgimento italiano fu il
colpo più duro assestato al feudalesimo europeo, superiore anche –
pensate un po’ – alla Rivoluzione francese. Altri tempi[4],
che però è bene tener presente in situazioni di crisi totale come quella
attuale.
L’Italia riesce, quindi, ad entrare nell’euro disperdendo,
però, un immenso patrimonio di proprietà mobili e immobili pubblico di
inestimabile valore: l’Imi (Istituto mobiliare italiano) e l’Iri
(Istituto per la rinascita industriale).
Una volta diventato europeo il debito pubblico ha
ricominciato a salire a ritmi forsennati sulla groppa di spese
emergenziali e falsi lavori pubblici. Si è attraversata molto
rapidamente la parentesi di Tangentopoli e si è proceduto alla
manomissione del sistema fiscale, abolendo, per esempio, la tassa sulle
successioni – caposaldo, per Luigi Einaudi, dei sistemi fiscali moderni
–, e sconvolgendo la legislazione sui lavori pubblici (Legge Obiettivo,
2001), con la riesumazione di una legge fascista del 1929 che concedeva
i lavori pubblici a trattativa privata (cioè, senza gara di evidenza
pubblica) a cui si aggiunse la concessione di anticipazioni di soldi
pubblici sui lavori anche quando non ancora progettati.
Parallelamente, tutta la struttura amministrativa ereditata
dal Risorgimento e rinforzata dalla Costituzione veniva progressivamente
smantellata con la cancellazione dei controlli interni alla pubblica
amministrazione e con la creazione di strumenti amministrativi per
andare in deroga alla pianificazione territoriale (leggi Bassanini dal
1993 al 2001), poi con la creazione della Protezione civile e delle
relative Ordinanze di protezione civile del Presidente del Consiglio dei
ministri (1992) e, infine, con la riforma del Titolo V della
Costituzione e più in generale la riforma «federale» dello Stato
(2001-2010).
È a valle di tutto questo che oggi assistiamo ad un attacco
senza precedenti all’informazione – definita «troppo libera» – e alla
magistratura già intasata per effetto della cancellazione dei controlli
interni alla pubblica amministrazione (cosiddetti controlli a monte) e
che, malgrado questo, è stata progressivamente sotto-finanziata e
lasciata aggrappata all’ultimo strumento delle intercettazioni
telefoniche e ambientali per poter continuare a perseguire i reati di
una certa rilevanza. Tutto questo non poteva che avvenire in un Paese
dove la scuole fosse già stata distrutta, la ricerca dispersa e
impermeabile alla realtà, l’alta cultura messa all’angolo e l’università
morta già da molto tempo.
Ma questa non è una caratteristica solo italiana, come
abbiamo avuto modo di apprendere dal recente dossier di Le Monde
Diplomatique del Febbraio 2010 (versione italiana) dedicato alla
trasformazione degli Stati europei in
Stati manager. Teniamo
presente che negli ultimi dieci anni di crescita europea il tasso di
povertà è rimasto invariato e poi ha iniziato a crescere[5].
Ma oggi un rinoceronte attraversa l’Europa: tagliare per
uscire dalla crisi! Ma se si presta attenzione anche alle voci
competenti fuori dal coro si scopre che questi tagli non serviranno, non
dico a niente, ma non di certo ad uscire dalla crisi dell’euro che sta
velocemente perdendo di valore rispetto al dollaro. Cosa dice per
esempio Michael Spence[6],
economista americano e premio Nobel «noto per le sue posizioni
equidistanti fra Europa e Usa», innanzitutto che la
«tempesta finanziaria è
inevitabile», sia in Europa che in America[7],
perché «i brutali programmi di
finanza pubblica che tutti i Paesi europei, non solo quelli della sponda
Sud, stanno adottando in fretta, taglia le gambe a qualsiasi prospettiva
di ripresa dei consumi e delle imprese». Il primo punto critico, va
avanti Spence, è «l’entità dei
successi nella ristrutturazione dei debiti pubblici», cioè avverte
che i tagli si risolveranno o in ingenti sprechi di denaro pubblico
oppure rimarranno solo «misure-tampone di breve vita e totalmente insignificanti sul lungo
termine», vantaggiosi «solo
per alcune banche». Il secondo punto è che
«non è stata ancora intrapresa
nessuna misura convincente per rafforzare la struttura comunitaria e
quella dell’euro. Finché non si risolverà la stridente dicotomia tra
centralità della politica monetaria e decentramento delle politiche
fiscali, l’architettura europea resterà debole»[8].
Il terzo punto è che nella recente riforma finanziaria degli Usa
«si elude il problema numero uno:
i conflitti di interesse che hanno provocato la crisi, fra le banche
d’investimento che da un lato creano i titoli e dall’altro consigliano
ai risparmiatori di comprarli, e le agenzie di rating che vengono pagate proprio da chi devono giudicare».
Ecco il vero problema!
Ma allora i conti non tornano. Perché si è proceduti
compatti, sindacati compresi, verso la decisione di tagliare la spesa
pubblica se l’unica cosa che è cambiata è stata un parare negativo di
quelle stesse agenzia di rating
che hanno contribuito a creare la crisi, sul debito pubblico di Grecia,
Portogallo e Spagna?
Secondo Jacques Attali, economista, scrittore e banchiere
francese di origine algerina e consigliere speciale del presidente
Mitterrand, «il debito europeo è
più piccolo di quello americano, giapponese e inglese, ma noi non
disponiamo di una capacità di politica budgetaria comune. Coloro che
concedono i prestiti – questo il vero nome di quello che tutti chiamano
mercati – hanno più dubbi sulla possibilità che l’Europa ripaghi i
prestiti che per gli USA e per il Giappone. (I 600 miliardi non sono
realmente disponibili: chi crede che
Ma non bastano le agenzie di
rating a creare scompiglio, ci si mette anche il «Financial Times»
di Londra il 26 maggio 2010 scrive:
«Il debito europeo spaventa
l’Asia». Il quotidiano economico spiega che
«Giappone e Cina non sono soltanto
diffidenti nei confronti del debito di Portogallo, Italia, Irlanda e
Grecia, ma – secondo un'indagine della banca inglese Barclays
Capital – sembrano abbastanza
sospettosi anche verso i bond tedeschi». Ad allarmare più di ogni
altra cosa è «l’inquietante
residuo lasciato nei meccanismi dell’eurozona dai
cdo (obbligazioni di debito
collateralizzato), spinti dalle banche ai tempi del boom del credito».
Per aiutare a capire l’importanza di questi annunci del «Financial
Times» va detto che dal crollo dei
cds (credit default swaps), le assicurazioni che le banche
avevano per non fallire, sono rappresentate dalla dissimulazione, la
rassicurazione e il silenzio per riuscire ad arrestare la valanga, in
attesa che le regole vengano cambiate e che gli Stati paghino il
necessario per evitare il fallimento.
Ricercando informazioni su queste obbligazioni tanto negative
per la stabilità dell’euro trovo che sono
«la categoria più labile di questi derivati sul credito»[10].
I derivati cdo, come anche
i csa «capital structure
arbitrage», sono le ultime innovazioni sul mercato dei derivati e altro
non sono che scommesse sul debito delle imprese, o derivati su quel
debito.
Ma cerchiamo di capire cosa sono quello che oggi sembrano
costituire il maggiore problema dell’euro. I
cdo sono stati il mezzo con
cui le banche, i fondi comuni e i fondi speculativi hanno trasferito il
rischio ai sottoscrittori (la massa dei risparmiatori e dei piccoli
azionisti). Spiega Luciano Gallino che ciò avviene
«Per mezzo di strumenti
finanziari complessi che essi costruiscono e si scambiano tra loro,
spesso con la mediazione di società-veicolo appositamente create, ma che
alla fine sono venduti quali titoli o quote di un fondo a singoli
risparmiatori. Tra questi strumenti si collocano in primo piano le
obbligazioni «sintetiche», aventi come sottostante uno o più contratti
anti-insolvenza i […] Credit Default Swaps. Ragion per cui essi prendono
il nome di synthetic Collateralized Debt Obligations, o synthetic
cdo. Sono titoli inventati
solo nel 1987»[11].
Gallino – che mi risparmio di presentare, (chi non lo
conoscesse, oltre ai suoi libri, può cercare i suoi articoli pubblicati
solitamente su
Il continuo scambio di questi titoli derivati ha fatto sì che
tutto il sistema finanziario mondiale si collegasse reciprocamente
giungendo fino a controllare la stessa economia reale.
I soggetti principali di questa attività finanziaria
globalizzata sono gli Investitoti istituzionali – società di
intermediazione finanziaria che raccolgono i soldi dei risparmiatori del
mondo da un lato per farli fruttare a beneficio dei sottoscrittori dei
loro fondi, dall’altro per investirli prevalentemente nelle imprese
quotate in Borsa[13]
– che hanno come obiettivo comune quello di
«aumentare quanto più possibile il
volume dei capitali loro affidati e i ricavi lordi attraendo
incessantemente nuovi sottoscrittori»[14].
Da qui, spiega Gallino, arriva
«L’onda di
privatizzazioni di aziende pubbliche che ha avuto luogo in Europa tra il
1990 e il 1997, seguita nel primo decennio del 2000 dalla spinta alla
privatizzazione dei servizi collettivi locali – l’acqua come i
trasporti, l’energia come lo smaltimento dei rifiuti – per arrivare a
investire anche il sistema sanitario e la scuola pubblica»[15].
Il potere di questi investitori istituzionali sulla società
si comprende meglio tenendo presente che questo
«attacco è stato portato congiuntamente da politici, accademici, società
di consulenza, media, centri studi, giornalisti»[16].
Usiamo di nuovo le parole di Gallino per orientarci in queste
enormi cifre e tra i vari istituti che le gestiscono:
«I derivati in
circolazione, tradizionali come i
futures[17] o complessi come i contratti che assicurano un soggetto contro il
rischio di insolvenza di una controparte, ovvero contro la mancata
riscossione d’un credito alla data di scadenza (credit
default swaps, cds),
a metà 2008 ammontavano a 765 trilioni di dollari, pari 14 volte il
pil del mondo, stando al
loro valore nominale. Di questi, solamente 80 trilioni erano scambiati
tramite le borse, mentre i restanti 680 e oltre erano scambiati
esclusivamente «al banco» (otc,
ossia over the counter) senza intermediazione tra i contraenti. Il solo
mercato dei cds si calcola
ammontasse a 62 trilioni di dollari. Tuttavia, essendo soggetti a una
regolazione affatto blanda in quanto considerati contratti tra privati,
non è possibile stabilirne né l’esatto ammontare, né quanti di essi
siano effettivamente gestiti da investitori istituzionali. Formano un
mercato ombra. Per la loro entità e l’assenza di regolazione, uno dei
maggiori finanzieri del mondo, Warren Buffet, ebbe a definire già nel
2003 i derivati «gli equivalenti finanziari delle armi di distruzione di
massa». Va ricordato al riguardo che il tracollo dei derivati del
credito è stato una delle cause principali della crisi finanziaria del
2008. Però è bene precisare che il valore lordo di mercato di un
derivato è di solito assai inferiore al suo valore nozionale o nominale.
Il primo si riferisce alle somme che si possono guadagnare o perdere in
funzione dell’andamento dell’entità sottostante; il secondo rappresenta
la quantità di questa che al termine del contratto dovrebbe venire
scambiata.
Un crescente spazio negli ultimi anni è stato occupato, oltre
che dai private equity founds (fondi che acquistano imprese
private non quotate allo scopo di ristrutturarle e rivenderle poi in
borsa di regola dopo averle suddivise in vari pezzi) e dai fondi sovrani
(costituiti a fini sia speculativi che previdenziali dai governi con
capitali che possono provenire tanto dall’eccedenza degli scambi
commerciali e monetari – come per
«Diversamente dai fondi
comuni, accolgono un numero ridotto di sottoscrittori, richiedono quote
di ingresso dell’ordine di milioni di euro e hanno una vocazione
marcatamente speculativa»[19].
Gli hedge funds
hanno un potere finanziario
«Assai più grande di
quanto non sembri poiché essi usano a più livelli il cosiddetto «effetto
leva»: ossia ottengono prestiti di molto superiori al capitale di cui
inizialmente dispongono, per mezzo dei quali acquistano titoli sul tipo,
supponiamo, delle obbligazioni aventi per collaterale un debito (dopo i
disastri del 2008, le ormai note
cdo) il cui valore a loro volta si basa su un effetto leva che
può arrivare a 8-10:1. Di conseguenza i fondi speculativi muovono
capitali, in tempi ordinari, che risultano parecchie volte superiori a
quelli che hanno realmente in portafoglio. In altre parole il trilione
di dollari dei primi 50 fondi speculativi del mondo […] era
presumibilmente in grado di muovere almeno altri 20-25 trilioni e forse
più. L’effetto leva permette operazioni finanziarie altamente
redditizie; tuttavia può finire in un disastro allorché la punta di
questa sorta di piramide rovesciata non si dimostra più capace di
reggere il peso della massa sovrastante. Se la punta su cui gravano
decine di miliardi di debito è formata da solo 1 miliardo di dollari di
attivi, basta che qualcuno chieda indietro anche solo mezzo miliardo, o
si scopra che le cdo
soprastanti non valgono più nulla, per far crollare la piramide nella
polvere»[20].
Detto questo torniamo all’Europa.
Le banche europee hanno potuto acquistare
abs (prodotti «salsiccia»)
e cdo (le obbligazioni
cartolarizzate con dentro mutui subprime,) portandoli fuori bilancio
tramite società veicolo (siv
o Conduit) con il beneplacito delle norme
ias che però impongono il
«presumibile valore di realizzo» che, con lo scoppio della bolla
immobiliare 2007-2008, è arrivato quasi vicino a zero[21].
I rischi per l'Europa sono notevoli, giacché il 50% dei
cdo sono denominati in euro
(mentre il 44% è denominato in dollari e il resto in altre monete).
rbs e Deutsche Bank sono le
banche messe peggio in Europa.
Già il 17 maggio 2005, in occasione dell’improvvisa ripresa
di una grave crisi che aveva investito General Motors e Ford
e che provocò un crollo dei
cdo,
Qualora i derivati poco trasparenti in Europa siano tutti
«collateralizzati» a pagare le conseguenze della crisi sono e saranno la
grande massa di risparmiatori e piccoli azionisti e sottoscrittori di
fondi. Per scongiurare questa evenienza e le conseguenti rivolte sociali
anche nei paesi «ricchi» in cui la disoccupazione cresce costantemente,
i Governi non possono che intervenire prestando denaro a basso tasso
tramite le banche centrali o, come è avvenuto di recente, acquistando
titoli di stato di paesi a rischio fallimento, tagliando la spesa
pubblica per avere liquidità sufficiente ad avviare tali operazioni. Ma
se si verificasse il fallimento di qualche istituto di credito le cose
cambierebbero molto a causa dei cds, che costituiscono le «polizze assicurative» in caso di
fallimenti di istituti di credito, che dovrebbero liquidare per somme
altissime gli investitori.
L’unico rifugio per gli investitori in questa situazione di
instabilità sistemica dovrebbero essere i titoli di Stato, ma il
paradosso assurdo è che i cds,
che misurano anche il rischio
default (fallimento) di un’azienda o di un Paese, si sono
notevolmente apprezzati per gli Stati[23],
stabilizzandosi per alcune banche. Lo scenario ridicolo che i maghi
della finanza paventano è che interventi di Stati sovrani a protezione
di banche rendano più probabile il fallimento dello Stato che aiuta
rispetto a quello della banca aiutata.
Il Ministro italiano dell’economia e della finanza, in
un’intervista sul «Corriere della sera» del 31 maggio 2010, incalzato
dal giornalista sul punto dell’assenza, nella recente manovra
straordinaria, di provvedimenti a favore della crescita, ha risposto: «Primum vivere. […] La politica
che è stata decisa e alla quale, giusta o sbagliata, nessuno ha volto o
potuto sottrarsi, è la stabilità finanziaria come condizione stessa di
esistenza dell’euro e dell’Europa. Non tanto perché lo concordiamo noi,
o perché lo consiglia
«Per quanto riguarda le
imprese (mi riferisco qui alle imprese non finanziarie), le strategie
degli investitori istituzionali le hanno forzate a pagare una parte
crescente dei loro flussi di cassa ad agenti finanziari, sottraendoli ad
investimenti produttivi; l’orizzonte temporale dei loro piani
industriali è stato drasticamente ridotto; sono stati al tempo stesso
accresciuti e distorti gli incentivi per i manager – ora questi ultimi
sono spronati a badare anzitutto non alla produzione di beni reali,
bensì al valore della società in borsa; non da ultimo, le imprese sono
state costrette ad abbandonare la «strada alta» delle relazioni
industriali, fatta di buoni salari e di un’ampia rete pubblica di
protezioni sociali, a favore di strategie di sopravvivenza che
comportano un attacco continuo allo stato sociale, alle condizioni di
lavoro di operai e impiegati e ai rapporti con i fornitori. A questa
trasformazione dell’impresa operata dagli investitori istituzionali […]
sono riconducibili in varia misura i fallimenti in atto dell’economia
mondo»[24].
Resta inevaso un punto: perché quest’attacco insistente del
mondo finanziario anglosassone nei confronti dell’euro? Per capire
questo forse bisognerebbe parlare del cosiddetto complesso
militare-industriale statunitense[25]
(Presidente Eisenhower) oltre che finanziario, dei suoi metodi bestiali[26]
e della sua vocazione imperiale che ha ostinatamente lavorato, dalla
morte di Eisenhower in poi, per impedire la formazione di una
federazione che avrebbe superato gli Stati Uniti per Prodotto interno
lordo, per potere diplomatico e, in breve tempo, per potere militare e
per ricerca scientifica. Una federazione basata su solidi modelli di
stato sociale, di intervento pubblico nell’economia, sorretti da vasti
movimenti sociali e culturali.
Temo però, visti gli inusualmente numerosi commenti a favore
della costituzione di un unico Governo europeo – in ultimo anche di
Mario Draghi –, con un’unica politica fiscale ed economica e in alcuni
casi, come abbiamo visto, un’unica politica militare, che si cerchi non
di riformare veramente il sistema finanziario, come pure Gallino
suggerisce essere l’unica via per evitare la catastrofe[27],
ma semplicemente di rendere autonomo il sistema europeo da quello
americano.
Gli Stai Uniti e
In buona sostanza l’illustre monetarista suggerisce di
sbugiardare le agenzie di rating
e di avviare un processo di unificazione fiscale, che abbiano come primo
punto la ristrutturazione controllata dei debiti pubblici dei paesi a
rischio della zona euro al fine di evitare la deflazione e far ripartire
l’economia.
La lunga elaborazione teorica che parte da Hegel e Marx passa
per Lenin, Gramsci e Keynes per
Questa piena globalizzazione finanziaria impone alla classe
dirigente europea contestualmente di sottrarsi ai diktat della finanza
costituendo un’entità politica europea e di rimettere l’economia europea
almeno su saldi basi di economia mista e contestualmente avviare una
trattativa internazionale per la riduzione controllata degli
«equivalenti finanziari delle armi di distruzione di massa» (cioè
l’enorme mercato fuori controllo dei derivati: 14 volte il
pil mondiale) che è entrato
in crisi. Quella piramide capovolta di cui abbiamo detto, sta franando,
ma non finirà nella polvere senza un deciso e coordinato intervento
pubblico internazionale. Gli investitori istituzionali mirano alla
destabilizzazione di questo grosso mammifero pubblicistico che è ancora
l’Europa, per farlo a pezzi voracemente e venderlo moltiplicandone il
valore per decine di volte con la leva finanziaria. Ma a cosa porterà
l’assecondare, anche in questo momento di crisi generale dell’economia,
i voleri dell’«economia di carta»? Pur mungendo le piccole risorse della
grande massa dei risparmiatori, dei singoli e delle famiglie (che
costituiscono l’80% del capitale gestito dagli investitori
istituzionali)[33]
hanno già fatto in modo che i prossimi pensionati degli Stati Uniti
potrebbero non avere più di che vivere dopo una vita passata a lavorare[34],
magari in una precaria situazione sanitaria dovuta a lavori usuranti e
nocivi per la salute. Ad essi si aggiungeranno i disoccupati, i senza
casa e i tradizionali poveri che aumentano. Una situazione a dir poco
esplosiva che in analoghi momenti storici ha trovato un’unica via di
uscita: la guerra. Questa – se la politica non interviene – sarà la
tragica direzione verso cui procederà l’economia, che per prima è stata
asservita dall’economia di carta, per tentare di risollevarsi.
Da qui le preoccupazioni di molti commentatori politici ed
economici per il futuro dell’Europa che, come abbiamo visto non dispone
né della moneta di riferimento né di una grande crescita economica.
Forse l’economia reale europea è già stata completamente
asservita alla finanza? I mercati
finanziari spingono l’Unione verso il fallimento per procedere, così
come hanno già fatto in sud America[35], sull’acceleratore
delle privatizzazioni. Sarebbe possibile, invece, provocare il
fallimento controllato anche di grandi banche «to big to fail»,
nazionalizzando le funzioni pubbliche che esse detengono e che sono il
vero motivo che impone agli Stati di non lasciarle fallire sotto il peso
dei loro debiti[36].
Per Gallino questo è proprio il momento di porre mano ad una
decisa riforma finanziaria, «perché
le riforme di questo tipo si riescono a fare soprattutto quando i
governi e gli operatori economici hanno paura».
In primis porre fine al gigantesco conflitto di interesse tra banche
commerciali e banche di investimento e delle agenzie di
rating che sono finanziate da
coloro che dovrebbero valutare, al fine di chiudere quell’immensa falla
che è il mercato ombra degli otc
(ossia over the counter) per il
quale passano 680 su 765 trilioni di cui è composto il mercato
finanziario mondiale.
In tutto questo mondo economico in rapido disfacimento credo
che i cittadini consapevoli debbano immaginare un punto su cui battere
che sia un segno di contraddizione
progressivo nei nuovi assetti mondiali che si preparano.
Sembra possibile che l’Europa riesca ad aumentare la propria
unità politica ed economica, ma sta accantonando tutto quello che
degrada più lentamente e con meno clamore, la sua stessa essenza:
l’ambiente, il paesaggio, i giacimenti archeologici e storico-artistici,
le biblioteche, le accademie e la cultura umanistica che gli conferisce
senso e valore universale. Per cui penso che oggi la battaglia più
importante da condurre per inserirsi al meglio in questo processo di
ristrutturazione europeo sarebbe quello di battersi per
l’istituzione, accanto al ministero dell’economia e della difesa, di un
ministero per l’ambiente e la ricerca europeo verso cui spostare gli
immensi capitali che l’Europa potrebbe recuperare dal mercato
finanziario impazzito.
Bisogna lottare con gli strumenti della scienza e della
filosofia contro i facili entusiasmi che scoperte come quelle recenti di
Craig Venter e altre ugualmente strane e pericolose si impossessino di
un’opinione pubblica disperata dalla paralisi della propria classe
dirigente[37].
GIUGNO 2010
[1]
Se
[2]
Il 7 giugno 2010 il Governo tedesco ha annunciato un piano di
risparmio di 81,6 miliardi di euro entro il 2014 che colpiscono
sopratutto Stato sociale e pubblico impiego. Mentre le Borse
cadono proprio sulla minaccia competitiva della bassa domanda
interna di Cina e Germania (Scure
in Germania ma l’euro ancora giù, «Liberazione» 8 giugno
2010).
[3]
Nel
dettaglio si spiega che: 1. Non è affatto
una manovra incentrata solo sui tagli alla spesa; al contrario
ben il 40 per cento della manovra a regime (nel 2012) è composto
da maggiori entrate. L’incremento delle entrate è dovuto in gran
parte ai nuovi provvedimenti anti-evasione, da cui il governo si
aspetta di ottenere fino a 8 miliardi di euro, in aggiunta a
quanto già stimato nella Relazione previsionale e programmatica.
2. Per più del 70 %, i tagli sono rappresentati da riduzioni
lineari nelle spese dei ministeri (10%) e tagli alle Regioni e
altri enti territoriali per 8,5 miliardi di euro (oltre il 60
%). Per le Regioni si tratta del sostanziale annullamento dei
trasferimenti per il finanziamento delle funzioni devolute con
le leggi Bassanini nel 1997; per Comuni e Province, di un taglio
ai trasferimenti dell’ordine del 20 % del totale. Come questi
enti territoriali potranno gestire riduzioni così imponenti non
è chiaro, senza che siano state varate misure strutturali di
contenimento delle spese. «L’esperienza passata ci insegna che
questi sono spesso tagli di carta». 3. Pesanti sono, invece, gli
interventi su scuola e sanità. Per la prima, è soprattutto il
blocco degli incrementi automatici delle retribuzioni nel
triennio a determinare la riduzione della spesa; per la seconda,
è un complesso di riduzioni nel personale e di riclassificazione
della spesa farmaceutica.
[4]
Scrisse Eugenio Scalfari su «
[5]
Programma europeo per la povertà 2020.
[6]
Il 26 maggio
[7]
«Quanto all’America il Pil
cresce solo per alcuni fattori contingenti, mentre i dati della
disoccupazione hanno ricominciato a salire e la fiducia dei
consumatori è tornata su livelli preoccupanti». Il debito
pubblico è salito a 14.294 miliardi di dollari.
[8]
Nell’immaginario comune il modo che gli Stati hanno per fare
investimenti straordinari è quello di immettere nuova moneta in
circolo tramite le Zecche di Stato. Quindi l’istituzione della
moneta unica può sembrare, secondo questa credenza, la fine
dell’aumento dei debiti pubblici, ma non è e non è stato così.
Il trattato di Maastricht del 1992, infatti, oltre a istituire
la moneta unica europea prevedeva una serie di vincoli alla
spesa degli Stati membri. Quello che ora ci interessa è il
vincolo a non superare il 60% nel rapporto tra debito pubblico e
pil. Questo perché
gli Stati avevano già da tempo sostituito per il proprio
finanziamento all’immissione diretta di nuova moneta (che
provocava una forte inflazione) la vendita sul mercato
finanziario di titoli di stato a breve (bot
e cct) o a lunga
scadenza (btp). Il
limite imposto da Maastricht è stato ignorato e il debito
pubblico degli Stati è aumentato. Per questo allo stato l’Unione
europea non ha il pieno controllo della propria moneta che
continua ad essere «emessa» anche dai singoli Stati nazionali.
[9]
Solo l’Europa può salvarci
dall’eurocrac, intervista di Domenico Quirico a Jacques
Attali, «
[10]
Come riportato sul sito
http://www.movisol.org/index.htm dal quale ho assunto,
insieme al testo reperibile su:
http://www.fisacbrindisi.it/index.htm/files/page0_blog_entry6_1.doc,
molte informazioni riversate in ordine sparso nella relazione.
[11]
Luciano Gallino, Con i
soldi degli altri, Einaudi, 2009, p. 58.
[12]
Ibidem, p. 58.
[13]
«Tra di essi, oltre ai
fondi pensione, vi sono i fondi di investimento detti comuni o
aperti perché accessibili a tutti i risparmiatori e le compagnie
di assicurazioni». Ibidem, p. 34.
[14]
Ibidem, p. 51.
[15]
Ibidem, p. 63.
[16]
Ibidem, p. 63.
[17]
Sono contratti a termine su strumenti finanziari, standardizzati
per poter essere negoziati facilmente in Borsa. Sulla storia di
questo strumento finanziario e la sua funzione vedi Luciano
Gallino, Con i soldi degli
altri, Einaudi, 2009, p. 92-93 e segg.
[18]
Ibidem, p. 33, 34.
[19]
Ibidem, p. 28, 29.
[20]
Ibidem, p. 44.
[21]
I cdo e gli
abs, pur se
distinti dalla «parte buona» dei bilanci societari sono stati
svalutati secondo le norme IAS di Basilea II, che attribuiscono
comunque le valutazioni dei rischi alle stesse società che i
rischi li hanno creati. Subito dopo, nell’ultima settimana di
ottobre 2008, lo iasb
si è riunito e li ha «riabilitati» in tutto il loro valore
fasullo. In pratica ha deciso di valutare
abs e
cdo tossici al
«costo storico», ossia al valore iniziale, piuttosto che al
«mark to market», cioè al presumibile valore di realizzo. In
pratica hanno deciso di ridare valore ai titoli spazzatura per
far sopravvivere banche ormai decotte anche dopo aumenti di
capitale. I derivati non regolamentati hanno un controvalore
nominale di 450.000 Miliardi di euro nel pianeta, di cui ci
dicono 1.500 – Il PIL dell’Italia – senza più valore mentre
degli altri non si può dire ad oggi quanto valgono. Solo le
famose polizze da fallimento in giro per il mondo sono 55.000
miliardi di euro, di cui 400 riferibili a Lehman. Hanno
preferito traslare il problema e rimettere la polvere sotto il
tappeto per ideare qualche soluzione definitiva prima che questi
derivati giungano a scadenza. Perché, se non si interviene con
un colpo di spugna soddisfacente per tutti, questi derivati
senza valore, che sono pur sempre contratti, arriveranno a
scadenza e dovranno essere onorati.
[22]
Gli ultimi dati recuperati in internet, dicono che nell’ottobre
2008 i derivati di valore prossimo allo zero di
db, anche se
formalmente fuori bilancio,
ammontano a un valore vicino agli 80 miliardi di euro
(quaranta volte più di Unicredit e venti più di Intesa). La leva
finanziaria di db,
che sta tentando di abbassare è pari a 61:1.
[23]
«Il giorno dopo l’annuncio
della manovra da 25 miliardi i
cds sono saliti a
250 punti base, sintomo della scarsa fiducia verso il nostro
Paese: è stata scambiata protezione per oltre 225 miliardi di
dollari; il valore complessivo netto dei
cds attivo sul
nostro debito è di 23 miliardi. Da marzo al 4 giugno 2010 i
contratti accesi sono passati da
[24]
L. Gallino, Con i soldi
degli altri cit., p. 67.
[25]
Dwight D. Eisenhower, Discorso di addio alla nazione, 17 gennaio 1961.
[26]
Cfr. John Perkins, Confessioni di un sicario dell’economia.
[27]
Cfr. L. Gallino, Con i
soldi degli altri, cit. p. 79.
[28]
La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e
servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, i
quali poi attendono ulteriori cali dei prezzi, creando una
spirale negativa.
[29]
La cura la decide
l’America e l’Ue corre verso la deflazione, di Marcello De
Cecco, «
[30]
Cfr. L. Gallino, Con i
soldi degli altri, p. 15:
«Negli anni Settanta la
quota di persone che vivono in slums (il termine internazionale
per designare i luoghi urbani dove le persone abitano in edifici
degradati dei centri storici, o in baracche di lamiera e cartone
della periferia, talora in spazi ricavati nelle discariche che
le intemperie hanno compattato) nelle metropoli dell’America
Latina, dell’Asia e dell’Africa era dell’1-2%. Nel
[31]
Nel 1º maggio 2006, il presidente Evo Morales emanò un decreto
che imponeva la rinazionalizzazione di tutte le riserve di gas
naturale: «lo Stato riprende la proprietà, il possesso e il
totale e assoluto controllo» degli idrocarburi (
[32]
Secondo il giurista Giovanni Guarino i 5 presupposti
fondamentali dell’economia mista sono: 1) l’idea di confine
nazionale; 2) presenza di grandi e piccole imprese pubbliche che
operano con le regole del diritto pubblico; 3) Stato sociale; 4)
sistema politico parlamentare; 5) Utilizzo del debito pubblico
per investimenti e opere pubbliche.
[33]
L. Gallino, Con i soldi
degli altri cit., p. 37.
[34]
Ibidem. p. 102. Per la analoga situazione italiana dopo la
riforma Dini del 1995 cfr. p. 63-64.
[35]
Però, il governo argentino, dopo il fallimento dello Stato per
81 miliardi di dollari, ha rifiutato di pagare i detentori di
titoli ed ha cambiato moneta, togliendo al peso argentino corso
legale. Con questo atto l'Argentina, rifiutandosi di pagare i
vecchi creditori, ha dichiarato unilateralmente di aver azzerato
il debito pubblico nella vecchia valuta. In realtà, l'Argentina
è stata portata dai creditori nei tribunali internazionali (USA
e Germania), ed inoltre sta subendo un'azione mossa presso
[36]
Per questo si legga l’imperdibile articolo del grande economista
James Kenneth Galbraith,
Quale Europa frenerà i mercati?, «Le Monde diplomatique il
manifesto», giugno 2010.
[37]
Nell’articolo La nuova
strategia verde Salvare il pianeta è possibile di Federico
Rampini, «